Il Venezuela sta collassando
È raro che un paese in tempo di pace viva una situazione così disastrosa: anni di decisioni scellerate, corruzione e scarsa democrazia stanno presentando il conto
«Dubito che in qualsiasi altro paese del mondo, a eccezione di Cuba, esista un sistema sanitario migliore del nostro». Nicolás Maduro, presidente del Venezuela, ha descritto così la situazione della sanità venezuelana durante un incontro a inizio maggio a Caracas. Solo pochi mesi prima, a gennaio, il Parlamento aveva dichiarato l’emergenza sanitaria nazionale e aveva chiesto che venissero sbloccati gli aiuti internazionali in ambito sanitario, per mettere una pezza ai gravi guai degli ospedali venezuelani. Maduro aveva accusato il Parlamento – che dalle elezioni di dicembre è controllato dalle opposizioni – di voler fare propaganda contro il suo governo e indebolirlo: aveva liquidato la polemica sostenendo che era in atto un tentativo di privatizzare la sanità venezuelana.
Come hanno mostrato diverse inchieste giornalistiche, la situazione di molti ospedali venezuelani è tragica: non ci sono più antibiotici, guanti sterili e tubi endotracheali (quelli per intubare); i defibrillatori non funzionano, così come gli incubatori per i bambini nati prematuri; i medici usano i loro smartphone per guardare le lastre, visto che non ci sono computer funzionanti che mostrino le immagini ad alta definizione; i chirurghi che si preparano a un’operazione si lavano le mani con acqua gasata o seltz, arricchita quindi con bicarbonato o acido citrico, come quella che si usa per fare i cocktail; molti pazienti non hanno nemmeno un letto dove stare e sono costretti a rimanere sdraiati per terra. All’ospedale dell’Università delle Ande, nella città di Mérida, le tubature che portavano acqua alla struttura sono esplose lo scorso autunno e non sono mai state riparate per mancanza di fondi: se si deve operare di urgenza, capita che lo si debba fare in una sala sporca ancora del sangue del paziente precedente. Christian Pino, chirurgo dell’ospedale, ha detto: «È come se fossimo nel Diciannovesimo secolo».
La situazione sanitaria venezuelana, che ha dell’incredibile, è solo una delle cose che stanno collassando in Venezuela. Nicholas Casey, giornalista del New York Times, ha scritto pochi giorni fa che «i reparti ospedalieri sono diventati dei posti in cui convergono le cose che stanno facendo a pezzi il Venezuela», un paese dove manca tutto: elettricità, acqua, beni di prima necessità, lavoro e sicurezza.
Il Venezuela è entrato nel 2013 in una gravissima recessione economica e da allora il governo non è riuscito a trovare soluzioni efficaci. La situazione oggi è che non ci sono più soldi nemmeno per stampare i soldi, che i dipendenti pubblici lavorano solo due ore al giorno per la mancanza di elettricità, che i livelli di violenza e criminalità sono tra i peggiori al mondo e che presidente e Parlamento non collaborano su niente. Alcuni giornali internazionali hanno cominciato a riferirsi al Venezuela come a un paese al collasso o “sull’orlo dell’esplosione sociale“. In molti considerano Maduro e l’ex presidente Hugo Chávez i principali responsabili di quello che sta succedendo.
