• Martedì 10 maggio 2016

A chi è sano servono i probiotici?

Una nuova ricerca aggiunge nuovi dubbi circa l'utilità degli yogurt e altri prodotti che "aumentano le difese immunitarie"

(OLGA MALTSEVA/AFP/Getty Images)
(OLGA MALTSEVA/AFP/Getty Images)

Una ricerca realizzata in Danimarca ha concluso che non ci sono prove convincenti circa l’utilità dei probiotici per mantenersi in salute, a differenza di quanto viene spesso sostenuto nelle pubblicità e sulle confezioni dei prodotti alimentari arricchiti con queste sostanze. La ricerca è basata sulla revisione e l’analisi di sette studi sul tema condotti negli ultimi anni e conferma i dubbi già sollevati in passato dai ricercatori, che non erano riusciti a dimostrare l’utilità dei probiotici nel “mantenere le proprie difese immunitarie”, come sostenuto nelle pubblicità dei prodotti che li comprendono negli ingredienti.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e quella per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), definiscono probiotici come gli “organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”. La definizione fa riferimento a microrganismi che non portano malattie e il cui uso è consentito nell’industria alimentare. Sono di solito presenti in yogurt da bere, barrette energetiche e in preparati di altro tipo e devono essere in grado di resistere ai succhi gastrici per arrivare ancora vitali nell’intestino, dove si uniscono al microbiota umano (l’insieme dei microorganismi che vivono in simbiosi con noi e contribuiscono, per esempio, ai processi digestivi e di assimilazione dei nutrienti).

I probiotici non sono considerati farmaci, quindi possono essere venduti normalmente nei supermercati e devono sottostare a regole meno rigide per quanto riguarda la pubblicità. Per questo motivo sulle loro confezioni e nelle campagne pubblicitarie si leggono dichiarazioni piuttosto forti circa la loro efficacia, tese spesso a fare passare l’idea che un loro consumo regolare sia utile per mantenersi in salute. Le massicce campagne pubblicitarie degli ultimi anni, soprattutto legate al settore degli yogurt e di altri prodotti caseari, ha portato il mercato dei probiotici a crescere notevolmente e a raggiungere un valore di circa 32 miliardi di dollari.

Oluf Pedersen, docente di metabolismo molecolare e genetica metabolica presso l’Università di Copenhagen, ha messo a confronto con i suoi colleghi i risultati ottenuti da sette diversi studi sui probiotici, alla ricerca di qualche risposta circa la loro presunta efficacia nel mantenersi sani. A seconda delle ricerche, i test avevano coinvolto tra le 21 e le 81 persone con un’età compresa tra i 19 e gli 88 anni, cui erano state somministrate quotidianamente dosi di probiotici sotto forma di yogurt, biscotti, bevande a base di latte e altri prodotti arricchiti con queste sostanze.

Su BioMed Central, Pedersen e colleghi scrivono che i probiotici si sono rivelati utili per le persone con problemi di salute come irritazioni all’intestino, coliti e diarrea. In questi casi possono contribuire a riequilibrare la cosiddetta “flora intestinale”, migliorando le cose. Ma secondo lo studio non ci sono prove consistenti e definitive circa l’utilità dei probiotici per le persone sane, né che il loro consumo aiuti a restare in salute.

Pedersen ha spiegato che: “Molti adulti in salute li prendono perché pensano di averne un qualche beneficio. Ma non c’è nessuna prova di questi effetti. C’è un’enorme discrepanza tra quello che si dice nelle pubblicità e le evidenze scientifiche. È un po’ come succede con i prodotti multivitaminici: le persone li prendono perché si sentono più al sicuro. È una specie di automatismo e lo stesso avviene con i probiotici”. Nadja Buus Kristensen, una ricercatrice che ha partecipato al lavoro di Pedersen, ha detto che: “Secondo la nostra revisione sistematica, non esistono prove convincenti su effetti tangibili dei probiotici esaminati nella composizione del microbiota fecale delle persone sane, nonostante i prodotti con probiotici siano consumati su grande scala dai consumatori”.

Lo studio di Pedersen e colleghi ha comunque messo in evidenza la mancanza di test più articolati sul tema, che potrebbero offrire nuovi elementi e prospettive. Le nuove ricerche dovrebbero essere organizzate in modo più sistematico, tenendo in considerazione le variabili legate alle abitudini alimentari dei singoli volontari, le loro condizioni di salute e la quantità di probiotici assunti durante il periodo di osservazione.