La birra in lattina sta vincendo
E sta soppiantando quella in bottiglia, anche tra gli intenditori: negli Stati Uniti è così da tempo, qui ci stiamo arrivando
Fino a qualche anno fa si poteva prevedere l’andamento di una serata fra amici a seconda del contenitore in cui venivano portate le birre. Se un amico si presentava con una o due confezioni da sei lattine, di quelle che solitamente contengono birre a scarsa gradazione alcolica che vanno giù facilmente, si prospettava probabilmente una serata informale e chiassosa; se lo stesso amico portava con sé qualche bottiglia o addirittura una sola, grossa bottiglia di birra, magari artigianale, si sapeva già che si sarebbe bevuto di meno, magari meglio, e che il tono sarebbe stato più vicino alla degustazione.
Ora la differenza è più sfumata, complici due fattori: un certo pregiudizio verso le lattine – dato che molte birre economiche e di scarsa qualità vengono vendute principalmente in lattina – che almeno in Europa ha portato i maggiori produttori a concentrare le attenzioni pubblicitarie sulla bottiglia in vetro, ma soprattutto il recente spostamento delle birre artigianali dalle bottiglie in vetro alla lattina, per via di ragioni pratiche e ambientali. Nel circolo degli appassionati di birra se ne parla da anni – anche se in Italia siamo rimasti un po’ indietro – e recentemente l’Atlantic ha riassunto la tendenza in un lungo articolo intitolato “L’ascesa della birra in lattina”.
Un po’ di storia
Il primo contenitore di latta, una lega di ferro e stagno, venne brevettato nel 1810 ma inizialmente fu considerato inadatto per trasportare la birra: i contenitori di latta si rompevano per l’elevata pressione esercitata dalla birra – che è un liquido “vivo”, in fermentazione – e ne modificavano il gusto rendendolo metallico. Questi problemi furono risolti solo nei primi anni del Novecento, quando l’American Can Company, una società specializzata nella produzione di lattine, ne migliorò la qualità. Rimaneva però comunque un involucro molto pesante – era ancora fatto di latta, oppure addirittura di acciaio – e apribile solo con un apriscatole. Questi nuovi problemi furono risolti solo dopo la Seconda guerra mondiale, durante la quale negli Stati Uniti la produzione di lattine di birra venne interrotta perché era necessario utilizzare i metalli per le armi. Nel 1958 la Hawaii Brewing Company introdusse per la prima volta una lattina fatta completamente in alluminio, più leggera e trasportabile; nel 1962 venne diffusa la prima birra con un meccanismo apriscatole incorporato, inventato dall’azienda americana Alcoa. Nel 1969 le vendite di birra in lattina negli Stati Uniti sorpassarono quelle della birra in bottiglia.
Tra alcuni consumatori di birra però la lattina non ha mai attecchito, come ha sintetizzato sul Telegraph l’esperto di birre Mark Dredge: «Storicamente, la birra in lattina ha una brutta reputazione: è legata all’immagine di gente rumorosa e a quel momento tremendo in cui bevi l’ultimo sorso, caldo e dal sapore metallico. E poi la birra stessa: o è una bionda molto forte, o è una birra banale e insipida». In realtà, spiega Dredge, la birra in lattina si conserva mediamente meglio di quella in bottiglia: per evitare di sentire il sapore metallico – che oggi è considerato una specie di “leggenda metropolitana” – è sufficiente versarla in un bicchiere e berla da lì. Molti esperti citano anche un fattore estetico: la gente ha un’opinione genericamente migliore dei liquidi in bottiglia, forse anche solo perché le confezioni in vetro sono più costose, e perché a differenza di quelle in lattina vengono spesso servite al ristorante e pubblicizzate in tv e sulle riviste, almeno in Europa. Mike Elliott, che lavora in un apprezzato birrificio artigianale del Montana, negli Stati Uniti, ha sintetizzato: «Mettiamola così: apprezzo molto l’alluminio [di cui spesso sono fatti i barilotti di birra moderni], ma odio le lattine». Di conseguenza almeno nei primi anni le birrerie artigianali – ancora oggi un prodotto “di nicchia” rispetto alle birre industriali – utilizzavano le bottiglie in vetro.
E oggi?
Il guaio è che le bottiglie di vetro portano con sé tre problemi, a cui sono sensibili tutti i produttori di birre artigianali: la possibilità che l’esposizione alla luce rovini il gusto della birra, la scarsa biodegradabilità del vetro e la sua poca praticità (dato che è più pesante di una lattina, il loro trasporto costa molto di più). Il problema dell’esposizione al sole è noto da circa quindici anni a produttori e consumatori, è strutturale e difficilmente risolvibile: in sintesi, se una birra prodotta con l’uso del luppolo – come moltissime birre artigianali – viene esposta a lungo al sole, i raggi ultravioletti innescano una reazione chimica che dà alla birra un sapore sgradevole.
È colpa dell’isoumulone, un agente amaro creato dal luppolo che a contatto coi raggi ultravioletti del sole degrada producendo a sua volta il composto chimico 3-MBT, che è chimicamente molto simile ai tre principali composti chimici di cui è fatto il gas spruzzato dalla puzzola per difendersi dai propri nemici. Alcuni dicono che per notare la differenza è sufficiente mettere al sole una birra artigianale per dieci minuti e paragonarne il sapore a quello della stessa birra appena spillata. In generale non c’è bottiglia di vetro che riesca davvero a difendere la bottiglia dai raggi ultravioletti: le peggiori in assoluto sono quelle di colore chiaro, e infatti la maggior parte delle birrerie artigianali già utilizza bottiglie di colore marrone scuro, per ridurre il più possibile l’effetto dei raggi ultravioletti. Il vetro, inoltre, ci mette molto di più dell’alluminio a decomporsi – circa un milione di anni, contro gli 80 o 100 dell’alluminio – e in generale è meno riutilizzabile una volta riciclato. Poi c’è il problema dei trasporti e della conservazione: la bottiglie di vetro sono complicate da spedire e conservare.
