Domande e risposte sulla riforma della Costituzione
Le risposte fondamentali probabilmente le conoscete già, ma ce ne sono altre interessanti: per esempio, sarà davvero più rapido approvare le leggi?
La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il prossimo ottobre è la più vasta e complessa mai intrapresa nella storia della Repubblica italiana: prevede la modifica di più di 40 articoli, tanti quanti ne sono stati modificati nel corso degli ultimi 70 anni. Ecco alcune delle principali domande e delle criticità che sono sorte nel dibattito pubblico che si è sviluppato intorno alla sua approvazione. Le cose fondamentali da sapere sulla riforma costituzionale le trovate qui: anche una volta appreso come cambierà in caso di vittoria del sì, però, rimangono aperte delle domande collaterali, a cui abbiamo cercato di rispondere.
La riforma è stata approvata in maniera illegittima?
No. Molti criticano il metodo con cui la riforma è stata approvata: i parlamentari del Movimento 5 Stelle sostengono per esempio che la riforma sia illegittima perché il Parlamento che l’ha votata è stato eletto con una legge dichiarata in parte incostituzionale, il cosiddetto “Porcellum”. Come hanno scritto diversi giuristi, però, la sentenza che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale non ha tolto nulla alla legittimità del Parlamento che, secondo la Corte stessa, «può sempre approvare nuove leggi, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali», compresa quindi la possibilità di modificare la Costituzione.
Altri criticano il fatto che la legge sia stata approvata in fretta e da una maggioranza assoluta, senza il coinvolgimento di tutte le forze politiche che siedono in parlamento. La discussione della legge è cominciata l’8 agosto del 2014 e si è conclusa il 12 aprile del 2016, venti mesi in totale. La legge è passata tre volte alla Camera e altre tre al Senato. Alle prime votazioni la maggioranza era piuttosto ampia e comprendeva anche Forza Italia, all’epoca il principale partito di centrodestra. Successivamente Forza Italia ha votato contro, ma senza che il testo avesse subito particolari cambiamenti (Silvio Berlusconi, in particolare, è passato dall’appoggiare la riforma al denunciarne il rischio di “derive autoritarie”, in reazione al mancato coinvolgimento del suo partito nella scelta del nuovo presidente della Repubblica).
La possibilità di approvare una riforma costituzionale con una maggioranza assoluta è esplicitamente prevista dalla Costituzione; dal 1970 il Parlamento ha approvato la legge che attua la disposizione costituzionale che prevede di sottoporre a referendum confermativo una legge costituzionale che si stata approvata in questo modo. Entrambe le riforme costituzionali approvate nel corso degli ultimi 25 anni sono state approvata a maggioranza assoluta. La riforma del Titolo V del 2001 fu approvata dal centrosinistra con l’astensione del centrodestra e venne confermata al referendum costituzionale dell’ottobre successivo. Quella del 2006, la cosiddetta “Devolution”, fu approvata con i voti soltanto del centrodestra e fu respinta al referendum.
Il governo avrà più poteri?
Sì, ma pochi. La riforma costituzionale non riguarda direttamente i poteri del presidente del Consiglio e del governo, a differenza di quasi tutte le altre proposte di riforma degli ultimi anni (comprese quelle avanzate dal centrosinistra). L’unica eccezione è la possibilità per il governo di chiedere alla Camera di esaminare un disegno di legge particolarmente importante in tempi brevi. Quando il governo definirà un ddl “essenziale”, la Camera avrà cinque giorni di tempo per iscriverlo all’ordine del giorno e poi altri 70, prorogabili di altri 15, per metterlo ai voti. Una volta approvato, il Senato avrà dieci giorni per chiedere di poter esaminare il ddl (dovranno farne richiesta un terzo dei senatori) e poi 20 giorni (la metà del tempo normalmente consentito) per esaminarlo e chiedere eventuali modifiche che la Camera potrà respingere con un altro voto.
Con questo sistema il governo viene dotato di uno strumento in più per costringere le camere a discutere un determinato provvedimento entro un tempo prefissato: un massimo di 120 giorni. Nelle ultime legislature il tempo medio di approvazione dei ddl è stato intorno ai 150-200 giorni. D’altro canto il governo sarà rafforzato dalla riforma in maniera indiretta, perché avrà bisogno di ricevere la fiducia soltanto da una Camera: quasi tutti i governi caduti negli ultimi anni avevano perso la fiducia in uno solo dei rami del Parlamento.
Approvare le leggi sarà più rapido?
