Il Gran Premio di Monaco del 1996
Vent'anni fa, sul più celebre circuito di Formula 1, si svolse una delle gare più imprevedibili di sempre: tra pioggia e incidenti, solo in quattro arrivarono alla fine e vinse un pilota semi sconosciuto
di Antonio Russo – @ilmondosommerso
Domenica 29 maggio tra le strade urbane del Principato di Monaco si correrà la 74esima edizione del Gran Premio di Monaco di Formula 1, la gara più famosa tra quelle della più importante competizione motoristica al mondo. Per i non appassionati di corse si tratta di un Gran Premio noto principalmente per tutto quello che ci sta intorno, più che dentro: superattici con piscina, yacht di lusso attraccati al porto, gente famosa, gente non famosa ma in costume da bagno. Per tutti gli altri è una corsa nota per le difficoltà nei sorpassi e per l’impegno e la grande attenzione richiesti ai piloti nella guida: si corre lungo strade cittadine molto strette, solitamente destinate al normale traffico urbano (aperte alle auto anche nel fine settimana del Gran Premio, prima e dopo le prove e la corsa).
Ayrton Senna, da molti ritenuto il più forte pilota di Formula 1 di tutti i tempi, vinse questa corsa sei volte, più di qualsiasi altro pilota, e una volta disse: «Non solo quello che si attraversa sotto l’hotel, ma tutto il circuito era come un tunnel». La difficoltà sta nel fatto che lambire i guardrail che delimitano la carreggiata della pista non è un rischio indesiderato ma una necessità: seguire traiettorie più “interne” e sicure richiederebbe una minore velocità in entrata e in uscita dalle curve e determinerebbe, di conseguenza, un tempo più lento di percorrenza del giro. Per dirla usando un modello molto approssimativo e semplificato, è come cercare di far circolare molto rapidamente una biglia sulla superficie di un vassoio: quanto più velocemente si tenterà di far circolare la biglia, tanto maggiore sarà la tendenza della biglia a spostarsi verso l’esterno del vassoio: e il difficile, diciamo, è non farla cadere fuori dal vassoio.
Dato il rischio elevato di commettere errori irrimediabili e incidenti, non sorprende che diverse edizioni di questo Gran Premio siano state caratterizzate da numerosi ritiri durante la gara: in cinque edizioni arrivarono al traguardo soltanto sei piloti; una volta, nel 1968, ne arrivarono al traguardo soltanto cinque, e nel 1966 soltanto quattro. Per trent’anni rimase un record ineguagliato, finché in una domenica di maggio del 1996, vent’anni fa, si corse a Monaco – sull’asfalto bagnato a causa della pioggia – uno dei Gran Premi più ricordati e incredibili di sempre: arrivarono quattro macchine al traguardo, e nessuna tra queste era accreditata, anche solo lontanamente, a vincere la corsa. Fu la quinta gara del campionato mondiale del 1996.
La Formula 1 nel 1996
Dopo due mondiali vinti consecutivamente dalla squadra Benetton nel 1994 e nel 1995, nel 1996 alcuni profondi cambiamenti nelle squadre più famose avevano generato nuovo interesse intorno alla Formula 1 e fornito i presupposti di un campionato mondiale, se non avvincente, teoricamente più incerto. La Ferrari aveva sostituito entrambi i suoi piloti – il francese Jean Alesi e l’austriaco Gerhard Berger, ceduti alla squadra Benetton – e ne aveva ingaggiato due nuovi: un irlandese non velocissimo ma baldanzoso e irriverente, Eddie Irvine; e un formidabile tedesco, Michael Schumacher, campione del mondo con la Benetton nelle due stagioni precedenti, e ormai da molti ritenuto il pilota più forte in circolazione in seguito alla morte di Ayrton Senna. «Ci è costato come un tozzo di pane, ma con molto caviale», disse (autocitandosi) l’allora presidente della Fiat Gianni Agnelli riguardo il costo dell’ingaggio di Schumacher.
La novità rispetto ai due anni precedenti era che il pilota più forte di tutti non correva più con una macchina tanto veloce: la Ferrari – che stava messa ben peggio di quanto stia messa oggi – aveva vinto soltanto due Gran Premi nelle precedenti cinque stagioni, e non vinceva un campionato mondiale da tredici anni (il titolo più importante, cioè il campionato mondiale per piloti, non lo vinceva addirittura dal 1979). Tutte e cinque le prime gare della stagione del 1996, come previsto da molti addetti, erano state vinte dalla squadra inglese Williams, nettamente la più veloce. E si era già intuito che il campionato se lo sarebbero conteso i suoi due piloti, l’inglese Damon Hill, già principale avversario di Schumacher nel 1994 e nel 1995, e un giovane esordiente canadese circondato dalla curiosità e dalle aspettative di numerosi osservatori: Jacques Villeneuve, figlio di Gilles Villeneuve, forse il più apprezzato tra i piloti della Ferrari che non abbiano mai vinto un titolo.