Chi è Nicolás Maduro, e cosa vuole
All’inizio del 2015, quando gli scaffali dei supermercati venezuelani avevano già cominciato a svuotarsi, Maduro commentò la difficile situazione economica del paese dicendo: «Dio provvederà». Poco meno di due anni prima, nell’ottobre del 2013, Maduro aveva usato un approccio simile – poco legato a soluzioni concrete, diciamo così – annunciando la creazione di un viceministero per la felicità suprema: «Avrà l’obiettivo di raggiungere la suprema felicità sociale», disse. L’iniziativa fu definita dai suoi oppositori uno “scherzo” che avrebbe avuto pessime ricadute internazionali. Ma uno degli episodi più ricordati e commentati fu quello del pajarito, l’uccellino, risalente all’aprile del 2013, poco dopo la morte dell’ex presidente venezuelano Hugo Chávez. Erano in corso la campagna elettorale per scegliere il nuovo presidente: Maduro si presentava come l’erede politico di Chávez, mentre il candidato dell’opposizione era Henrique Capriles. Durante una visita nella città natale di Chávez, Maduro raccontò di quella volta che lo spirito di Chávez si presentò a lui sotto forma di un uccellino:
«Lo sentii come se ci stesse dando la sua benedizione, dicendoci: “Oggi inizia la battaglia. Andate e vincete. Avete la nostra benedizione”»
Nicolás Maduro è nato 53 anni fa a Caracas da madre colombiana e padre venezuelano. È presidente del Venezuela dall’aprile del 2013: prima era stato – in ordine – autista di autobus e rappresentante sindacale, presidente del Parlamento venezuelano, ministro degli Esteri e vicepresidente. Maduro è considerato da sempre l’erede politico di Chávez: prima di sottoporsi al suo quarto e ultimo intervento chirurgico per rimuovere un tumore, Chávez parlò in televisione chiedendo ai cittadini del Venezuela di affidarsi a Maduro, nel caso lui fosse morto o se la malattia lo avesse reso incapace di fare il presidente. E così è successo: Maduro vinse le elezioni presidenziali del 2013 battendo Capriles, anche se di poco.
I primi mesi di presidenza non furono facili per Maduro, che cominciò a pagare per le politiche economiche insostenibili adottate negli anni precedenti. I problemi più grossi erano legati alla mancanza di beni come latte, farina, zucchero e caffè: in quel periodo l'”indice di scarsità” (scarcity index) era al 21 per cento, cioè su 100 beni considerati di prima necessità 21 erano difficili da reperire. Anche sui principali quotidiani italiani si parlò parecchio del Venezuela in quel periodo, soprattutto per la storia della carta igienica di produzione nazionale che era diventata praticamente introvabile. Cominciarono a circolare fotografie che mostravano code lunghissime fuori dai negozi gestiti dal governo: le persone che riuscivano ad accaparrarsi i pochi rotoli disponibili facevano scorta, uscendo dagli spacci e trasportando quante più confezioni era possibile. L’allora ministro del Commercio venezuelano, Alejandro Fleming, disse che la mancanza di carta igienica non era dovuta a una diminuzione della produzione ma «a una domanda eccessiva dovuta a una campagna mediatica per destabilizzare il paese». Su un muro di Caracas, in via Urdaneta, comparse una scritta che diceva: «El papel higiénico, ahora, es bolivariano» (“La carta igienica, ora, è bolivariana”), una specie di presa in giro con un riferimento a Simón Bolívar, un leader rivoluzionario venezuelano che contribuì all’indipendenza di diversi paesi sudamericani e che ispirò Chávez.
Un uomo trasporta diverse confezioni di carta igienica. Caracas, 22 ottobre 2015 (JUAN BARRETO/AFP/Getty Images)
Con Maduro gli effetti della grave recessione economica – che molti analisti attribuiscono al chavismo, l’ideologia politica sviluppata da Chávez e poi adottata da Maduro – cominciarono a farsi sentire di più rispetto agli anni precedenti, anche a causa dei grossi cambiamenti nel mercato internazionale del petrolio, su cui il Venezuela aveva basato la sua economia. C’è da considerare anche un’altra cosa, poi: Maduro non è Chávez, né per carisma né per popolarità.
Henry Ramos Allup, attuale presidente del Parlamento e membro dell’opposizione, ha raccontato al Guardian com’era Maduro da giovane: «né straordinario né mediocre. Normale». Allup ha aggiunto che i modi spesso impacciati di Maduro potrebbero essere conseguenza dello stress, e del tentativo di imitare lo stile autocratico che era tipico di Chávez. Uno dei problemi di Maduro è che con lui diversi argomenti molto popolari usati da Chávez hanno smesso di funzionare. Per esempio la retorica anti-americana e anti-imperialista, secondo cui le colpe di tutto sono delle potenze straniere interessate a far cadere il regime socialista del Venezuela.
