L’ultimo scudetto del Torino
Quello di Gigi Radice e dei "gemelli del gol", vinto in rimonta sulla Juventus giocando un calcio spettacolare e moderno
Il 1976 fu l’ultimo anno in cui in Italia l’anno scolastico iniziò il primo di ottobre. Fu l’anno del primo numero del quotidiano Repubblica, del golpe in Argentina e dello scandalo Lockheed. Nel 1976, quarant’anni fa, il Concorde effettuò il suo primo volo commerciale. In Italia, il Torino vinse il suo settimo campionato, ventisette anni dopo l’incidente aereo di Superga e quindi anche ventisette anni dopo l’ultimo scudetto della società. Nel 1976 il Torino dell’imprenditore Orfeo Pianelli, allenato da Gigi Radice, vinse il campionato con due punti di vantaggio sugli storici rivali della Juventus, all’epoca allenata da Carlo Parola.
Lo scudetto del Torino fu per molti versi sorprendente: per come iniziò il campionato e per le impreviste difficoltà della Juventus, considerata molto più forte delle altre squadre e irraggiungibile almeno fino alla ventesima giornata. Nelle stagioni precedenti il Torino aveva vissuto all’ombra dei successi della Juventus. Dal 1960, in cui il Torino era tornato in Serie A dopo una stagione passata in Serie B, all’anno dello scudetto, la squadra era arrivata una volta seconda e una volta terza. Nel 1967, poi, Luigi Meroni, centrocampista del Torino e uno dei calciatori italiani più talentuosi della sua generazione, morì dopo essere stato investito dall’auto guidata dal diciannovenne Attilio Romero — che nel 2000 sarebbe poi diventato presidente del Torino — mentre attraversava Corso Re Umberto. La morte di Meroni, a soli 24 anni, fu una sorta di rievocazione della strage di Superga, l’ennesimo avvenimento tragico nella storia della squadra torinese.
Dal 1963 al 1967 il Torino venne allenato da Nereo Rocco, uno degli allenatori italiani più vincenti di sempre. Nonostante non arrivarono risultati importanti, la permanenza di Rocco fu ritenuta fondamentale per i successi giunti nella metà degli anni settanta. Gigi Radice, ex calciatore di quarant’anni che in precedenza aveva allenato Cagliari, Fiorentina, Cesena, Monza e Treviso, arrivò a Torino nell’estate del 1975, quando era considerato uno degli allenatori più promettenti in attività. Già dalle prime amichevoli estive però, in molti iniziarono a criticare il modo in cui giocava la sua squadra, soprattutto per gli scarsi risultati ottenuti. Tifosi e giornalisti furono critici anche riguardo alla decisione di cedere alcuni dei giocatori più esperti e più legati al Torino, come Aldo Agroppi e Angelo Cereser. A questi si aggiunse il ritiro di Giorgio Ferrini, storico capitano della squadra e tuttora il giocatore con più presenze con la maglia del Torino. Ma la squadra si rafforzò comunque in modo adeguato con giocatori che poi si rivelarono più che adatti ai sistemi di gioco innovativi di Radice: su tutti il centrocampista Eraldo Pecci.
La stagione 1975/76 del Torino non iniziò bene. Nelle prime cinque giornate perse contro il Bologna, pareggiò con l’Ascoli e con la Sampdoria e vinse contro Inter e Perugia. Radice, però, come disse negli anni successivi, già dalle sue prime settimane si rese conto di allenare una squadra con un grandissimo potenziale formata da un gruppo di persone molto unite, che durante la stagione lo diventarono ancora di più. Nei mesi successivi la squadra mantenne un buon andamento e marzo si ritrovò a cinque punti dalla Juventus prima in classifica. Il regolamento del campionato italiano prevedeva ancora due punti a vittoria. Quei cinque punti rappresentavano un distacco notevole ma non non irraggiungibile.
Il 21 marzo la Juventus perse contro il Cesena e il Torino ottenne due punti vincendo a Roma. La rimonta del Torino proseguì con il derby del 28 marzo, quando la squadra di Radice vinse contro la Juventus 2-1, risultato che poi fu annullato dal giudice sportivo e tramutato in 2-0 per il Torino dopo che un petardo lanciato dai tifosi della Juventus esplose vicino a Luciano Castellini, portiere del Torino e uno dei giocatori simbolo di quella squadra. La Juventus perse anche la settimana dopo, contro l’Inter, e il Torino riuscì a sorpassarla di un punto grazie alla vittoria contro il Milan. Il Torino mantenne poi il vantaggio di un punto fino all’ultima giornata, prevista per il 16 maggio 1976.
L’ultima partita della stagione il Torino la giocò in casa, allo Stadio Comunale, contro il Cesena. Pareggiò 1-1 ma bastò, perché la Juventus perse a Perugia. Al fischio finale i tifosi del Torino, al corrente del risultato della Juventus, iniziarono a festeggiare. Radice entrò in campo con il suo staff, a cui aveva vietato di portarsi in panchina le radioline, in maniera molto composta seguito da fotografi e giornalisti. Fermò un suo giocatore e disse: «Dio bono mi è dispiaciuta veramente questa roba, vi siete lasciati prendere (riferendosi al pareggio causato da un autogol)». Al che un giornalista gli disse:«Ma non è contento? La Juventus ha perso, siete campioni d’Italia!». Radice, rimanendo serio e con la faccia di uno che non aveva vinto lo Scudetto, rispose: «Ha perso? Vabbè ma mi spiace per questa partita, perché veramente, ormai, era sbloccata». Continuò a dispiacersi per qualche secondo, nonostante gli abbracci dei giocatori. Poi iniziarono i festeggiamenti e Radice venne portato in trionfo.
La vittoria del Torino nel 1976 viene ricordata perché fu l’impresa di una delle prime squadre moderne del campionato italiano. Giocava con tre registi, Eraldo Pecci, Renato Zaccarelli e Claudio Sala, e in attacco schierava i “gemelli del gol”, ovvero i due formidabili attaccanti italiani Ciccio Graziani e Paolo Pulici, autori di 36 gol e ricordati come una delle coppie d’attacco più forti nella storia del campionato. La formazione titolare che vinse quel campionato era composta da Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Pulici.
Alcuni anni dopo, in un’intervista realizzata da Germano Bovolenta, Radice fece un breve riassunto di quel campionato vinto con il Torino e dell’idea di gioco che passò alla squadra, ispirata all’Ajax di Johan Cruijff:
“È nato non dico male, ma così così, senza entusiasmare. Le prime amichevoli le abbiamo perse e qualcuno, non nel nostro gruppo, cominciò a storcere il naso. Tutto qui?”.
“Siamo stati i primi a fare pressing. Molto movimento senza palla, il dai e vai in velocità. Quel Toro era una squadra moderna, che s’ispirava con metodo e chiarezza alla scuola olandese. Il modello era l’Ajax, il calcio totale, nuova luce e visione in Europa. Quel calcio mi ha affascinato subito. Già a Cesena cercavo, diciamo pure con buoni risultati, di portare in campo quelle concezioni. Oddio, è rischioso, non è facile applicare il fuorigioco, far scattare i meccanismi giusti. Ma è molto attraente e riempie di gioia”.
Radice rimase a Torino per altre cinque stagioni, anni in cui la squadra si affermò come una delle più forti del campionato, anche se non riuscì a vincere più niente. Nel 1977 perse lo scudetto dopo aver ottenuto cinquanta punti, cinque in più di quelli che le erano bastati a vincere l’anno prima, ma uno in meno della Juventus, che si prese la rivincita.