Storia di Ulrike Meinhof, una delle più famose terroriste del Novecento
Fondò un gruppo tedesco di estrema sinistra, scrisse un manifesto a difesa della lotta armata, morì quarant'anni fa in carcere
Sono passati quarant’anni dalla morte di Ulrike Meinhof, una delle più famose terroriste europee nella storia contemporanea. Meinhof faceva parte del gruppo terroristico di ispirazione comunista RAF (in tedesco Rote Armee Fraktion, “frazione dell’Armata Rossa”): morì impiccata a 41 anni in una prigione di Stoccarda, mentre stava scontando una pena per un attentato in cui era stata coinvolta.
La sua morte è rimasta controversa per molti anni – amici e parenti di Meinhof non credettero alla tesi del suicidio – ma la versione ufficiale, accettata anche dai giornali internazionali, è che Meinhof si sia uccisa in cella. Di Meinhof si è tornati a parlare più volte anche dopo la sua morte: per esempio in occasione di una controversia legata alla restituzione del suo cervello alla sua famiglia, e poi dopo l’uscita di La banda Baader Meinhof, un film tedesco che racconta la storia della RAF che nel 2006 fu candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Meihof nacque il 7 ottobre 1934 a Oldenburg, una città settentrionale nella Germania Ovest. Da giovane fu una popolare attivista di sinistra nei circoli degli studenti: nel 1957 si unì a una specie di associazione socialista degli studenti tedeschi, mentre due anni dopo entrò nel Partito Comunista tedesco, allora illegale in Germania Ovest. Negli anni Sessanta lavorò soprattutto come giornalista per la rivista di sinistra konkret. Nel 1970, sull’onda delle continue proteste di sinistra contro i governi della Germania Ovest, Meinhof fondò assieme a un altro attivista di nome Andreas Baader – di cui aveva seguito un processo per terrorismo, e che aiutò a scappare di prigione – un nuovo gruppo terrorista: la RAF, chiamata anche “banda Baader-Meinhof” dai nomi dei suoi due membri principali.
Come molti altri gruppi dell’estrema sinistra e organizzazioni radicali di quegli anni, la RAF aveva posizioni esplicitamente anti-capitalistiche e anti-americane. E sosteneva la lotta armata: rapinava banche, attaccava soldati americani e personaggi considerati parte dell’establishment tedesco. Come molti altri gruppi del genere, il loro impegno aveva una dimensione internazionale: si erano opposti alla guerra in Vietnam e impararono a praticare la lotta armata assieme a un gruppo di terroristi palestinesi in Giordania, nell’estate del 1970.
Uno dei contributi più importanti di Meinhof al gruppo e in generale al movimento terroristico di sinistra radicale fu la stesura di “Il concetto di guerriglia urbana”, una specie di manifesto ideologico dell’organizzazione e più in generale della lotta armata comunista. Meinhof fu arrestata circa un anno dopo aver scritto il manifesto e nel 1974 fu condannata a otto anni di carcere per avere aiutato Baader a evadere. Morì in prigione due anni più tardi, il 9 maggio 1976. La RAF andò avanti senza di lei, portando avanti diversi altri attentati terroristici fino al suo scioglimento, nel 1998 (su tutti l’uccisione dell’allora capo della Dresdner Bank, una delle principali banche tedesche, nel luglio del 1977).
Nel novembre del 2002 la figlia di Meinhof, la giornalista Bettina Röhl, chiese alle autorità tedesche che il cervello di sua madre le venisse restituito dopo che era venuta a sapere che per decenni era stato studiato da alcuni scienziati. All’epoca il cervello di Meinhof si trovava sotto il controllo di Bernhard Bogerts, uno psichiatra dell’università di Magdeburgo che lo studiava dal 1997. Bogerts spiegò che stava esaminando il cervello di Meinhof perché aveva notato alcune anomalie, causate probabilmente da un’operazione subita da Meinhof nel 1962 per asportare un tumore cerebrale. Bogerts spiegò che «la malattia mentale [di Meinhof] può spiegare la scelta di aderire al terrorismo». Nel 2002 le autorità gli ordinarono comunque di restituire il cervello di Meinhof alla sua famiglia.