Sì, ma non di molto. La modifica più importante introdotta dalla riforma è la fine del “bicameralismo perfetto”, un istituto che in Europa possiede soltanto l’Italia. Questo significa, come abbiamo visto, che il governo non avrà più bisogno della fiducia del Senato, ma anche che non ci sarà bisogno di far approvare tutte le leggi sia dalla Camera che dal Senato. La procedura della doppia approvazione resta solo per alcune leggi, come quelle costituzionali. Tutte le altre saranno trasmesse al Senato che avrà dieci giorni di tempo per decidere se esaminarle. A quel punto, se un terzo dei senatori ne faranno richiesta, il Senato potrà, entro 40 giorni, suggerire delle modifiche alla Camera che, a sua volta, potrà respingerle con un semplice voto (se la materia della legge riguarda gli affari delle regioni, la Camera potrà respingere la richiesta di modifiche soltanto con un voto a maggioranza assoluta).
Questo procedimento elimina la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio tra Camera e Senato di una legge che si verifica a causa del bicameralismo perfetto (in passato alcune leggi sono state rimpallate tra Camera e Senato anche sette volte). Questo risparmio di tempo è considerato dai promotori del “sì” uno dei principali risultati della riforma. È importante sottolineare che, comunque, negli ultimi anni il problema delle navette si è considerevolmente attenuato. Nell’ultima legislatura i disegni di legge approvati con il numero minimo di due letture sono stati 301 su 391 leggi approvate in totale. Di queste la gran parte erano procedimenti “facili” da approvare, cioè conversione di decreti legge e trattati internazionali. I ddl governativi “veri e propri” approvati con due sole letture sono stati 88, mentre 90 hanno richiesto due o più letture.
Anche sui tempi la situazione è meno grave di quanto a volte si immagina, almeno per quanto riguarda i ddl di origine governativa: quelli che quantitativamente costituiscono la principale produzione legislativa da oramai alcuni decenni. Nelle ultime tre legislature, la seconda lettura al Senato di un disegno di legge (quella che sarà eliminata con la riforma) ha richiesto per i ddl di origine governativa in media 52, 38 e 67 giorni. Come abbiamo visto, la massima durata della “seconda lettura” dopo la riforma sarà di poco più di 50 giorni. Inoltre, a meno che il governo non utilizzi la possibilità di definire un ddl “essenziale” (come abbiamo visto sopra), la prima lettura alla Camera non avrà un tempo massimo.
Per quanto riguarda i ddl di iniziativa parlamentare, oggi i tempi di approvazione sono immensamente più lunghi, ma il problema non sembrano essere le navette: nel corso dell’ultima legislatura, per esempio, la prima lettura da sola di un ddl di iniziativa parlamentare ha richiesto in media 306 giorni alla Camera e 411 al Senato.
Il Senato potrà fare “ostruzionismo”?
No. Alcuni criticano la riforma costituzionale sostenendo che il nuovo Senato avrà la possibilità di rallentare l’attività legislativa chiedendo di esaminare ogni singolo provvedimento (come abbiamo visto, basta che un terzo dei Senatori ne faccia richiesta per attivare la procedura di esame da parte del Senato che può durare fino a 40 giorni). In questo modo, sostengono i critici, lo scopo della riforma – approvare le leggi più in fretta – sarà neutralizzato. Si tratta di una critica in netta contrapposizione con quella di coloro che parlano di “svolta autoritaria”, anche se a volte viene fatta dalle stesse persone. In ogni caso, per il momento, non sembra un’accusa fondata: il Senato ha tempi massimi prefissati per esaminare le leggi e proporre modifiche, non troppo diversi da quelli che già oggi impiega a effettuare le seconde letture.
Il nuovo Senato non servirà a niente?
Secondo alcuni, il nuovo Senato avrà competenze così limitate e confuse che finirà per avere un peso scarso o addirittura nullo. Come abbiamo visto, in effetti, le competenze del Senato si riducono moltissimo, anche se con la riforma otterrà la possibilità di proporre modifiche alle leggi che la Camera sarà costretta a respingere con un voto a maggioranza (dei presenti o assoluta a seconda dei casi). Su una serie di temi, come la riforma della Costituzione e le autonomie locali, il Senato manterrà una competenza identica a quella di oggi: le leggi su questi temi, quindi, andranno approvate con la consueta procedura bicamerale.
È vero, come sostengono alcuni critici, che i senatori continueranno a godere dell’immunità parlamentare, che li tutelerà dalle intercettazioni telefoniche e che sottoporrà il loro eventuale arresto a un’approvazione da parte del Senato. Sembra più difficile, però, sostenere che i consigli regionali useranno il Senato come “rifugio” i membri delle assemblee sottoposti a indagini. La riforma prevede che i senatori saranno scelti dalle assemblee regionali, ma sulla base di indicazioni che saranno fornite dagli elettori nel corso dell’elezione delle stesse assemblee. L’attuazione di questo principio è demandato a una legge ordinaria. Non è ancora chiaro cosa accadrà se il paese dovesse andare a elezioni prima che queste disposizioni siano attuate.
I costi della politica saranno tagliati?
