Chi era Felicia Impastato
La storia della madre di Peppino Impastato, che ottenne che si sapesse chi aveva ucciso suo figlio
Felicia Impastato era la madre di Peppino Impastato, il militante di estrema sinistra che venne ucciso dalla mafia a Cinisi, in provincia di Palermo, il 9 maggio 1978: lo stesso giorno in cui in tutt’altra storia altrettanto drammatica le Brigate Rosse uccidevano a Roma il leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Felicia Impastato ebbe un ruolo determinante e appassionato nella lunga ricerca della verità sull’assassinio di suo figlio, verità che fu a lungo depistata e nascosta dai responsabili dell’omicidio e dalle trascuratezze delle indagini.
“La mafia in casa mia”
Felicia Bartolotta era nata a Cinisi il 24 maggio 1915, in una famiglia di piccola borghesia: il padre era impiegato al Municipio e la madre casalinga. Nel 1947 sposò Luigi Impastato, che proveniva da una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia di Cinisi. Durante il fascismo Impastato era stato condannato a tre anni di confino e nell’ultimo periodo delle Seconda guerra mondiale aveva praticato il contrabbando di generi alimentari. Una sorella di Impastato era la moglie di Cesare Manzella, il capomafia di Cinisi. Il matrimonio con Impastato fu una scelta di Felicia che lei raccontò in un libro intervista del 1986, La mafia in casa mia: «Prima si stava all’obbedienza… e mi feci fidanzata con uno onesto… ma non lo volevo. Arrivai ad esporre il corredo ma quando dovevo andare a sposarmi dissi: Non lo voglio sposare». Decise quindi di sposare l’uomo di cui si era innamorata, Luigi Impastato, del quale però non conosceva i legami con la mafia: «Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo». Dal matrimonio con Impastato, Felicia ebbe tre figli: Giuseppe (Peppino) nel 1948, Giovanni nel 1949, morto a tre anni nel 1952, e un nuovo Giovanni nel 1953.
Presto però, a causa delle amicizie mafiose del marito, i rapporti tra lui e Felicia si fecero difficili: «Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava» raccontò Felicia. «Io gli dicevo: “Stai attento, perché gente dentro casa non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre”».
Nel 1963 il cognato di Felicia Impastato, Cesare Manzella, fu ucciso con un’autobomba durante la cosiddetta “Prima guerra di mafia”. Fu una cosa che fece una grande impressione su Peppino, il quale interruppe i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa: e Peppino ancora adolescente si impegnò sempre più in politica nei movimenti di sinistra e contro la mafia. Al contrario, Luigi Impastato continuò a mantenere buoni rapporti con il nuovo boss di Cinisi, Gaetano Badalamenti, che poi sarebbe stato condannato come mandante dell’omicidio del figlio.
Negli anni seguenti, Felicia Impastato difese sempre Peppino dal padre, ma cercò anche di proteggerlo dalle possibili reazioni dei mafiosi ai suoi scritti. Quando il figlio scriveva articoli contro la mafia sul foglio ciclostilato che aveva fondato assieme ai compagni, “L’Idea socialista”, Felicia faceva di tutto per evitarne la diffusione a Cinisi, e cercava di dissuadere in ogni modo Peppino dal parlare di mafia durante i suoi comizi pubblici.
Negli anni Settanta Impastato si impegnò in diverse esperienze politiche nei movimenti di estrema sinistra, tra cui Lotta Continua e Democrazia Proletaria, con cui si candidò alle elezioni nel 1978. Nel 1977 aveva fondato “Radio Aut”, una radio libera e autofinanziata, da cui denunciava gli affari dei mafiosi di Cinisi e del vicino paese Terrasini (in particolare quelli di Badalamenti, chiamato da Impastato “Tano seduto”), che avevano un ruolo di primo piano nel traffico di droga attraverso il controllo dell’aeroporto di Punta Raisi. Nel settembre dello stesso anno Luigi Impastato era morto investito da un’auto, e ai suoi funerali Peppino aveva rifiutato di stringere la mano ai mafiosi di Cinisi.
