Sull’Everest ci sono troppe persone
È questa la causa principale dei morti degli ultimi tempi: le spedizioni partono tutte insieme creando un sovraffollamento molto pericoloso
di Adam Minter - Bloomberg
Quest’anno oltre 400 persone tra alpinisti e sherpa hanno cercato di raggiungere la cima del monte Everest durante la stagione di scalate primaverile. A oggi ne sono morti almeno quattro, mentre più di trenta hanno riportato geloni e altri infortuni e malattie causati dall’esposizione prolungata alle estreme condizioni climatiche sull’Everest. Lo scorso 12 maggio 9 sherpa nepalesi sono arrivati in cima all’Everest, diventando le prime persone a raggiungere la vetta in due anni: nel 2015 nessun alpinista aveva completato la scalata, a causa del grave terremoto che interessò il Nepal in aprile. Le ultime persone ad essere arrivate in cima all’Everest lo avevano fatto nel 2014: anche quell’anno però la maggior parte delle spedizioni erano state cancellate dopo che una valanga aveva ucciso 16 sherpa. Quest’anno la situazione sull’Everest è in parte rientrata alla normalità, e moltissimi alpinisti stanno provando a scalare la montagna. Rimangono ancora diversi giorni prima della chiusura della stagione delle scalate e il rischio che il numero dei morti e dei feriti salga è alto.
A bloccare gli scalatori sull’Everest non sono solo il brutto tempo, le avversità naturali e i problemi alle attrezzature. Il problema è tristemente noto: troppe persone stanno tentando di scalare la montagna più alta del mondo, contribuendo a un sovraffollamento che può avere conseguenze mortali. Il sovraffollamento sull’Everest – un problema che va avanti da anni – oggi è un pericolo soprattutto per il Nepal, che sta cercando di ricostruire la sua economia dopo il disastroso terremoto dell’aprile del 2015. Nel 2014 il turismo ha contribuito all’8,9 per cento del PIL del Nepal e al 7,5 per cento della sua occupazione complessiva. L’apporto diretto dell’Everest a queste cifre è stato relativamente marginale: circa 3,14 milioni di euro in commissioni pagate al governo e poco meno di 11 milioni in spese aggiuntive. L’Everest, però, ha un ruolo enorme nel pubblicizzare il Nepal nel resto del mondo: se non è gestito in modo da essere sicuro per i turisti, è la reputazione dell’intero paese a soffrirne.
Quest’anno il numero dei permessi richiesti per scalare l’Everest è calato notevolmente, e circa il 40 per cento di quelli emessi sono in realtà estensioni di quelli rilasciati per la stagione scorsa, nel 2015. Nonostante non ci siano dati che spieghino il calo delle richieste, è probabile che gli oltre 30 morti legati a terremoti e valanghe registrati sull’Everest tra il 2014 e il 2015 abbiano scoraggiato almeno parte degli scalatori. Anche se il numero degli scalatori è diminuito, sono ancora troppi quelli che cercano di salire contemporaneamente. Grazie ai miglioramenti delle tecnologie per le previsioni meteo e alla diffusione dell’accesso alle comunicazioni in cima all’Everest, i membri delle spedizioni sanno con esattezza quando ci sono le condizioni ideali per la scalata. Nel loro percorso verso la vetta, però, si creano pericolosi ingorghi (e ci sono problemi collaterali: ad esempio sulla montagna c’è troppa cacca). Nel 2012 l’alpinista Ralf Dujmovits ha scattato una foto diventata molto popolare in cui diverse decine di scalatori salivano sull’Everest formando una lunga fila indiana. Quell’anno dieci persone sono morte mentre salivano l’Everest in condizioni meteo ottimali, nella maggior parte dei casi per colpa dell’affollamento che bloccava gli scalatori nella cosiddetta “zona della morte” – l’area a elevata altitudine e con poco ossigeno sotto la cima dell’Everest – in attesa di poter salire o scendere. Quando uno scalatore rimane bloccato per troppo tempo nella “zona della morte” le possibilità che muoia per colpa di una forma letale di mal di montagna aumentano sensibilmente: è quello che sembra essere successo ad almeno tre degli scalatori morti nelle ultime settimane.
In Nepal e nella comunità degli scalatori il problema viene ammesso. «È stata una catastrofe causata dall’uomo, che avrebbe potuto essere minimizzata con una migliore gestione delle spedizioni», ha detto ad Associated Press Ang Tschering, presidente dell’Associazione degli alpinisti del Nepal. Il punto è come fare per ridurre l’affollamento senza limitare drasticamente il numero dei permessi per l’Everest che vengono emessi ogni anno. Politicamente è una questione complicata. Ogni anno il governo nepalese guadagna quasi 10mila euro in commissioni per ogni alpinista, mentre gli sherpa sono disposti a qualsiasi cosa pur di lavorare: nessuno dei due sarebbe contento di perdere potenziali clienti. Allo stesso tempo, le proposte per permettere le scalate solo agli scalatori esperti, idonei fisicamente e con un’età adeguata (niente bambini e ottantenni, per esempio) sono ancora in sospeso, e molti alpinisti esperti dubitano che verranno mai applicate in modo efficace.
Questo però non significa che il Nepal non abbia alternative. Tutte le parti interessate devono innanzitutto ammettere che le morti sull’Everest danneggiano sia la comunità degli sherpa del Nepal sia l’immagine internazionale del paese. Il governo potrebbe ridurre il numero degli scalatori e compensare le perdite aumentando nettamente le commissioni. Per la maggior parte degli scalatori il costo dei permessi è solo una piccola parte di una spedizione che può arrivare a costare oltre 65mila euro a persona. Ci sono però le guide a buon mercato, disposte ad accettare scalatori inesperti e addirittura fuori forma a un costo minore (a volte con conseguenze disastrose). Commissioni più alte disincentiverebbero per lo meno alcune di queste persone a rischiare la salita.
Nel frattempo il Nepal potrebbe aumentare le opportunità di lavoro per gli sherpa rispolverando la vecchia proposta di dare in gestione alcune delle oltre 1.300 vette vergini del paese a concessionarie private. La proposta, debolmente sostenuta dalla comunità delle guide, permetterebbe al governo di concentrare gli sforzi sulla ricostruzione post-terremoto, affidando la commercializzazione della sue vette a società turistiche professioniste. Al pari del governo, queste società dovrebbero essere incentivate a garantire un ambiente sicuro e meno affollato per le scalate. Per il bene di tutti, la cima della montagna più alta del mondo dovrebbe essere un po’ più vuota.
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