Il GP di Monaco del 1996: le qualifiche
Per uno che non ci ha mai guidato prima con una macchina di Formula 1, il Gran Premio di Monaco deve essere una cosa alquanto difficile: Jacques Villeneuve, pur guidando una macchina ampiamente in grado di fare la pole position, ottenne in qualifica soltanto il decimo tempo, e mostrò enormi difficoltà di guida per tutto il fine settimana (Villeneuve, a dirla tutta, non concluse mai granché in nessun’altra delle edizioni del Gran Premio di Monaco che disputò in carriera).
Nel 1996 le qualifiche di Formula 1, per regolamento, avevano uno svolgimento diverso rispetto a quello attuale: per stabilire l’ordine di partenza in gara, tutti i piloti correvano insieme sabato in un’unica sessione, non tre. Per cercare di compiere il giro più veloce i piloti avevano a disposizione 60 minuti e soltanto 12 giri (solitamente quattro tentativi: nei 12 giri c’era da contare anche quello di uscita e rientro nella corsia dei box). Contrariamente a tempi più recenti, la Ferrari andava molto male in gara – sia il telaio che il motore avevano grossi difetti di progettazione e non “reggevano” a lungo – ma andava piuttosto bene in qualifica. Dopo aver ottenuto nel Gran Premio precedente, a Imola, la sua prima pole position alla guida di una Ferrari, Schumacher ottenne la pole position anche a Monte Carlo con un giro sorprendente (nella prima parte non era stato velocissimo). La Ferrari non otteneva una pole position nel Gran Premio di Monaco dal 1979.
Nel tentativo di compensare i limiti strutturali della sua macchina – anche a costo di rimetterci qualcosa in comodità di guida – fin dalle prime gare Schumacher aveva preso l’abitudine di inclinare la testa da un lato durante la percorrenza di lunghi rettilinei (si nota anche al minuto 00:48 del video qui sopra). Questa posizione della testa, teoricamente, favoriva un maggiore afflusso di aria nella parte della macchina destinata alla presa d’aria necessaria al raffreddamento del motore (è quel foro presente poco sopra l’altezza del casco anche sulle attuali macchine di Formula 1).
La pioggia e la partenza
Domenica 19 maggio, a metà mattina, un breve ma violento temporale nel Principato di Monaco rese l’asfalto bagnato e scivoloso, e il maltempo delle ore seguenti impedì che la pista potesse asciugarsi in tempo per l’inizio della corsa. I commissari di gara valutarono e decisero di posticipare la partenza di un quarto d’ora per permettere ai piloti di compiere prima qualche giro di prova sulla pista bagnata. In quei giri di prova uno dei ventidue piloti del Gran Premio – l’italiano Andrea Montermini, pilota della Forti, una delle macchine più lente – danneggiò la sua macchina in un incidente e fu il primo eliminato dalla corsa, senza neanche essere partito.
Schumacher non riuscì a sfruttare il vantaggio di partire dalla pole position e si ritrovò già alla prima curva dietro la Williams guidata da Damon Hill. L’olandese Jos Verstappen (padre di Max Verstappen) fu l’unico pilota impavidamente partito con gomme da pista asciutta su una pista ancora semibagnata: finì contro le barriere alla prima curva, poco prima che altre due macchine di bassa classifica si ritirassero a causa di un incidente. Ma l’errore di guida più clamoroso e inatteso lo commise Schumacher, peraltro noto per le sue capacità di guidare bene anche sul bagnato: alla curva numero 6 (Mirabeau basso) la sua Ferrari scivolò sul cordolo interno alla curva e perse aderenza finendo diritto contro la barriera all’esterno della curva.
Alla fine del primo giro le macchine ancora in pista erano sedici (un altro pilota era finito contro le barriere alla penultima curva). Alla fine del decimo le macchine in pista erano soltanto dodici.
La sfortuna di Hill
Per una buona metà della gara, mentre molti piloti alle sue spalle si ritiravano a causa di errori e ulteriori incidenti, Damon Hill rimase in prima posizione. Guidava molto velocemente ma con grande cautela, e diede l’impressione di poter vincere per la prima volta nella sua carriera un Gran Premio che suo padre Graham, pilota molto forte e conosciuto degli anni Sessanta, vinse cinque volte (lo chiamavano “Mister Monaco”). Nel corso del trentanovesimo giro, però, una spia sul cruscotto della macchina guidata da Damon Hill segnalò al pilota un malfunzionamento: un giro dopo, mentre Hill percorreva la galleria che si trova più o meno a metà circuito, una fumata bianca proveniente dalla parte posteriore della sua macchina indicò inequivocabilmente la rottura del motore.
Era quasi un anno che la Williams non aveva guasti meccanici di alcun tipo (generalmente molto più frequenti allora rispetto a oggi). Nelle tre stagioni successive, le sue ultime in Formula 1 prima del ritiro, Damon Hill non ebbe altre occasioni di vincere questo Gran Premio. In prima posizione si ritrovò quindi l’ex pilota della Ferrari Jean Alesi, partito dal terzo posto in griglia. Era un altro, Alesi, di cui si è sempre detto avesse molto talento nella guida sul bagnato, ma quel giorno non era mai stato veloce quanto Hill: dopo venti giri aveva un ritardo di oltre venti secondi.