Per queste e altre ragioni – fra cui il miglioramento dell’oggetto-lattina, che oggi può contenere una sottile membrana fra alluminio e liquido per eliminare ogni contatto – da alcuni anni i birrifici artigianali americani e più recentemente quelli britannici si stanno convertendo sempre più all’uso delle lattine al posto della bottiglia in vetro. Nel 2013, dopo un investimento di circa un milione di dollari, è stata lanciata la versione in lattina della Samuel Adams lager, una famosa birra americana semi-artigianale diffusa anche in Europa; negli stessi anni altri birrifici americani piccoli ma noti come la Sierra Nevada Brewing Company di Chico, California, e la Oskar Blues Brewery di Longmont, in Colorado, si sono convertite alla lattina. Parlando con NPR, l’esperto di birre Russ Phillips ha stimato che mentre nel 2009 solo poche decine di birrerie artigianali producevano birra in lattina, nel 2014 sono diventate più di 500. In Europa, uno dei primi importanti birrifici a produrre birra in lattina è stato il birrificio Brewdog di Edimburgo, in Scozia, che l’ha fatto già nel 2011 (e oggi le sue lattine si trovano anche in diversi supermercati o rivenditori italiani). George Ward, un funzionario della società che produce la Samuel Adams, ha detto che «gli appassionati di birra artigianale ancora oggi preferiscono le bottiglie», ma che «sempre più micro-birrifici renderanno disponibili le loro birre in lattina». Già da alcuni anni si tiene in Arizona il festival annuale della birra in lattina, a cui partecipano decine di produttori.
La nuova tendenza negli Stati Uniti non riguarda solamente i birrifici artigianali ma anche le grandi industrie, che comunque non hanno mai smesso di produrre birra in lattina. Nel 2013 la Miller, una delle più popolari marche di birre americane, ha reintrodotto sul mercato la sua linea Lite in lattina, originariamente per un periodo limitato. La Miller Lite è andata così bene che le sue vendite complessive sono aumentate, e la Miller ha deciso di tornare a vendere stabilmente la Lite in lattina: Cris Rivera, un dirigente della Miller che si occupa di marketing, nel 2014 ha detto a Market Watch che i giovani in particolare ne hanno apprezzato il design un po’ nostalgico. C’è poi il fascino un po’ hipster di un oggetto percepito come appartenente al passato – in Mad Men, per esempio, si beve quasi solo birra in lattina – e che può essere reso artisticamente gradevole in modo più facile rispetto a una bottiglia, che di personalizzabile ha solo l’etichetta.
Il risultato è che negli Stati Uniti il divario fra birra in lattina e birra in bottiglia si è ampliato ulteriormente: nel 2006 le birre in bottiglia occupavano circa il 42 per cento del mercato a fronte del 48,3 di quelle in lattina, mentre nel 2012 le percentuali sono diventate rispettivamente del 53,2 e del 36,5 per cento.
L’Atlantic però fa notare che ancora oggi ci sono diversi problemi irrisolti riguardo la produzione di lattine: per produrre alluminio si crea moltissimo materiale di scarto, che danneggia l’ecosistema del luogo dove viene immagazzinato (si stima che per ogni due tonnellate di bauxite, il materiale grezzo da cui si ricava l’alluminio, venga prodotta una tonnellata di un materiale tossico cosiddetto “fango rosso”). Un piccolo gruppo di appassionati di birra, inoltre, diffida delle birre in lattina per via del Bisfenolo A, un composto organico che viene aggiunto alla birra in lattina per proteggerla da eventuali contaminazioni con l’alluminio: è stato considerato per molto tempo pericoloso per la salute e persino cancerogeno, ma di recente è stato ritenuto sicuro sia dalla Food and Drug Administration, l’agenzia americana che approva alimenti e farmaci per la libera consumazione, sia dalla sua equivalente europea. Altri ancora hanno fatto notare che un impianto di “inscatolamento” è molto più costoso di uno che utilizza bottiglie, e che quindi conviene poco ai birrifici di piccole dimensioni.
E in Italia?
Finora i birrifici artigianali italiani si sono tenuti alla larga dal produrre birre in lattina, a parte qualche eccezione notevole: nel 2010 vicino al confine con l’Italia aveva aperto il Birrificio Ticinese, che per anni ha prodotto una birra in lattina ma che recentemente è fallito. Alla fine del 2015 una birra artigianale in lattina è stata invece presentata dal Baladin, uno dei più famosi birrifici artigianali italiani: la birra si chiama Pop, è una bionda leggera e sul sito del Baladin una scatola di 24 lattine da 33 cl costa 67,20 euro (2,80 euro a lattina). Le recensioni uscite finora ne parlano bene, e una in particolare l’ha paragonata alla Punk India Pale Ale (cioè una birra leggera e amara) prodotta dal Brewdog, anch’essa molto diffusa in lattina.
Anche il birrificio laziale Birra del Borgo, uno dei più famosi in Italia, a novembre del 2015 aveva annunciato su Facebook l’intenzione di produrre una birra in lattina, ma circa un mese fa è stata acquistata da ABinBev, il più grande produttore al mondo di birra, e non è chiaro se da allora i piani sono cambiati. Cronache di birra, uno dei più affidabili siti italiani che si occupano di birra, ha recentemente scritto che «siamo al cospetto di un punto di svolta» e che «la produzione di lattine è in procinto di invadere la birra artigianale italiana».