Le Isole Salomone stanno scomparendo
Diverse isole dell'arcipelago del Pacifico sono state sommerse per l'aumento del livello del mare, causato dal riscaldamento globale
di Ben Guarino − The Washington Post
Quando il livello dell’oceano si è alzato, hanno dovuto scappare. «Il mare ha iniziato ad arrivare nell’entroterra; ci ha costretto a spostarci in cima alla collina e a ricostruire lì il nostro villaggio, lontano dal mare», ha raccontato Sirilo Sutaroti, il capo 94enne della tribù Paurata, a un gruppo di scienziati ambientali australiani. Siamo nelle le Isole Salomone − un arcipelago formato da vulcani emersi e atolli corallini che si trova nell’Oceano Pacifico, a nordest dell’Australia − dove l’aumento del livello del mare sta erodendo la costa e, secondo i ricercatori, intere porzioni di territorio.
In un recente studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, alcuni scienziati hanno ricondotto il devastante aumento del livello del mare al cambiamento climatico antropogenico, cioè causato dall’uomo. Stando a quanto dicono scienziati il loro studio analizza per la prima volta in modo concreto l’erosione della costa nelle Isole Salomone nel contesto del riscaldamento globale. Lo studio è stato pubblicato in un periodo in cui i villaggi sulla costa − dove potrebbero vivere alcune centinaia di persone come Sutaroti, con radici familiari che potrebbero risalire a un secolo fa − si sono sparpagliati per poi riformarsi in gruppi più piccoli su terreni più adatti, a un’altitudine maggiore. Sull’isola di Nuatambu il mare ha portato via 11 case. «Ne rimangono 12», ha scritto al Washington Post Simon Albert, uno degli autori dello studio, che lavora come ingegnere civile alla University of Queensland, in Australia. «Le famiglie che se ne sono andate si sono spostate a Choiseul, una grande isola vicina». Quella che una volta era un’unica comunità si è divisa in cinque paesini più piccoli.
L’isola di Taro, un atollo abitato che si trova a nordovest delle Isole Salomone e capitale della provincia di Choiseul, potrebbe diventare la prima capitale del pianeta a essere abbandonata per colpa del cambiamento climatico, secondo il Sydney Morning Herald. Quando il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon visitò le Isole Salomone e la vicina Kiribati vide in prima persona come l’intera popolazione dell’Isola di Taro si stesse preparando a trasferirsi. In un discorso del 2014 Ban Ki-moon raccontò che anche la stanza dell’hotel dove soggiornava era fornita di giubbotti di salvataggio.
Le Isole Salomone, formate da sei isole principali e da un migliaio di altri isolotti, è uno degli stati insulari del Pacifico con minor densità di popolazione, dove poco più di mezzo milione di persone vive su una superficie di 26mila chilometri quadrati. Nonostante la bassa densità di popolazione, però, per alcuni abitanti delle Isole Salomone trovare un posto sicuro dove vivere è diventato difficile. «Nell’arcipelago ci sono grandi isole vulcaniche in cui le persone si possono trasferire», ha scritto Albert. Gli spostamenti, però, possono creare delle tensioni: «La maggior parte del territorio è controllata dai proprietari storici, e quindi spostare un gruppo di persone in un territorio altrui ha provocato un conflitto etnico», ha raccontato Albert. Molte persone rimaste a Nuatambu vorrebbero andarsene, ma non possono permetterselo.
Alcuni studi precedenti a quello di Albert indicano che nonostante l’aumento del livello del mare sia un pericolo per le coste, gli atolli e altre isole sembrano essere più resistenti, almeno nel breve periodo. I cosiddetti “atolli dinamici” sono in costante mutamento, secondo uno studio del 2014, e riescono a mantenere lo strato di sabbia superiore sopra il livello dell’acqua. Albert e i suoi colleghi, tuttavia, hanno catalogato 11 isole dell’arcipelago delle Salamone come sommerse, sei delle quali “erose in modo grave” e cinque affondate del tutto. Nei casi di erosione insulare esistono diversi fattori che possono mascherare o sopraffare gli effetti del cambiamento climatico. Albert ha citato la tettonica della placche, gli uragani, i moti ondosi e le interferenze dell’uomo come la costruzione argini o i progetti di bonifica.
