• Mondo
  • Domenica 8 maggio 2016

La grande storia di spie che ha ispirato “The Americans”

Raccontata per la prima volta dal punto di vista dei due figli della coppia russa che per anni visse in incognito negli Stati Uniti

Tim e Alex Foley sono i figli di Donald Heathfield e Tracey Foley, una coppia di spie russe che per più di vent’anni si è finta una normale famiglia americana e che ha vissuto tra Canada, Francia e Stati Uniti (Heathfield e Foley sono degli pseudonimi: non è chiaro il motivo per cui i figli abbiano preso il cognome della madre). La loro storia è quella che ha ispirato la famosa e apprezzata serie The Americans, che è arrivata alla quarta stagione ed è prodotta dal network americano FX, mentre in Italia è stata trasmessa da Fox (le prime due stagioni sono anche su Netflix). Il Guardian ha pubblicato sabato 7 maggio l’incredibile storia della famiglia Foley, sulla base anche dei racconti dei due figli, Tim e Alex, che fino a quel momento non avevano mai dato un’intervista alla stampa.

Walker ha incontrato Alex Foley in un ristorante di Mosca. Alex ha accettato di dare l’intervista dopo che per mesi Walker aveva parlato ai due fratelli solo via Skype e per telefono. Oggi Alex Foley ha 21 anni e studia in una città europea, mentre suo fratello Tim ne ha 26 e lavora in Asia, nel settore finanziario. Entrambi i fratelli stanno cercando per vie legali di ottenere nuovamente la cittadinanza canadese che gli è stata tolta in seguito all’arresto del genitori. Il racconto di Walker inizia proprio con l’arresto, avvenuto il 27 giugno del 2010, il giorno del 20esimo compleanno di Tim Foley.

All’epoca la famiglia Foley viveva a Cambridge, in Massachusetts. Il padre dei due fratelli, Donald Heathfield, era un consulente di una società di Boston, mentre la madre, Tracey Foley, lavorava come agente immobiliare. La loro era all’apparenza la vita di “una normale famiglia americana”, hanno raccontato i loro vicini di casa dopo l’arresto. In quei giorni i Foley stavano programmando le vacanze estive, nelle quali avrebbero dovuto visitare Francia, Turchia e Russia. Erano appena tornati a casa da un ristorante indiano quando sentirono bussare alla porta. Aprì Tracy, e nel giro di pochi secondo la casa fu piena di uomini vestiti di nero muniti di armi automatiche. “FBI!”, urlarono, e nel frattempo una seconda squadra entrò dall’ingresso sul retro. Alex Foley, che all’epoca aveva 16 anni, ha raccontato che in quel momento pensò che il sospettato fosse lui: la sera prima aveva festeggiato con alcuni amici e bevuto alcolici, una cosa illegale prima dei 21 anni. Ma l’FBI era lì per ragioni molto più serie.

Donald Heathfield e Tracy Foley furono arrestati, caricati su due auto diverse e portati via. Gli agenti spiegarono ai due fratelli che i genitori erano accusati di essere spie russe. Tim e Alex furono mandati a dormire in un albergo per permettere all’FBI di perquisire la casa: per giorni rimasero convinti che l’FBI avesse sbagliato, che ci fosse stato uno scambio di persona. Ma non era così. Donald Heathfield e Tracey Foley erano in realtà i nomi di due cittadini canadesi morti da bambini e la cui identità era stata sottratta più di vent’anni prima da quello che allora si chiamava KGB, l’agenzia di spionaggio dell’Unione Sovietica. I veri nomi dei genitori di Tim e Alex erano Andrei Bezrukov ed Elena Vavilova: erano cittadini russi, entrambi arruolati e addestrati dal KGB e inviati in Canada e poi negli Stati Uniti per una delle missioni di spionaggio più ambiziose della storia.

