Com’è l’Iran dopo le sanzioni
Le esportazioni di petrolio sono aumentate ma rimangono molti problemi: e c'è uno scontro continuo tra moderati e ultraconservatori
Quasi cinque mesi fa, il 16 gennaio, a Vienna si celebrò il cosiddetto “Implementation Day”: quel giorno fu annunciata la rimozione delle sanzioni che dal 2006 erano state imposte all’Iran per lo sviluppo del suo programma nucleare militare. I giornali di mezzo mondo scrissero che l’accordo, raggiunto dopo molti anni di negoziati, era una vittoria politica dei moderati iraniani sui più conservatori. Le aspettative erano molte: l’Iran avrebbe potuto ricominciare a esportare petrolio, i suoi istituti finanziari sarebbero stati ricollegati allo SWIFT (la rete globale di transazioni bancarie) e l’economia nazionale avrebbe finalmente ripreso un po’ di fiato. Da allora sono passati solo pochi mesi ed è ancora presto per valutare la portata della rimozione delle sanzioni. Ma qualcosa si può già dire: e non per forza qualcosa di buono, scrive l’Economist.
Le esportazioni di petrolio sono aumentate
Negli ultimi quattro mesi e mezzo le esportazioni iraniane di petrolio sono aumentate del 60 per cento, un dato notevole. Prima della rimozione delle sanzioni, molti paesi – tra cui quelli che fanno parte dell’Unione Europea – non potevano importare il petrolio dall’Iran, che finiva soprattutto in alcuni mercati asiatici (come quello cinese). L’industria petrolifera iraniana ha sfruttato immediatamente le nuove opportunità create dalla rimozione delle sanzioni, rifiutandosi per esempio di firmare un accordo con i paesi dell’OPEC per limitare la produzione di petrolio di modo da ridurne l’offerta e alzare il prezzo di vendita (una decisione che tra le altre cose ha fatto molto arrabbiare l’Arabia Saudita).
Il problema delle transazioni finanziarie
Non tutti gli effetti della rimozione delle sanzioni all’Iran sono stati così immediati, e molte difficoltà rimangono ancora oggi. Per esempio, scrive l’Economist, continua a essere un problema fare transazioni finanziarie con le banche iraniane, nonostante l’Iran sia stato ricollegato alla rete SWIFT: «È come una nuova autostrada appena costruita che non usa nessuno», ha detto un funzionario iraniano. Molte grandi banche continuano a essere caute a operare in Iran, soprattutto dopo quello che successe l’estate scorsa a BNP Paribas, la più grande banca francese che in Italia controlla BNL. BNP Paribas si dichiarò colpevole davanti a un tribunale di New York per avere fatto transazioni da miliardi di dollari con tre paesi sotto embargo, tra cui l’Iran, e fu costretta a pagare un’enorme multa da 9 miliardi di dollari.
È molto indicativo in questo senso uno scambio raccontato a marzo dal Times tra David Cameron, primo ministro britannico, e Jes Staley, presidente della grande banca britannica Barclays. La questione era nata dopo che un’azienda inglese di lubrificanti per macchinari industriali non era riuscita a concludere un contratto di 14mila sterline con un distributore iraniano, a causa del rifiuto di Barclays di completare il pagamento. Cameron aveva chiesto a Staley dei chiarimenti su quello che era successo, visto che le sanzioni che impedivano quel tipo di transazione erano state rimosse. Staley aveva risposto che non era proprio così: gli Stati Uniti non avevano tolto tutte le loro sanzioni – sono rimaste le sanzioni legate all’appoggio dell’Iran a gruppi considerati terroristi, per esempio – e le banche che operano anche in territorio americano rischiano di incappare in grosse multe.
Il problema è riuscire a capire chi ci sia dietro le aziende iraniane con cui si vogliono fare affari. Se dietro a queste attività ci sono per esempio l’esercito o le Guardie della rivoluzione, tutt’ora destinatari di sanzioni, si rischia di incorrere in multe molto elevate. Ma non è sempre facile capire chi è coinvolto in cosa, perché il sistema economico e finanziario iraniano è molto opaco e le Guardie della rivoluzione controllano buona parte dell’economia e della finanza iraniana. L’Economist scrive che diversi imprenditori statunitensi che vanno in Iran per lavoro non lasciano nemmeno il loro biglietto da visita per paura di possibili ripercussioni.
Lo scontro tra Rouhani e Khamenei
Oltre alle difficoltà legate alle sanzioni ancora in vigore, è andato a rilento anche un riavvicinamento politico tra Iran e Occidente. Mentre il presidente iraniano Hassan Rouhani, considerato un moderato, continua a spingere per una maggiore apertura verso l’esterno, la Guida suprema Ali Khamenei va nella direzione opposta. Di recente, per esempio, l’ufficio di presidenza ha bloccato alcuni incontri ufficiali che dovevano tenersi in Iran tra governo iraniano e rappresentanti di paesi occidentali. Tra le altre cose, Khamenei si è espresso pubblicamente contro l’insegnamento della lingua inglese e ha sostenuto un approccio più duro nei confronti di giornalisti e attivisti considerati lontani dallo schieramento degli ultraconservatori.
Lo scontro tra Rouhani e Khamenei – cioè tra moderati/riformisti e ultraconservatori – era stato in qualche modo previsto da diversi analisti. Il sostegno di Khamenei all’accordo sul nucleare – quello che ha previsto la rimozione delle sanzioni – era stata una mossa necessaria e condizionata dalla grave crisi dell’economia iraniana. Ma gli ultraconservatori si erano sempre opposti ad aperture verso l’Occidente e la situazione non è certo cambiata negli ultimi mesi, anzi. Lo scontro politico è continuato anche dopo le elezioni di fine febbraio, che hanno stabilito una vittoria di misura dei moderati e soprattutto una clamorosa sconfitta degli ultraconservatori. A ciascuna apertura fatta da Rouhani è corrisposta una chiusura decisa da Khamenei.
È difficile dire ora quali saranno le conseguenze nel lungo periodo della rimozione delle sanzioni. Nonostante tutti i problemi che rimangono, il via vai delle delegazioni economiche europee (e italiane) a Teheran non è mai stato così intenso. Le fiere sono affollatissime e le trattative commerciali sono aumentate in maniera considerevole. Da un punto di vista politico, la situazione è ancora più incerta. Al momento non è chiaro se Khamenei permetterà a Rouhani di candidarsi per un secondo mandato da presidente (in Iran i candidati a qualsiasi elezione devono essere approvati dal Consiglio dei guardiani, che risponde direttamente alla Guida suprema); potrebbe non volerlo fare, ma al momento non sembra avere grandi alternative.