Il piano del governo sulle pensioni anticipate
In cosa consiste il progetto descritto dai giornali di oggi per chi vuole andare in pensione tre anni prima della scadenza
Dopo un incontro tra il governo e i maggiori sindacati al ministero del Lavoro martedì 14 giugno, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Tommaso Nannicini e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti hanno presentato una proposta sulle pensioni e sulla cosiddetta “flessibilità in uscita”: chi vorrà potrà andare in pensione tre anni prima del raggiungimento di una certa soglia, ottenendo un prestito da una banca (attraverso l’INPS) da restituire in vent’anni attraverso una rata che sarà tagliata automaticamente dall’assegno della pensione. Sono previste anche detrazioni per le persone con situazioni economiche più fragili. Per ora si tratta di una proposta allo studio dei sindacati in vista di un nuovo incontro il prossimo 23 giugno. Secondo quanto anticipato dal governo il nuovo meccanismo dovrebbe però far parte della legge di stabilità che sarà votata in autunno.
Chi riguarda
La nuova flessibilità in uscita nel 2017 riguarderà in un primo tempo i lavoratori che hanno almeno 63 anni e 7 mesi e le lavoratrici che hanno 62 anni e 7 mesi: saranno dunque coinvolti e coinvolte coloro a cui non mancano più di tre anni per l’età pensionabile di vecchiaia (chi, in sostanza, va in pensione non oltre tre anni prima del previsto). Il provvedimento sarà comunque sperimentale, durerà tre anni dal 2017 al 2019 e coinvolgerà i lavoratori nati a partire dal 1951.
Il provvedimento dovrebbe riguardare chi lavora nel settore privato, ma circola anche l’ipotesi di allargarlo agli impiegati del settore pubblico: questo punto non è però stato ancora chiarito. Diversi giornali scrivono che «secondo alcuni calcoli gli interessati potrebbero arrivare fino a 40 mila».
Come funziona
La proposta si basa su due meccanismi: l’Ape, cioè l’anticipo pensionistico, e la Rita, cioè la rendita integrativa temporanea anticipata. L’anticipo permetterà ai lavoratori a cui mancano tre anni di andare in pensione in modo anticipato e la rendita integrativa permetterà di incassare subito parte delle pensione integrativa. La categoria dei lavoratori interessati potrà contare su un prestito pensionistico-bancario da rimborsare in 20 anni. Il prestito, nei piani del governo, sarà garantito dalle banche convenzionate con un’assicurazione sui rischi, ma senza la necessità di una garanzia reale (la casa di proprietà, per esempio): le banche non potranno quindi chiedere garanzie che coinvolgano gli eredi. Il Sole 24 Ore spiega che «a erogare l’assegno anticipato sarà l’INPS». Sarà cioè l’INPS a dover creare il rapporto con le banche e ad essere l’interlocutore dei lavoratori che decideranno di accedere a questo meccanismo.
Il rimborso del prestito sarà temporaneo, avverrà cioè nell’arco di vent’anni, partirà dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (quindi dopo tre anni) e sarà automatico: l’assegno previdenziale pieno verrà cioè decurtato delle rate per recuperare le somme anticipate. L’assegno reale potrà dunque essere fino al 15 per cento inferiore rispetto all’assegno potenziale pieno. Il tasso di interesse di questo prestito dovrebbe essere intorno all’1,5 per cento.
L’importo della decurtazione dipenderà dagli anni di anticipo (prima si va in pensione anticipata maggiore poi sarà la rata), ma anche dalla condizione del lavoratore che farà richiesta di Ape: ci saranno delle specifiche detrazioni fiscali per le classi più deboli in modo da facilitare la restituzione della rata nell’assegno. Nello schema del governo sono previste tre fasce di lavoratori: chi va in pensione anticipata volontariamente, chi è disoccupato da lungo tempo e chi viene “spinto” alla pensione per una ristrutturazione aziendale. La prima fascia e quella di chi ha un reddito alto sarebbe quella meno interessata dalle detrazioni. Ci saranno invece maggiori detrazioni per la fascia dei disoccupati di lungo corso.
Ci saranno le penalizzazioni?
Le cosiddette “penalizzazioni” sono quei disincentivi introdotti dalla riforma Fornero nel 2011 per scoraggiare l’accesso alla pensione anticipata, e che hanno a che fare con una riduzione dell’1-2 per cento dell’importo dell’assegno previdenziale (le penalizzazioni sono state comunque oggetto di diversi interventi legislativi successivi). Nannicini ha precisato che «non c’è nessuna penalizzazione sulla pensione anticipata, c’è solo la rata che è una penalizzazione in sé, ma nient’altro».
La Stampa precisa:
«È chiaro però che la pensione finale verrebbe calcolata in forma ridotta visto che comunque mancheranno da 1 a 3 anni di versamenti. Insomma non c’è un meccanismo esplicito di penalizzazione, ma una certa decurtazione è nei fatti. Il governo conta però di compensarla con le detrazioni e rendendo più convenienti le ricongiunzione tra le varie gestioni previdenziali».
Il Sole 24 Ore aggiunge che nell’attuale proposta del governo «restano ancora da sciogliere i nodi della calibratura delle penalizzazioni degli assegni anticipati che dovrebbero essere in media del 3-4 per cento oscillando da un minimo dell’1 per cento a un massimo dell’8 per cento».
Quanto costerà allo Stato?
Repubblica dice che il costo delle detrazioni a carico dello Stato «dovrebbe essere contenuto sotto il miliardo che servirà a coprire anche la garanzia assicurativa per le banche che lavoreranno con l’INPS. Senza questo meccanismo il costo diretto dell’anticipo è stimato in 10 miliardi».