Perché si parla di collasso e di chi è la colpa
In un articolo pubblicato sull’Atlantic, i giornalisti venezuelani Moisés Naím e Francisco Toro hanno scritto che negli ultimi due anni il Venezuela ha sperimentato un tipo di implosione che difficilmente si verifica in un paese a reddito medio in periodo di pace (Naím è uno dei giornalisti latinoamericani più famosi al mondo, ma è stato anche ministro in Venezuela nell’era pre-Chávez). A maggior ragione se si tiene conto che il territorio venezuelano è ricco di risorse petrolifere, che il governo non ha mai smesso di esportare nonostante la mancanza di elettricità.
«I tassi di mortalità sono alle stelle; i servizi pubblici stanno collassando uno dopo l’altro; l’inflazione a tre cifre ha lasciato oltre il 70 per cento della popolazione in condizioni di povertà; un’ondata ingestibile di criminalità ha costretto a rinchiudersi in casa la sera; le persone devono stare per ore in coda per comprare del cibo; moltissimi bambini muoiono per la mancanza di semplici medicine e macchinari negli ospedali, così come gli anziani e chi soffre di malattie croniche»
Negli ultimi tre anni uno dei problemi più grandi è stato la siccità: ha piovuto molto poco e tra il 2015 e il 2016 la situazione è peggiorata per l’arrivo di El Niño, un insieme di fenomeni atmosferici che si verificano nell’oceano Pacifico di solito con un picco nei mesi di dicembre e gennaio. L’acqua nelle dighe venezuelane, i cui impianti forniscono circa i due terzi di tutta l’energia elettrica del paese, ha raggiunto i suoi minimi storici; e si è cominciato a parlare del rischio che nelle condutture che portano alle turbine idrauliche finisca dell’aria, che potrebbe danneggiare o rompere le pale e far saltare tutto il sistema.
Per la mancanza di elettricità, a inizio aprile Maduro aveva annunciato che la settimana lavorativa dei dipendenti pubblici sarebbe durata solo quattro giorni; alla fine del mese i giorni sono stati ridotti a due. Anche l’ora del paese è stata cambiata: gli orologi sono stati spostati avanti di mezz’ora, in modo da guadagnare un po’ di luce. La giornalista Gretchen Bakke si è chiesta sul New Yorker: «Perché un paese con le risorse di combustibili fossili più grandi di tutta l’America Latina, e tra le più estese del mondo, ha deciso di generare energia con l’acqua, notoriamente una risorsa poco affidabile?». Il motivo, dice Bakke, non è legato a qualche politica a favore delle energie rinnovabili: il governo vuole esportare quanto più petrolio possibile, per guadagnare quanti più soldi possibili. Il problema è che il Venezuela non ha diversificato le sue fonti di energia: ha continuato a basarsi principalmente sull’acqua, nonostante la grande siccità che già colpì il paese con El Niño del 2010. Oggi la mancanza di elettricità crea continui blackout non solo a Caracas, ma anche in molte altre città del Venezuela.
John Sweeney, giornalista di BBC Newsnight, ha raccontato in un video diversi altri problemi del Venezuela, tra cui i tassi di violenza di Caracas (4mila omicidi solo lo scorso anno, che hanno reso Caracas una delle città più pericolose al mondo) e l’incredibile espansione del mercato nero, l’unico posto dove si possono comprare alcuni dei beni introvabili nei negozi legali. Una delle cose che si fanno al mercato nero è cambiare i dollari in bolívar, la moneta venezuelana. Come mostra Sweeney nel video, cambiando 100 dollari si ottengono pacchi di banconote pari a 100mila bolívar; facendo la stessa operazione in un ufficio di cambio legale se ne ottengono 20mila. Molti venezuelani hanno cominciato a cambiare i soldi al mercato nero: e per questo, dice Sweeney, «il governo sta perdendo il controllo dell’economia».
