Di cosa parliamo quando parliamo di fumetti
Quello italiano è il quarto mercato mondiale e ora le vendite aumentano anche in libreria, dove Zerocalcare fa sfracelli
Di fumetti e graphic novel in Italia non si sa quasi niente, non esistono rilevazioni di vendita ufficiali che abbiano qualche attendibilità e completezza, e non pare che della cosa importi troppo a nessuno. Eppure, quello italiano è un mercato in grande trasformazione e crescita, il quarto a livello mondiale per fatturato, dopo l’irraggiungibile Giappone, gli Stati Uniti e la Francia, ma prima della Spagna. Le ragioni dell’ignoranza sono due: la prima è l’inerzia e/o il disinteresse, un po’ supponente, del mondo dell’editoria, ancora solidamente fondato sui libri; ma la seconda ragione, quella determinante, è che in Italia la vendita di fumetti si disperde in tre canali che non comunicano tra loro e si basano su sistemi di rilevazione diversi e parziali, e non sempre qualcuno rileva qualcosa: l’edicola, la libreria e la fumetteria.
I tre canali
Il primo canale – il più importante per volumi e, un po’ meno, per fatturato – sono ancora le quasi 30 mila edicole italiane, dove si vendono i fumetti classici, i cosiddetti «industriali», quindi cose tipo Tex, Topolino, Diabolik, Batman, i manga o la Pimpa. La centralità dell’edicola per i fumetti in Italia è un caso unico al mondo: per quanto da un decennio i fumetti industriali perdano quote di mercato, le edicole fanno numeri ancora incomparabili rispetto a quelli di librerie e fumetterie. Le vendite in libreria (3.600) sono in forte crescita, quindi sono in crescita i graphic novel, soprattutto di autori italiani, a cominciare da Zerocalcare, i cui risultati sono determinanti per il risultato di cui sopra. Il terzo canale è quello delle fumetterie, che in Italia sono tra le 200 e le 300, ma sfuggono a ogni rilevazione, anche se sono il luogo dove si servono appassionati e collezionisti, i più attenti alle novità, lo zoccolo duro del mercato. Rimane residuale, invece, il fumetto digitale.
Quanto pesa il fumetto sull’editoria
Per farsi un’idea del mercato bisogna arrangiarsi: mettere insieme dati parziali, andare un po’ a naso, affidarsi agli esperti. L’unica stima ufficiale – pubblicata nel 2013 dall’AIE, l’Associazione italiana editori – ha calcolato che nel 2015 il fatturato in libreria sia arrivato a 9 milioni e 600mila euro, con una crescita del 37 per cento rispetto all’anno precedente. Ma il dato è parziale perché ignora edicole e fumetterie che, insieme, fanno intorno all’80 per cento del mercato.
Più completo e probabilmente vicino alla realtà è il calcolo di Matteo Stefanelli, professore di linguaggi audiovisivi all’Università cattolica di Milano e direttore di Fumettologica.it, il più importante sito italiano dedicato ai fumetti: «È una stima fatta sentendo gli editori e IBS, perché i dati di Amazon non sono pubblici», dice Stefanelli. «Non mi sono basato sui dati Nielsen, che sono a campione, ma su quelli di Informazioni editoriali, una società del gruppo Gems, che usa il database di Arianna [un servizio di rilevazione editoriale a cui aderiscono 900 librerie, tutti i maggiori gruppi editoriali e distributivi e le principali reti promozionali. n.d.r.]. In più ho aggiunto fiere, eventi e saloni che per il fumetto sono importanti. Mi torna perché coincide con quello che si sa del nostro mercato rispetto ai mercati esteri, in particolare che il fumetto in Italia vale un po’ meno della metà di quello francese e circa il doppio di quello spagnolo. Insomma, secondo me, considerando tutto – librerie, edicole e fumetterie – dovremmo essere intorno ai 200 milioni di euro all’anno, di cui 15 milioni in libreria, che data la crescita potrebbero essere 20». L’Italia sarebbe, quindi, quarta per fatturato nel mondo, ma addirittura terza per penetrazione, molto sopra agli Usa che hanno una popolazione cinque volte maggiore.