Sì, ma in maniera trascurabile. I nuovi senatori non riceveranno alcuna indennità aggiuntiva, ma stimare con esattezza quanti risparmi ci saranno al momento è difficile. Si parla di cifre che oscillano tra i 50 milioni, stimati dal questore del Senato Lucio Malan (Forza Italia), e i 150 milioni di euro, che comprendono non solo agli effetti della riforma ma anche alla continuazione dell’opera di spending review già iniziata dal presidente Pietro Grasso, che in tre anni ha già portato a un risparmio di più di 100 milioni di euro (PDF). I risparmi dall’abolizione del CNEL saranno nell’ordine di alcuni milioni di euro, mentre è difficile stabilire quelli che deriveranno dall’abolizione delle province. Le assemblee provinciali non vengono rinnovate dal 2013, quindi buona parte dei risparmi che derivano dalla “riduzione delle poltrone” sono già stati ottenuti. I dipendenti delle province, che costituiscono la fetta significativa della spesa, non saranno licenziati e non è ancora chiaro come sarà gestita la loro situazione.
Il presidente della Repubblica potrà essere eletto da una sola parte?
No. È oggi che funziona così, in realtà: dal quarto scrutinio, l’attuale Costituzione prevede che il presidente della Repubblica venga eletto dalla maggioranza assoluta di deputati, senatori e delegati regionali. Con la riforma l’elezione del presidente della Repubblica sarà impossibile senza un accordo più ampio: come già avviene oggi, per le prime tre votazioni saranno necessari i due terzi dei voti, mentre dalla quarta alla settima saranno necessari i tre quinti e dalla settima in poi i tre quinti dei presenti (non del totale, quindi). A eleggere il presidente saranno deputati e senatori riuniti in seduta comune. Con la nuova legge elettorale, il cosiddetto “italicum”, la forza di maggioranza otterrà il 55 per cento dei seggi alla Camera, cioè 340 (sono esclusi dal conteggio del premio i 12 seggi della circoscrizione estero). Per eleggere il presidente della Repubblica sono necessari almeno 438 voti.
Ci saranno ancora conflitti tra stato e regioni?
Con la riforma del Titolo V, la parte della Costituzione dedicata alle autonomie locali, lo stato si riprende in maniera esclusiva alcune competenze che prima erano condivise con le regioni. Questo sistema, definito delle “competenze concorrenti”, era stato introdotto dal centrosinistra con la riforma del 2001 e nel corso degli anni aveva prodotto una serie lunghissima di contenziosi tra stato e regioni. Qui sotto trovate un elenco delle competenze concorrenti e della loro redistribuzione tra stato e regioni.
Si tratta di un passo indietro per chi crede nel cosiddetto “decentramento”, cioè nella delega di maggiori poteri a livello locale in modo da avvicinare il luogo in cui si prendono le decisioni a chi conosce meglio il problema e può essere meglio controllato dai cittadini. La riforma del 2001 era stata introdotta anche perché per lo stato centrale era molto difficile legiferare su alcuni temi: le competenze concorrenti avevano in sostanza lo scopo di devolvere poteri alle regioni, pur lasciando lo stato centrale in grado di intervenire.
Una parte di queste “competenze concorrenti” sembra riaffiorare anche nella riforma. Su alcune materie, per esempio salute, istruzione, turismo e politiche sociali, lo Stato non avrà una potestà legislativa “assoluta”, ma una potestà che concerne “disposizioni generali e comuni”: ci sarà quindi spazio per contestare un’eventuale sconfinamento da queste disposizioni. Questo spazio però – come si vede nell’immagine qui sopra – si è molto ridotto rispetto al passato. Lo Stato, inoltre, ha ripreso la potestà assoluta su temi come ambiente e infrastrutture, che nel caso delle trivelle e delle infrastrutture petrolifere sono state al centro di scontri e polemiche negli ultimi mesi.
La riforma è troppo complessa?
Se avete seguito fin qui vi sarete accorti che la riforma è molto complessa. Il procedimento legislativo, per esempio, ora può avvenire in forma bicamerale oppure monocamerale, che a sua volta si divide in monocamerale con proposte di modifica da parte del Senato che possono essere respinte a maggioranza semplice o monocamerale con modifiche che possono essere respinte a maggioranza assoluta. Un’altra procedura ancora è prevista per la conversione dei decreti legge. Il servizio studi della Camera dei Deputati ha realizzato alcune infografiche per spiegare questi meccanismi.
Diversi articoli della Costituzione vengono allungati e resi molto più dettagliati. Di fatto nella legge fondamentale dello stato vengono inserite norme che regolano l’attività parlamentare, e che in precedenza erano delegate a leggi ordinarie o a regolamenti parlamentari. Secondo i critici questa complessità rischia di portare a conflitti e ritardi. È difficile però giudicare oggi quali saranno tutti gli effetti di alcune delle norme più complesse introdotte dalla riforma.