La storia di Davontae Sanford
Un ragazzo americano è stato scarcerato dopo otto anni: era stato condannato dopo una falsa confessione
Davontae Sanford, un ragazzo nero di 23 anni che nel 2008 era stato condannato a 37 anni di carcere per avere ucciso quattro persone a Detroit, in Michigan, è stato liberato mercoledì 8 giugno, dopo che è stato giudicato innocente. Sanford è cieco da un occhio e soffre di una forma di ritardo mentale. Era stato giudicato colpevole di avere ucciso quattro persone il 17 settembre 2007 in una casa dove si spacciava droga in Runyon Street, a pochi isolati da casa sua.
Sanford era stato fermato dalla polizia poco dopo gli omicidi, mentre si trovava nei dintorni: aveva dato delle testimonianze confuse, era stato portato alla centrale di polizia e aveva confessato. Due settimane dopo la condanna di Sanford, un sicario professionista di nome Vincent Smothers aveva confessato una serie di omicidi, tra i quali quelli di Runyon Street. L’indagine venne riaperta ma Sanford fu giudicato di nuovo colpevole, nonostante la confessione di Smothers. Il caso di Sanford attirò molte attenzioni, soprattutto degli attivisti che si occupano delle condanne ingiuste e degli abusi di potere della polizia. Il percorso che ha portato alla scarcerazione di Sanford è stato complesso e interrotto da molti imprevisti: si è concluso solo la scorsa settimana, quando la polizia di Detroit ha stabilito che un agente di polizia aveva contraddetto la sua testimonianza data sotto giuramento.
Gli omicidi di Runyon Streetf
Del caso di Sanford si era occupata nel 2012 la giornalista Nadya Labi del New Yorker, in un articolo dedicato alla storia di Smothers. Labi aveva raccontato che Sanford aveva avuto un’infanzia difficile: sua madre Taminko era una donna con un passato di tossicodipendenza, che ha detto a Labi di non essere stata una madre attenta. Alla sua nascita, suo padre era invece in prigione. Cambiò molte scuole da ragazzo; a otto anni fu colpito violentemente in faccia da un uovo e diventò cieco da un occhio. Da bambino Sanford fu seguito da psicologi e assistenti sociali; a 14 anni, quando avvennero gli omicidi di Runyon Street, era molto immaturo, secondo quanto ha detto la madre: guardava ancora i cartoni animati e giocava con le bambole della sorella. A scuola era conosciuto per ingigantire e inventarsi molte storie: sosteneva di appartenere a una gang criminale, anche se non era vero.
Il 18 settembre del 2007, all’una di notte, era a casa con sua madre, che era appena rientrata e gli raccontò che era successo qualcosa vicino a casa loro. Gli disse però di non preoccuparsi e di stare in casa. Sanford uscì comunque per andare a vedere, in un momento in cui sua madre era nuovamente uscita di casa. Andò in Runyon Street e si fermò nei paraggi di una casa davanti alla quale c’erano furgoni di tv locali e macchine della polizia. Sanford si fermò a parlare con due poliziotti e chiese loro se conoscessero suo zio, a sua volta poliziotto. Quando gli agenti gli dissero di sì, Sanford diventò espansivo, e disse di sapere chi fossero i responsabili di “qualunque cosa fosse successa in Runyon Street”. Disse che erano stati quattro suoi amici, che erano scappati. La sua storia non convinse i poliziotti, perché conteneva alcune contraddizioni: tra le altre cose, aveva detto di avere incontrato i colpevoli prima degli omicidi in un ristorante che era in realtà chiuso da tempo.