- Giappone (128 milioni di abitanti): 4 miliardi di euro (dati 2016, Yukari Fujimoto, Meiji University, Tokyo)
- Usa (318 milioni di abitanti): 840 milioni di euro (dati iCv2 sul 2014)
- Francia (67 milioni di abitanti): 459 milioni di euro (dati GFK sul 2015)
- Italia (60 milioni di abitanti): 200 milioni di euro (dati Stefanelli per il 2013)
- Spagna (47 milioni di abitanti): circa 90 milioni di euro (dati Salòn del Comic de Barcelona sul 2013)
Se i calcoli di Stefanelli sono veri, in Italia i fumetti pesano per il 10 per cento sul mercato editoriale nel suo complesso, che è calcolato poco sotto i 2 miliardi di euro. E valgono il 16 per cento del mercato dei libri, che l’AIE stima in 1,2 miliardi di euro nel 2015. Per avere un elemento di comparazione, il settore del fumetto varrebbe, cioè, più o meno quanto quello dei libri per bambini e ragazzi.
Il fumetto industriale: Tex, Diabolik, Topolino e gli altri
L’edicola è un gran casino: vale per quotidiani, settimanali e mensili, ma per i fumetti vale ancora di più perché la maggior parte sfugge all’ADS, Agenzia di Distribuzione e Stampa, l’unico ente italiano di rilevazione della stampa periodica. Un’eccezione era Topolino che nel 2014 vendeva, stando all’ADS, circa 120 mila copie medie a settimana tra edicola e abbonamenti, in calo costante (nel 2005 erano il doppio). Ma oggi neppure Topolino sembra più rilevato. (Nel 2013 la Disney Periodici è stata acquistata da Panini). Non è invece iscritta all’ADS la Sergio Bonelli Editore, e così bisogna fidarsi delle vendite che dichiara: 190 mila al mese per Tex Willer, 110 mila Dylan Dog, e altre 250 mila complessive tra Julia, Nathan Never, Zagor, Martin Mystère e gli altri albi periodici. L’altro gigante invisibile all’AIE è Diabolik, che dovrebbe vendere ancora intorno alle 100 mila copie.
Il fumetto industriale italiano si basa su un tipo di editoria che fa della ripetizione costante il proprio punto di forza e che ha vendite in edicola ancora impressionanti, per quanto in erosione. I due grandi classici del fumetto industriale italiano sono immutabili: Tex Willer uscì per la prima volta nel 1948 in formato striscia, ma ha lo stesso formato già dagli anni Cinquanta, mentre Diabolik conserva dal 1962 – quando fu creato dalle sorelle Giussani – lo stesso formato tascabile (12 x 17 cm), lo stesso disegno essenziale e sintetico, e la stessa grafica fatta di due vignette per pagina in bianco e nero. Un pezzo di design immutabile, come la caffettiera Bialetti o La Settimana Enigmistica. A differenziare il fumetto industriale italiano, infatti, è il formato, simile a quello dei fumetti da librerie giapponesi. (L’altro formato dominante in Giappone è il magazine: antologie di migliaia di pagine, simili agli antichi elenchi del telefono). La ragione è storica: negli anni Quaranta i fumetti venivano pubblicati a strisce singole, che gli editori pensarono di accorpare per risparmiare su carta e spese di stampa, dando vita al formato tascabile.
Gli altri grandi editori italiani di fumetti da edicola sono tre: Panini Comics di Modena che, oltre ai periodici Disney, distribuisce i fumetti Marvel e Planet Manga; RW edizioni di Novara che ha la licenza DC Comics, quindi Batman, Superman, Flash, Wonder Woman, una linea manga di successo ed è probabilmente il terzo editore per quantità di titoli all’anno, e Star comics di Bosco, in provincia di Perugia, il principale concorrente di Panini nel settore manga.
La libreria e il caso Zerocalcare
Se le edicole sono in lenta discesa, ma pur sempre inarrivabili per volumi di vendita, la novità degli ultimi anni è rappresentata dalla crescita delle vendite in libreria e dall’affermarsi progressivo dei graphic novel (i romanzi d’autore a fumetti) soprattutto di autori italiani. I dati del 2015 risentono delle vendite eccezionali di Zerocalcare, pubblicato da Bao publishing, che ormai è stabilmente intorno alle 100 mila copie. Il secondo autore italiano più venduto è Gipi – peraltro blogger del Post – i cui libri sono pubblicati da Coconino Press e vendono intorno alle 40 mila copie.