Intanto, tra i piloti che seguivano Alesi, un altro pilota francese, il ventinovenne Olivier Panis – in Formula 1 da solo due stagioni ma con alle spalle una lunga gavetta in categorie minori – si era fatto notare per alcuni coraggiosi sorpassi nei confronti di McLaren e Ferrari, macchine teoricamente più veloci di quella che guidava lui. Panis – che quel giorno era partito dalla quattordicesima posizione in griglia – era uno dei due piloti della squadra francese Ligier, chiamata così per il nome del suo fondatore, Guy Ligier, facoltoso e ben ammanicato imprenditore francese, nonché ex pilota di motociclette e auto da corsa. La Ligier era una macchina da metà classifica: insieme a Jordan, Tyrrell e Sauber, stava in quel gruppo di macchine che solitamente facevano gare a parte, e che – per limiti di mezzi e risorse – non potevano competere con Williams, Ferrari, Benetton e McLaren.
Il giorno di Olivier Panis
Per venti giri dopo il ritiro di Hill, Alesi restò in prima posizione prima di dover rientrare forzatamente ai box a causa di un guasto a una sospensione della macchina. A quel punto, a molti cominciò a sembrare verosimile che Panis potesse vincere il suo primo Gran Premio di Formula 1: stava guidando molto bene fin dall’inizio della corsa, si era preso molti rischi nella guida e aveva mostrato gran belle cose, tra sorpassi e controsterzate da rally.
In Formula 1 esiste da tempo, ed esisteva già nel 1996, una regola che stabilisce per ogni Gran Premio una durata massima di due ore. Come spesso accade nel caso di gare interamente corse sull’asfalto bagnato – essendo i giri compiuti sulla pista bagnata comprensibilmente più lenti rispetto a quelli sull’asciutto – quel giorno il limite delle due ore fu raggiunto prima che i piloti completassero tutti i giri previsti (78).
Negli ultimi minuti, dietro la Ligier di Panis, si ritrovarono il pilota scozzese della McLaren David Coulthard e il britannico Johnny Herbert, che alla guida di una delle due Sauber si ritrovò in terza posizione senza aver compiuto neppure un sorpasso nel corso di tutta la gara. In quarta posizione c’era il compagno di squadra di Herbert in Sauber, il tedesco Heinz-Harald Frentzen; e dietro Frentzen, Irvine concluse una giornata piena di errori con un testacoda nel punto in cui aveva avuto l’incidente anche il suo compagno di squadra Schumacher, nel primo giro. In quel momento stavano per passare i due piloti finlandesi Mika Salo, che guidava la Tyrrel, e Mika Hakkinen, che guidava l’altra McLaren, e il tamponamento fu inevitabile.
Dopo aver tagliato il traguardo e compiuto il 75° giro pochi secondi dopo il termine delle due ore, Panis ottenne la sua prima e unica vittoria in Formula 1. La Ligier non vinceva una Gran Premio da quindici anni. Coulthard arrivò secondo, Herbert terzo e Frentzen quarto (dato che era parecchio indietro, rientrò subito ai box scadute le due ore, compiendo un giro in meno rispetto ai primi tre). Salo e Hakkinen si classificarono comunque al quinto e sesto posto essendo stati gli ultimi piloti a ritirarsi in ordine di tempo: i piloti che non tagliarono il traguardo furono complessivamente 18.
Il casco di Coulthard
Il pilota scozzese della McLaren David Coulthard, finito al secondo posto, guidò per tutto il Gran Premio di Monaco con un casco di “emergenza” che gli era stato prestato da Michael Schumacher poco prima della partenza. Si era reso conto di non avere portato con sé un casco con una visiera adatta alle condizioni di luce di quella giornata, e Schumacher gli prestò un suo casco di scorta, quello da lui già utilizzato in quella stagione nel precedente Gran Premio del Brasile (in cui Schumacher aveva ottenuto il terzo posto).
In seguito Coulthard raccontò che Schumacher non gli chiese di restituirgli il casco (Coulthard, oltre che un pilota, era un noto collezionista di caschi) e fece anche in modo di fargli avere segretamente una replica da consegnare al team manager della McLaren, Ron Dennis, un altro che desiderava mettere quel casco nella sua collezione personale. Che si sappia, quel casco fu l’unico nella storia della Formula 1 a finire sul podio di due diversi Gran Premi con due diversi piloti.
Che fine ha fatto Panis
Dopo essersi tolto la soddisfazione di vincere, da francese, un Gran Premio a Monaco guidando per una squadra francese, Panis non vinse altre gare nel corso della sua carriera in Formula 1. Nella stagione successiva, nel Gran Premio del Canada, ebbe un grave incidente in cui si fratturò entrambe le gambe e a causa del quale fu costretto a saltare le sette gare seguenti. Restò in Formula 1 per altre sette stagioni senza ottenere risultati importanti e senza avere mai l’opportunità di guidare una macchina veramente veloce. Dopo la Formula 1 ha guidato per qualche altro anno in categorie endurance (gare automobilistiche di resistenza, su percorsi molto lunghi) prima del ritiro, avvenuto nel 2012.