La sera successiva i poliziotti tornarono a prendere Sanford e lo portarono alla centrale. Sanford cambiò la sua versione: disse che era stato lui stesso a uccidere le quattro persone nella casa di Runyon Street. Disegnò una pianta della casa, segnando con precisione i punti in cui aveva lasciato i cadaveri, gli stessi in cui erano stati trovati dalla polizia. Fu preso in custodia in attesa del processo, e durante una seduta con uno psicologo disse che la sua confessione era falsa. Sei mesi dopo, quando si svolse il processo, cambiò di nuovo versione e si dichiarò colpevole. La madre ha raccontato a Labi che fu il loro avvocato a convincerli a farlo, per ridurre la pena: la polizia aveva prove schiaccianti, assicurò loro l’avvocato. In realtà le prove non c’erano, e si scoprì che l’avvocato era già stato criticato in passato per avere mal rappresentato i suoi clienti. Il giudice che condannò Sanford ha spiegato che fu comunque una scelta ragionevole, perché molto probabilmente Sanford sarebbe stato condannato all’ergastolo. Grazie alla confessione fu invece condannato a 37 anni di carcere.
La confessione di Smothers
Un paio di settimane dopo la condanna di Sanford, Smothers confessò una serie di omicidi, compresi quelli di Runyon Street. Fu condannato per tutti, eccetto che per quei quattro: la polizia di Detroit aveva già trovato il colpevole e non voleva riaprire il caso. L’avvocato di Sanford, Kim McGinnis, non fu informata della confessione di Smothers, ma ne venne a conoscenza mesi dopo da un notiziario locale. Alla fine del 2008 chiese che il processo fosse rifatto.
Smothers e Sanford furono incarcerati nella stessa prigione. Per caso, Sanford si presentò a Smothers, che all’inizio pensò che il ragazzo fosse affetto dalla sindrome di Down. Quando Sanford gli raccontò che era in carcere per gli omicidi di Runyon Street, Smothers gli disse che era stato lui a commetterli e che lo avrebbe aiutato a uscire di prigione. Era stato condannato a un minimo di 50 anni per gli altri omicidi che aveva commesso, e voleva che venisse riconosciuto che era lui il vero colpevole, per scagionare Sanford. Il suo avvocato però cercò di dissuaderlo, convincendolo che se avesse fatto i nomi dei suoi complici la sua famiglia avrebbe potuto correre dei rischi. Il processo per determinare l’innocenza di Sanford fu riaperto e Smothers ricorse al Quinto Emendamento, che permette di non rispondere durante un processo. Pensava che la testimonianza che aveva già fornito sarebbe bastata a scarcerare Sanford.
Il processo durò diversi anni, e vennero raccolte molte prove che sembravano scagionare Sanford. Un testimone raccontò di aver visto i due assassini uscire dalla casa in Runyon Street, dicendo che nessuno dei due era basso come Sanford, mentre uno era alto come Smothers. Si stabilì che i proiettili usati negli omicidi erano stati sparati da un fucile d’assalto AK-47 usato da Smothers in un altro omicidio. Nonostante le prove, Smothers non testimoniò a favore di Sanford, credendo che non fosse necessario e sperando così di evitare ritorsioni sulla sua famiglia.
Nel 2013, però, Sanford, al telefono con il suo patrigno dal carcere, confermò di nuovo di avere commesso gli omicidi di Runyon Street. Indicò però come suoi complici quattro amici che erano già stati scagionati perché avevano fornito alibi considerati solidi. I procuratori che si sono occupati del caso di Sanford usarono quella telefonata per provare a confermare la colpevolezza di Sanford. I suoi difensori insistettero sul fatto che i complici citati dal ragazzo erano stati giudicati innocenti. Un’altra prova presentata dall’accusa era che sui pantaloni di Sanford erano state trovate tracce di polvere da sparo: lui però sostenne che li condivideva con altri ragazzi.
Durante il processo, i difensori di Sanford sostennero che il ragazzo doveva essere innocente, tra le altre cose, perché sarebbe stato molto strano che un sicario esperto come Smothers avesse portato con sé, come complice per un’esecuzione multipla, un ragazzo quindicenne cieco da un occhio e con problemi mentali. Ma il giudice, alla fine del processo, non permise a Sanford di ritirare la sua confessione, e la sua condanna fu confermata.