Quel giorno, il 27 giugno del 2010, oltre a Heathfield e Foley furono arrestate in territorio americano altre otto spie russe. Gli agenti russi facevano tutti parte di un programma «unico nella storia» ed erano conosciuti con il nome di «illegali». Non erano normali spie, diciamo così. In quegli anni molti paesi usavano degli agenti sotto copertura diplomatica, cioè le classiche spie con identità segreta che vediamo nei film: cioè quelle reclutate tra gli immigrati di seconda generazione o tra agenti segreti e altro personale governativo disposti a tradire il proprio paese. L’Unione Sovietica faceva anche una cosa diversa: fu l’unico stato nel corso della Guerra fredda ad addestrare i suoi agenti affinché si fingessero cittadini di un altro paese. Il luogo preferito per inserire gli “illegali” era il Canada: qui le spie avevano il tempo di costruire la loro “leggenda”, la storia alternativa delle loro vite che li avrebbe resi indistinguibili dai comuni cittadini agli occhi delle agenzie di controspionaggio. Dopo il Canada, le destinazioni finali degli “illegali” erano il Regno Unito o gli Stati Uniti. Il ruolo di questi agenti era molto diverso da come ce lo fanno immaginare film e serie tv, compreso The Americans. Per il KGB, un “illegale” era prezioso soprattutto per il suo completo anonimato, e omicidi e inseguimenti ad alta velocità sarebbero stati uno spreco delle sue possibilità. Il suo vero scopo era permettere agli agenti del KGB di entrare in contatto con alcune fonti all’interno del governo e delle istituzioni americane senza destare sospetti. Un agente del KGB all’ambasciata di Washington che incontrava un funzionario o un importante uomo d’affari avrebbe allertato senza dubbio l’FBI; se quell’incontro avesse invece coinvolto un “illegale”, il risultato sarebbe stato molto diverso.

I Foley, della cui vita prima di arrivare in Canada si sa molto poco, facevano parte di uno degli ultimi gruppi di “illegali” a essere inviati negli Stati Uniti. O meglio: furono gli ultimi a essere scoperti. Arrivarono in Canada negli anni Ottanta e impiegarono anni a costruire la loro “leggenda”, frequentando corsi universitari, studiando a Parigi e ottenendo impieghi che non destassero troppa attenzione. Durante il loro periodo sotto copertura, la nazione che li aveva inviati a spiare gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, scomparve. Sotto la presidenza di Boris Yeltsin, i servizi segreti russi crollarono di importanza nella scala delle priorità del nuovo governo. Ma nel 1999 divenne presidente Vladimir Putin, a sua volta ex membro del KGB, e l’SVR, il nuovo nome assunto dal KGB, tornò a essere considerato una priorità.

I Foley e le altre otto spie russe cominciarono a essere sorvegliati due anni dopo, nel 2001. A tradirli fu un agente russo, che passò molte informazioni ai servizi segreti degli Stati Uniti. L’FBI iniziò un’operazione di sorveglianza che durò nove anni. Ancora oggi non è chiaro perché la sorveglianza fu interrotta, visto che spesso è molto più utile mantenere in piedi la rete e usarla per passare al nemico informazioni false. Una delle ipotesi che si è fatta è che alcuni illegali avessero capito di essere sorvegliati e si stessero preparando ad abbandonare il territorio americano.

Di fatto, nel giro di poche ore tutte le spie furono arrestate. La più famosa usava lo pseudonimo di Anna Chapman, una ragazza di 28 anni di cui i media si occuparono molto e che Walker definisce “dall’aspetto di una Bond-girl”: oggi, come tutti gli “illegali”, Chapman ha una carriera di successo in Russia e vive quasi come una celebrità. La detenzione degli “illegali” negli Stati Uniti non durò a lungo. Poche settimane dopo l’arresto, i dieci furono scambiati con quattro persone accusate di spionaggio in Russia e detenuti in una prigione russa. Alex e Tim Foley arrivarono in Russia pochi giorni prima dello scambio: all’aeroporto di Mosca furono accolti dai colleghi dei loro genitori che si erano portati dietro delle foto che mostravano Andrei Bezrukov ed Elena Vavilova in uniforme. Fu solo allora che si resero conto che tutta la storia surreale delle spie era vera. I loro genitori erano spie russe e la loro intera vita fino a quel momento era stata una grossa finzione. «Una tipica crisi adolescenziale, vero?», ha scherzato Alex Foley durante l’incontro con Walker.

Alex e Tim Foley sostengono di non avere saputo niente sulla vera identità dei loro genitori prima dell’arresto. Walker spiega che «per mesi Tim and Alex hanno dovuto riflettere sulla loro identità e decidere se arrabbiarsi con i loro genitori per quello che era successo». Hanno deciso di non farsi condizionare il futuro dal loro passato. Nessuno dei due oggi vuole vivere in Russia, ma entrambi ritornano spesso a Mosca per rivedere i genitori. Alex ha raccontato che alla fine è riuscito a trovare una risposta alla domanda se odiare o no i suoi genitori: qualunque segreto avessero e qualunque fosse il loro vero nome, ha detto, sono comunque la stessa coppia che per anni ha cresciuto con amore lui e suo fratello.