C’è una nuova teoria sui capelli di Trump
Un lungo articolo di Gawker ipotizza che siano una specie di "cappello" creato da una misteriosa società
Dei capelli di Donald Trump, il controverso candidato Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, si discute da anni, ben prima della sua candidatura: è un riporto? Un trapianto andato così così? Un parrucchino? Nel tempo sono state fatte le ipotesi più disparate, confutate ogni volta dallo stesso Trump: secondo lui i suoi capelli sono fatti così e basta, e la loro forma bizzarra è dovuta al fatto che li pettina poco dopo averli lavati e poi li lascia asciugare da soli. Pochi mesi fa un informato articolo di Quartz gli aveva dato ragione: Trump ha questa capigliatura da sempre, e i suoi capelli sono così fitti e l’attaccatura è così in evidenza che è improbabile che nascondano una calvizie o facciano parte di un parrucchino. Un lungo e recente articolo di Gawker ha però riaperto la questione: secondo Gawker, Trump non ha un riporto né indossa un parrucchino, ma utilizza da anni una specie di stretto “copricapo” agganciato ai suoi capelli, e fabbricato da una misteriosa azienda i cui uffici di New York per anni si trovavano nella Trump Tower, sullo stesso piano di quelli di Trump.
I dubbi di Gawker
I dubbi si concentrano intorno al fatto che la capigliatura di Trump sembra essere un’entità separata dal suo scalpo: si vede per esempio questo video – ma anche in diverse foto scattate a Trump – in cui una folata di vento solleva il lungo ciuffo che Trump ha sulla fronte, che si alza in maniera compatta.
E ancora un pezzo di un video già circolato molto: Trump che viene attaccato da un’aquila reale durante un servizio fotografico realizzato da Time nel suo ufficio. Il movimento dei suoi capelli è effettivamente molto strano: sembra che si spostino in massa e che poi tornino tutti insieme al loro posto, come se fossero una specie di cappello.
Un’ipotesi
Gawker dice di essere stato contattato da una fonte che sostiene di poter spiegare esattamente perché i capelli di Trump sono così strani: la fonte, la cui identità non viene rivelata, sostiene che i capelli di Trump siano curati da una società chiamata Ivari International, a cui si è rivolto nel 2000 per chiedere un trattamento. In quell’occasione scoprì che Trump era un cliente di Ivari.
Ivari è una semi-sconosciuta società americana specializzata nel trattamento delle calvizie: uno dei metodi che utilizza, anche secondo il loro stesso sito, è quello dei “microcilindri”. Semplificando molto, i capelli naturali del paziente vengono raggruppati in piccoli ciuffi da dei cilindri: a ciascun ciuffo viene legato un filo (l’oggetto numero 4, nell’immagine qui sotto), a cui è collegata una specie di “rete” di capelli artificiali – un copricapo, appunto – che viene così agganciata a quelli naturali. Sul loro sito, quelli di Ivari promettono di poter risolvere alcune calvizie in un solo intervento di applicazione della “rete” di 10 ore, ma che sono previsti diversi interventi nel caso il paziente desideri un’applicazione progressiva.
La fonte di Gawker spiega che nel 2007 l’operazione iniziale costava 60mila dollari, e che il copricapo aveva bisogno di una manutenzione mensile che poteva costare dai 300 ai 3.000 dollari (il testo di una causa intentata contro Ivari nel 2001 sembra confermare che ogni mese il copricapo si allenti, per via della crescita dei capelli naturali, e che per questo sia periodicamente necessario stringere i cilindri). Gawker ammette che ci sono ancora diversi punti oscuri nel trattamento dei microcilindri di Ivari, che è stato ricostruito solamente in base a un trattamento simile effettuato da un’altra clinica e dai brevetti depositati da Ivari, che non ha voluto parlare con Gawker. Per esempio c’è la questione di una misteriosa operazione di microextension citata in una brochure di Ivari, che potrebbe spiegare la lunghezza del ciuffo di Trump, ma di cui al momento non si sa nulla.
La stessa Ivari è una società piuttosto misteriosa: apparentemente il suo sito non viene aggiornato dal 2005, i suoi uffici a New York e in California non esistono più. Gawker ha provato a prendere appuntamento con la società telefonando al loro ufficio di Parigi: l’indirizzo era sbagliato, e la Ivari non ha più ricontattato il potenziale cliente. Non che la Ivari non sia mai esistita: fra il 1995 e il 1997 pubblicava regolarmente le proprie inserzioni sul New York Magazine e nel 1997 sosteneva di avere gli uffici al 25esimo piano della Trump Tower, lo stesso in cui si trovano quelli di Trump (ora il sito dice che l’ufficio di New York sta traslocando, ma la scritta è lì dal 2005).
Né Trump né Edward Ivari, il fondatore della società, hanno accettato di parlare con Gawker per questo articolo: la teoria di Gawker è che da anni la Ivari abbia fatto perdere le proprie tracce per occuparsi quasi solo di Trump, ricco a tal punto da poter garantire all’azienda di lasciar perdere tutti gli altri clienti: ma finora non c’è nulla di confermato.