Nel loro studio Albert e i suoi colleghi hanno cercato di focalizzarsi il più possibile sugli effetti del cambiamento climatico. «Lo studio che abbiamo condotto nelle Isole Salomone è unico perché le isole non hanno insediamenti abitativi», ha detto Albert, con l’unica eccezione di Nuatambu, dove gli abitanti rimasti costruiscono muri di pietra rudimentali a mano, che «non hanno grandi probabilità di fermare l’erosione», raccontano gli scienziati. Inoltre, l’aumento del livello del mare osservato dallo studio (che va dai 6 ai 10 millimetri circa all’anno) è tre volte la media globale. Nella maggior parte del mondo l’aumento dell’acqua causato dallo scioglimento dei ghiacciai ogni anno porta il livello del mare ad alzarsi impercettibilmente. Se però dovessero sciogliersi nell’oceano le calotte polari che ricoprono la Groenlandia e l’Antartide, entro il 2100 il livello degli oceani potrebbe alzarsi fino a quasi 15 metri.
Con l’aiuto di dati storici e di immagini satellitari delle Isole Salomone gli scienziati ambientali sono riusciti a mappare i cambiamenti di un sottoinsieme di 33 atolli corallini tra il 1947 e il 2015. A nord, dove le onde sono più forti, le isole avevano maggior probabilità di essere sommerse dal mare. Gli scienziati hanno però scoperto che queste isole non erano solo un insieme di cunette di sabbia sterile: le cinque isole affondate erano ricoperte di piante, alcune delle quali di 300 anni, secondo le stime. «Le isole avevano una fitta foresta tropicale», ha scritto Albert, «palme da cocco, un genere australiano di casuarina, mangrovie e pandani». Nelle zone in cui le foreste non sono scomparse completamente insieme alle isole rimangono solo tronchi di alberi morti e senza più foglie, che ricordano delle dita di uno scheletro che indicano il cielo.
Con l’aumento del livello del mare il cambiamento climatico ha portato alle Isole Salomone anche delle inondazioni devastanti. Una di queste nell’aprile del 2014 ha causato 31 morti, stando agli accertamenti scientifici seguiti al disastro: ventuno adulti morirono dopo il cedimento degli argini di un fiume provocato dalle piogge intense, a cui si aggiunsero dieci bambini morti successivamente per una forma infettiva di diarrea.
Ma le Isole Salomone non sono le uniche a dover affrontare la minaccia del mare. Le forti maree hanno devastato anche le Isole Marshall, dove in passato gli Stati Uniti svolgevano test nucleari. Nel 2014 i profughi dell’isola di Tuvalu potrebbero essere stati i primi a dover abbandonare il proprio paese per colpa del cambiamento climatico. Lontano dalle isole del Pacifico anche le città costiere sono a rischio, come Miami Beach, dove ci sono frequenti inondazioni. Se la temperatura della Terra dovesse aumentare di 4 gradi l’oceano potrebbe portare via le case di 760 milioni di persone.
Negli ultimi 20 anni il livello del mare intorno alle Isole Salomone è aumentato molto, ma la tendenza potrebbe cambiare. «Nel breve periodo la situazione potrebbe stabilizzarsi», ha detto Albert. Anche se oggi l’aumento del livello del mare dovesse rallentare, però, lo scenario a lungo termine rimane scoraggiante. «La velocità con cui recentemente è aumentato il livello del mare intorno alle Isole Salomone sarà diffusa in tutto il mondo nella seconda metà di questo secolo», ha detto Albert. Secondo lui le isole sommerse sono un presagio di quello che verrà.
© 2016 − The Washington Post