Come si è arrivati alla scarcerazione di Sanford
Il secondo processo a Sanford aveva reso evidente, secondo molti attivisti ed esperti del sistema giudiziario americano, che era stato condannato ingiustamente. Era stato indotto a confessare dalla polizia, anche se era innocente: quello delle false confessioni è un problema molto diffuso negli Stati Uniti. Delle oltre 300 persone condannate e poi scagionate dalla prova del DNA nella storia degli Stati Uniti, più di un quarto aveva confessato. Uno dei motivi principali per cui una persona innocente può arrivare a confessare un crimine che non ha commesso è che una delle tecniche di interrogatorio più diffuse negli Stati Uniti, la Reid Technique, è considerata fortemente coercitiva, e soprattutto nei casi di sospettati più giovani o con qualche ritardo mentale porta sovente a false confessioni: gli interrogati sono convinti con l’inganno a confessare dai poliziotti, e sperano così di potersela cavare con poco. E le confessioni sono considerate prove schiaccianti e sufficienti per condannare un imputato nella maggior parte dei processi: dal 75 all’85 per cento di chi fornisce una falsa confessione sotto interrogatorio viene successivamente condannato. Almeno in quattro casi una persona che aveva fornito una falsa confessione è stata condannata a morte nella storia degli Stati Uniti.
Il caso di Sanford rientra negli errori processuali dovuti a una falsa confessione ottenuta dalla polizia durante un interrogatorio. Il poliziotto che lo interrogò gli mostrò alcune fotografie della scena del crimine, mostrandogli così i dettagli sugli omicidi e allo stesso tempo impressionandolo. La pianta della casa, ha raccontato Sanford a Labi, fu disegnata da un altro poliziotto, e a lui fu chiesto solo di aggiungere le posizioni dei cadaveri. Sanford ha anche raccontato a uno psicologo che durante il suo interrogatorio gli venne detto che se avesse detto qualcosa ai poliziotti, sarebbe potuto andare a casa.
Nell’aprile del 2015 due associazioni della Northwestern University e della University of Michigan che si occupano di condanne ingiuste nel Michigan chiesero di nuovo di riaprire il processo, presentando una nuova e dettagliata confessione di Smothers, che aveva nuovamente ribadito l’estraneità di Sanford dagli omicidi di Runyon Street. Smothers tra le altre cose ha detto che i procuratori gli offrirono una riduzione della pena se avesse accettato di non testimoniare nel processo a Sanford. Nel giugno del 2015, una giudice chiese alla polizia di aprire una nuova indagine sul caso. L’indagine, durata circa un anno, si è conclusa martedì 7 giugno con la decisione del giudice di scarcerare Sanford. L’indagine ha stabilito che l’agente di polizia James Tolbert disse sotto giuramento che Sanford aveva disegnato uno schema della casa di Runyon Street, ma che successivamente contraddisse la sua affermazione. Il Detroit News ha scritto che un agente di polizia di cui non si conosce ancora l’identità potrebbe essere incriminato per falsa testimonianza.
Sanford è tornato a casa mercoledì. Ha detto che vuole mettersi alle spalle la vicenda e andare avanti con la sua vita, «un giorno alla volta, un passo alla volta». Sua madre Taminko ha detto che non credeva che quel giorno sarebbe mai arrivato. Quando Sanford fu arrestato aveva 14 anni, ora ne ha 23. Fino a lunedì scorso rischiava di rimanere in carcere nonostante fosse provata la sua innocenza: nel 2009 era stato condannato a un ulteriore anno di carcere per aver aggredito delle guardie penitenziarie, e quella condanna non è stata annullata nel nuovo processo. La cauzione di 2.500 dollari prevista in alternativa al carcere è stata pagata, permettendo a Sanford di uscire dal carcere. L’episodio per cui fu condannato avvenne il 25 aprile 2009, quando Sanford aveva 16 anni: due guardie lo sorpresero in cella mentre stava cercando di suicidarsi. Lui resistette ai tentativi degli agenti di fermarlo, e per questo fu condannato per aggressione.