Quasi al termine di una campagna elettorale in cui attaccò molte volte Badalamenti, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 Impastato fu rapito e poi legato ai binari della ferrovia Palermo-Trapani, dove fu ucciso con una bomba al tritolo.
Le indagini sulla morte di Peppino Impastato
Da subito le indagini seguirono, anche contro l’evidenza, l’ipotesi di un attentato terroristico fatto dallo stesso Impastato e finito male, e quella di un suicidio: furono perquisite la casa di Impastato e quelle dei suoi compagni. Dopo qualche giorno, non credendo a nessuna delle due versioni, Felicia Impastato decise di costituirsi parte civile per cercare i colpevoli della morte del figlio e per proteggere l’altro, Giovanni (a quel tempo era possibile chiedere di costituirsi parte civile anche durante la fase istruttoria). Con questa scelta Felicia Impastato ruppe definitivamente con i parenti del marito. Felicia Impastato aprì la sua casa a tutti coloro che volevano conoscere la storia del figlio: «Mi piace parlarci, perché la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro si immaginano: “Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa”. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise».
Nei giorni successivi all’omicidio, i compagni di Peppino ritrovarono nel casolare in cui lui era stato portato e ucciso delle pietre macchiate di sangue, e il 16 maggio Felicia e Giovanni Impastato inviarono un esposto alla Procura di Palermo, nel quale indicavano come mandante dell’assassinio Gaetano Badalamenti. Per arrivare a una sentenza che riconoscesse la natura mafiosa dell’omicidio, si dovette aspettare il 1984: in maggio il Consigliere istruttore Antonino Caponnetto, proseguendo l’inchiesta avviata dal suo predecessore Rocco Chinnici (ucciso da un’autobomba nel 1983), stabilì che Peppino Impastato era stato ucciso dalla mafia, ma l’omicidio venne attribuito ad ignoti, per mancanza di prove.
Nel 1988 il Tribunale di Palermo inviò una comunicazione giudiziaria a Badalamenti, nel frattempo condannato per mafia negli Stati Uniti a 45 anni di carcere, ma nel maggio 1992 il fascicolo fu di nuovo archiviato: i giudici stabilirono che non era possibile individuare i colpevoli dell’omicidio di Peppino Impastato, ma ipotizzarono la responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Due anni dopo Felicia e Giovanni Impastato chiesero la riapertura delle indagini e che venisse interrogato sull’omicidio Impastato il mafioso “pentito” Salvo Palazzolo, originario di Cinisi, che indicò come responsabili dell’omicidio Badalamenti e il suo vice, Vito Palazzolo. Nel giugno 1996 l’inchiesta fu formalmente riaperta. Il 5 marzo del 2001 Vito Palazzolo venne condannato a trent’anni di prigione. L’11 aprile del 2002 Gaetano Badalamenti venne condannato all’ergastolo: morì due anni dopo. La giornalista dell’Unità Sandra Amurri scrisse, in un articolo del 2004 sulla morte di Badalamenti:
“È ancora viva nella memoria dei cronisti che hanno assistito al processo, quella piccola donna, che gli anni hanno reso curva, vestita di nero, mentre saliva sul pretorio accompagnata dagli avvocati per rendere la sua coraggiosa testimonianza. Don Tano la osservava, muto, in video conferenza, mentre se ne stava seduto in una stanza del carcere americano: ‘È stato Badalamenti ad uccidere mio figlio. A Cinisi lo sanno tutti’, ha tuonato la signora Felicia”.
Ne frattempo, nel 1998, la Commissione parlamentare antimafia aveva istituito un comitato speciale sul caso Impastato che nel dicembre 2000 approvò una relazione in cui parlava del depistaggio delle indagini sull’omicidio organizzato da alcuni carabinieri che avevano partecipato alle perquisizioni avvenute subito dopo il delitto. L’indagine della procura di Palermo sul depistaggio è iniziata nel 2011 ed è ancora in corso.
Felicia Impastato è morta il 7 dicembre 2004, a 88 anni, per un attacco d’asma. Dopo la sua morte, la casa dove ha vissuto è diventata la “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato”.