Secondo Naím e Toro, e secondo diversi altri analisti che si sono occupati di Venezuela, la crisi è cominciata molto prima del crollo dei prezzi del petrolio, che comunque ha contribuito a ridurre le entrate economiche legate all’esportazione del greggio. La crisi è cominciata e si è aggravata per una serie di ragioni, riconducibili tutte al chavismo: la propensione a una gestione scellerata delle risorse pubbliche, inclusi investimenti completamente sbagliati; il logoramento delle istituzioni democratiche, dovuto all’autoritarismo sia di Chávez che di Maduro; la persistente adozione di politiche che si sono mostrate infruttuose, come il controllo statale dei prezzi e del tasso di cambio; la corruzione molto diffusa tra i politici e i loro familiari. Per esempio, negli ultimi anni il governo venezuelano ha esteso il controllo dei prezzi a un numero sempre maggiore di beni: cibo e medicine, ma anche batterie per le auto, deodoranti e carta igienica. L’obiettivo era mantenere accessibili i beni anche ai più poveri ma le conseguenze sono state disastrose, hanno scritto Naím e Toro: quando i prezzi sono stati fissati al di sotto dei costi di produzione, i venditori non sono più riusciti a produrre a un ritmo tale da rifornire gli scaffali dei supermercati: «I prezzi ufficiali sono bassi, ma è un miraggio. I prodotti sono scomparsi».
Il presidente venezuelano Hugo Chávez (a destra) e il suo ministro degli Esteri Nicolas Maduro durante un incontro a Tiquipaya, in Bolivia, il 22 aprile 2010 (AIZAR RALDES/AFP/Getty Images)
Lo stato è cronicamente a corto di fondi ed è costretto a stampare sempre più denaro per finanziare la sua spesa: ma il problema è che se viene stampata più moneta si toglie valore a quella che c’è già in circolazione, aumentando ulteriormente l’inflazione e facendo peggiorare la situazione iniziale che si voleva risolvere. Negli ultimi due anni il governo venezuelano ha offerto a diverse società tipografiche delle commesse per la stampa delle banconote (è un’operazione che non fa necessariamente la Banca centrale): poi però sono finiti anche i soldi per pagare il lavoro delle società tipografiche che stampano i soldi, come ha rivelato Bloomberg un mese fa. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che di questo passo i prezzi in Venezuela aumenteranno del 720 per cento nel 2016 e del 2.200 per cento nel 2017.
Si vede una fine al chavismo?
A dicembre in Venezuela si è votato per rinnovare il Parlamento e per il partito di Maduro è stata una sconfitta disastrosa: le opposizioni, riunite in una coalizione, hanno ottenuto 112 seggi su 167. Era da 17 anni che nessuno riusciva a togliere il controllo del Parlamento ai socialisti. Il consenso nei confronti di Maduro sta crollando, dicono diversi sondaggi, e le opposizioni stanno raccogliendo le firme per un referendum che dovrebbe decidere se interrompere il mandato presidenziale prima della sua fine naturale, all’inizio del 2019. Per indire il referendum è necessario che l’1 per cento dell’elettorato in ciascuno dei 23 stati venezuelani, così come a Caracas, firmi una petizione che lo sostenga. I promotori dicono di avere raccolto nel giro di pochi giorni quasi due milioni di firme, che però ora vanno verificate dal Consiglio elettorale venezuelano, un organo che dovrebbe essere indipendente ma che di fatto è controllato dal governo. Il processo sta andando molto a rilento e al momento non è facile prevedere cosa succederà.
Il leader dell’opposizione venezuelana, Henrique Capriles, durante una conferenza stampa a Caracas il 17 maggio 2016 (JUAN BARRETO/AFP/Getty Images)
Intanto lo scontro politico tra Parlamento e presidente sta bloccando la politica venezuelana. A metà maggio Maduro ha dichiarato un nuovo stato di emergenza senza l’approvazione del Parlamento, dando le colpe della crisi alle potenze straniere e al capitalismo. Lo stato di emergenza permette a Maduro di intervenire nell’economia pubblica e privata del paese senza il consenso del Parlamento, e usare l’esercito per la distribuzione del cibo, tra le altre cose. Maduro ha anche minacciato di chiudere del tutto il Parlamento: è pieno di «fascisti», ha detto. «È solo questione di tempo prima che scompaia».