Due modi sbagliati di opporsi a populismi e demagogie
Angelo Panebianco spiega come le élite politiche si dimostrano tali solo se hanno idee e se sono idee diverse
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di oggi scrive di come le classi dirigenti politiche siano finite schiacciate dai cosiddetti movimenti populisti, incapaci di trovare un’alternativa al delegittimarli o cavalcarli, entrambe strategie perdenti: e suggerisce una strada alternativa, più complessa, perché possano comprendere questi fenomeni e superarli.
Le battaglie politiche sono condotte usando le parole e se le parole di qualcuno sono sbagliate la sua sconfitta è sicura. Chi continua a usare come un insulto la parola «populisti» per bollare gli attuali movimenti di protesta in crescita in tutta Europa (ma anche negli Stati Uniti), sembra non capire quanto grande sia il favore che ha già fatto e che sta facendo a quei movimenti. Senza rendersene conto sta dicendo all’opinione pubblica, agli elettori, che di qua ci sono coloro che comandano, le élite al potere, con il loro palato fino e il birignao e le arie da aristocratici, e dall’altro lato i «populisti», gli uomini e le donne rudi che si rivolgono al popolo, chiedono il voto del popolo (contro le suddette élite) e parlano anche «come» il popolo. Una volta ascoltate le élite fare concioni contro i populisti, per chi altri, se non costoro, potrebbe mai votare il «popolo»?
Il vero problema, e il tarlo, delle democrazie occidentali non sono i suddetti movimenti di protesta. Sono le non risposte o le risposte sbagliate delle élite, degli establishment. Sono loro a portare la responsabilità per la crescita dei movimenti che li sfidano. Questi ultimi non sono la malattia ma la febbre che segnala la malattia. Di fronte alla marea montante dei movimenti di protesta le élite hanno fin qui risposto con due strategie. La prima è consistita nell’inazione: non fare niente, limitarsi a condannare con parole dure tali movimenti, delegittimarli in ogni modo, e aspettare che passi «’a nuttata».