Che si dice di Renzi e Verdini?
C'è un contrordine a cui partecipano giornali e coinvolti: invece del "Partito della Nazione" ora si torna a evocare addirittura l'Ulivo. Molte chiacchiere, per ora
Oggi i giornali sono pieni di ipotesi, voci e “retroscena” su come le elezioni abbiano influenzato i rapporti tra Matteo Renzi e Denis Verdini, senatore e leader di ALA, un piccolo gruppo parlamentare composto da fuoriusciti da Forza Italia, che da circa un anno appoggia esternamente il governo, in particolare durante i voti sulla riforma della Costituzione. È difficile ricostruire in maniera affidabile a che punto siano i rapporti, visto che in questi giorni sono state fatte pochissime dichiarazioni pubbliche. Alcuni giornali parlano di “rottura” tra Verdini e Renzi, altri parlano di cambiamento nei rapporti di forza, altri ancora di un finto litigio, un complotto, per attirare voti di sinistra ai ballottaggi. Di fatto, però, stando a quanto scrivono i giornali in questi giorni, sembra che per ora cambierà poco, almeno per le prossime settimane.
Anche per una ragione: molto dell’alleanza presunta e dei progetti di Renzi di spostare il PD verso rapporti con elettori e politici di centro piuttosto che con quelli più a sinistra, è esistito finora soprattutto nelle costruzioni e nelle sintesi dei giornali. Lo stesso “partito delle Nazione” – il presunto nuovo partito trasversale che è stato rappresentato come un progetto renziano – non è stato finora altro che una sintesi giornalistica senza nessuna legittimazione concreta. Sostenuto in sostanza solo appunto dall’appoggio esterno di ALA ad alcuni voti parlamentari e da un’impressione generale di un progetto politico renziano più “moderato” di quelli dei leader del PD che lo precedevano. Ma mai finora sono stati messi in discussione la natura e il futuro del PD, se non da ipotesi giornalistiche tese ad allarmare gli elettori più di sinistra. Ipotesi rese più efficaci dalla rappresentazione – non priva di argomenti fondati – di Denis Verdini come di un diabolico e concreto trafficante dell’opportunità politica e personale.
Ma la volatilità di questo spauracchio – “il partito della Nazione” – si è rivelata palesemente già in un paio di passaggi dell’articolo di oggi di Repubblica, per esempio, che ora lo danno improvvisamente per seppellito a favore del suo opposto.
In realtà, Renzi pensa a uno schema Ulivo dal 17 aprile scorso. Lo hanno spaventato i 15 milioni e 800 mila italiani che sono andati alle urne per il referendum contro le trivelle. In quel dato, insufficiente per il quorum, Palazzo Chigi ha letto un voto anti-premier. «Dobbiamo ricompattarci a sinistra, altrimenti sulla riforma costituzionale andiamo a sbattere», disse quella sera il premier ai suoi collaboratori.
Come realizzare il progetto non è ancora chiaro. Una forza progressista moderna è l’obiettivo, abbandonando le alleanze al centro. Ma tutto è ancora da costruire.
Cosa sappiamo di certo
Nella conferenza stampa di lunedì, subito dopo le elezioni, Renzi ha detto: «Dove si è cercato di fare delle alleanze, come a Napoli, queste non hanno funzionato minimamente». Renzi si riferiva ad ALA, che alle elezioni di domenica ha ottenuto pessimi risultati: 5.361 voti, l’1,42 per cento, a Napoli, dove si è presentata con il suo simbolo; il 3,52 per cento a Cosenza, dove ALA sosteneva due liste, “Per Cosenza oltre i colori” e “Prima Cosenza” e dove lo stesso Verdini era andato a sostenere il candidato del centrosinistra. A Grosseto, la lista appoggiata da ALA, “Passione per Grosseto”, ha ottenuto il 3,97 per cento. Questi risultati hanno spinto diversi esponenti della minoranza PD, che da tempo criticano l’alleanza con Verdini – uno dei più importanti e potenti leader dei partiti berlusconiani fino a poco fa -, a ripetere le loro accuse. Il senatore Miguel Gotor, vicino all’ex segretario e capo della minoranza Pierluigi Bersani, ha detto che Verdini è «come Attila. Dove passa lui muore il PD». Altri hanno ricordato a Gotor e Bersani che il PD guidato da loro sostenne il governo Monti proprio in alleanza con Berlusconi e Verdini.
Che cosa si dice?
Questo è quanto sappiamo “ufficialmente”, mentre oggi sui giornali sono arrivati i “retroscena”, voci anonime di esponenti politici e dichiarazioni attribuite ai leader, ma non confermate ufficialmente – e molto spesso fatte filtrare dagli stessi staff dei leader in questione. Secondo queste voci, Renzi sarebbe molto deluso del risultato di ALA e avrebbe detto che l’alleanza con Verdini deve restare “in aula”, cioè deve rimanere a livello parlamentare – dove si è mostrata proficua per il governo in più di un’occasione – e non estendersi agli enti locali o a progetti elettorali. Implicando che la forza di ALA sia tutta parlamentare, eredità dell’appartenenza precedente ai partiti berlusconiani. I verdiniani, direbbe Renzi secondo queste ricostruzioni, dovrebbero anche limitare il più possibile la loro campagna a favore del “sì” al referendum costituzionale di ottobre, per evitare di far perdere al PD ulteriori consensi.
Verdini e i verdiniani sono descritti molto “arrabbiati” per quelle che secondo loro sarebbero accuse ingiuste. L’analisi dei flussi elettorali mostra che il PD ha perso voti verso sinistra e ne ha invece raccolti al centro: ALA avrebbe quindi adempiuto al suo ruolo di portare voti verso il PD. Ovviamente c’è un’analisi opposta e, senza ulteriori dati alla mano, altrettanto valida: il PD ha perso voti a sinistra proprio a causa degli avvicinamenti con ALA.
Però quasi tutti concordi su un punto: l’eventuale “crisi” tra Renzi e Verdini non sposterà in maniera significativa gli equilibri politici. Il gruppo di ALA conta su 20 senatori, che garantiscono al PD un buon margine di sicurezza al Senato dove la maggioranza è più esigua. L’attuale legislatura (quella con il maggior numero di cambi di gruppo parlamentare nella storia repubblicana) è troppo imprevedibile per poter affermare con certezza che i voti di ALA siano determinanti, ma se Renzi vuole mantenere stabile il governo, è meglio evitare una rottura completa con Verdini.
La conseguenza principale di questo voto sembra quindi una sorta di possibile “congelamento” di ALA, cioè una riduzione delle uscite pubbliche del gruppo a sostegno del governo. A questo proposito, un anonimo senatore di ALA ha detto alla Stampa: «Denis e Renzi si sono già rimessi d’accordo, hanno fatto il patto del Gattopardo: tutto cambi perché nulla cambi. Litigheranno in pubblico, ma la sostanza non cambierà. Al massimo ci terranno fuori dai Comitati per il Sì al referendum». L’altra conseguenza è che, almeno fino a nuovo ordine, i giornali evocheranno un po’ meno il “Partito della Nazione”, come si vede già oggi.