A parte i più famosi, è ormai abbastanza frequente che un titolo possa vendere intorno alle 10 mila copie, quanto un romanzo di discreto successo. Gli ultimi pubblicati da Bao sono Golem di LRNZ, Il porto proibito di Teresa Radice e Stefano Turconi, La distanza di Colapesce e Baronciani. Negli ultimi dieci anni, cioè, i graphic novel stanno progressivamente avvicinandosi ai libri anche in Italia, non soltanto per numero di copie vendute, ma anche e forse soprattutto per il pubblico a cui si rivolgono. Non è un fenomeno solo italiano. Nel 2006 negli Usa per la prima volta le vendite in libreria, quindi soprattutto di graphic novel, hanno sorpassato quelle dei negozi di fumetti, cioè di comic-books (albi). In Italia il sorpasso è molto lontano, ma la distanza si accorcia e, soprattutto, per i fumetti cresce un pubblico che prima non esisteva e che compra tanto, e anche a prezzi alti. Dieci anni fa in libreria erano presenti soltanto tre o quattro editori di fumetti, mentre oggi ci sono tutti.
L’editore leader in questo momento è Bao publishing, dove oggi lavorano in 13, tutti assunti a tempo indeterminato, senza quasi collaboratori esterni. Nel 2009, il primo anno, ha pubblicato 30 titoli, nel 2015 ne ha fatti 70 e nel 2016 ne farà 80 (ma l’intenzione è di scendere). Dice Caterina Marietti, coproprietaria e fondatrice di Bao: «La nostra idea è stata puntare sulle librerie, dove oggi facciamo il 70 per cento delle vendite, rispetto al 30 delle fumetterie. È un settore che cresce e di cui l’editoria si sta accorgendo. Abbiamo appena firmato un contratto con le librerie Feltrinelli per pubblicare quattro nostri titoli ricopertinati in esclusiva per loro: Kobane Calling di Zero, CineMAH presenta di Leo Ortolani, Fight Club 2 di Chuck Palahniuk e Cameron Stewart e Il suono del mondo a memoria di Giacomo Bevilacqua».
Il concorrente più forte di Bao è Rizzoli Lizard, che pubblica Makkox e grandi autori classici come Jules Pfeiffer, Hugo Pratt, Mariane Satrapi e Jiro Taniguchi. Poi ci sono Coconino Press, una specie di Adelphi del fumetto, di proprietà di Fandango; Tunuè, che fa anche narrativa, e Shockdom, che in edicola vende gli albi di Scottecs, e infine Beccogiallo, che spinge sul fumetto di inchiesta e l’attualità politico-giornalistica (cioè su quella che anche negli Usa pare essere la nuova tendenza dei graphic novel).
Perché il digitale fa fatica
I graphic novel sono, per molti versi, il contrario del fumetto classico. È un genere che si fonda su una lettura immersiva – long-form – rispetto al consumo veloce e a basso costo – short form – degli albi, ma soprattutto nega, per costituzione e vocazione, l’attitudine industriale e seriale alla base del fumetto classico, portato a ripetere all’infinito una formula che funziona. Le copertine degli editori di graphic novel non hanno una grafica stabilita, ma cambiano immagine, carta, lavorazione a ogni libro, perché si rivolgono a un pubblico che cerca l’oggetto-libro, non solo il contenuto, e pretende unicità. «È un pubblico che vuole la carta», dice Caterina Marietti, «composto anche di feticisti e collezionisti». Per questo le fumetterie rimangono fondamentali e le storie di successo proliferano in diverse edizioni e formati. (Dylan Dog – Mater Morbi di Roberto Recchioni e Massimo Carnevale, ripubblicato da Bao in formato lusso, ha venduto 12 mila copie).
Feticismo e collezionismo, o semplicemente amore per l’oggetto, sono le ragioni principali per cui il mercato digitale del fumetto non esiste quasi, tranne che negli Usa dove il formato è più adatto a essere trasposto su iPad. «Sì, secondo me, è anche questione di formati», dice Matteo Stefanelli, «siccome nel fumetto non esiste uno standard, alcune cose sui dispositivi digitali ci stanno meglio e altre non ci stanno proprio. Per esempio, i fumetti francesi sono troppo grandi. Invece i comic books americani sui tablet ci stanno benissimo, anche perché almeno da quindici anni hanno colorazione digitale. È una delle ragioni per cui è americano il leader mondiale degli editori digitali, Comixology comprata da Amazon. Se in Italia un mercato eBook di fumetti non esiste è anche perché non c’è catalogo, Bonelli e Disney online hanno messo pochissimo e mi risulta che la versione digitale di Topolino venga scaricata da qualche decina di lettori».