“Miracolo a Sant’Anna”, la storia vera
Le cose raccontate nel film su Sant'Anna di Stazzema andarono diversamente da come le racconta Spike Lee
Miracolo a Sant’Anna è un film del 2008: racconta una storia basata su fatti realmente accaduti durante la Seconda guerra mondiale in Italia. Il film, diretto da Spike Lee, è stato girato in parte a Colognora di Pescaglia, Gioviano, Sant’Anna di Stazzema e in Versilia. Nel film, oltre ad alcuni grandi attori americani, ci sono anche attori italiani come Pierfrancesco Favino e Luigi Lo Cascio.
La trama del film in breve
Il film inizia nel 1983, in un ufficio postale di New York, dove un impiegato – Hector Negron, interpretato da Laz Alonso – reduce di guerra statunitense di origini portoricane, spara senza nessun apparente motivo a un cliente. I due detective che indagano sul caso, interpretati da Joseph Gordon-Levitt e John Turturro, perquisiscono l’appartamento di Negron e ci trovano la testa di una statua di marmo. Le loro indagini porteranno Negron a raccontare una storia che parte da molto lontano, durante la Seconda guerra mondiale.
È il 1944 e Negron fa parte della 92ª Divisione Buffalo, un reparto dell’esercito statunitense composto da soldati neri, ispanici e nativi americani: si trova in Italia per combattere i nazifascisti lungo la linea gotica, tra Sant’Anna di Stazzema e le Alpi Apuane. In seguito a un disastroso attacco contro i tedeschi presso il fiume Serchio, molti soldati americani vengono uccisi, lasciando Negron da solo con tre commilitoni. Uno di questi – Sam Train, interpretato da Omar Benson Miller – salva un bambino italiano dal crollo di un edificio e trova una testa di marmo che crede avere poteri magici. I quattro soldati e il bambino, cercando rifugio, si imbattono in un villaggio tra le montagne vicino Sant’Anna di Stazzema, dove si trovano bloccati insieme ad alcuni partigiani italiani che hanno catturato un disertore tedesco, Hans Brundt. I soldati americani ricevono l’ordine via radio di prendere in custodia il prigioniero ma, nel frattempo, la situazione si complica.
Un partigiano di nome Rodolfo, interpretato da Sergio Albelli, tradisce i suoi compagni e rivela ai nazisti dove si trova il prigioniero. I soldati tedeschi si avviano dunque verso il villaggio dove si trova in ostaggio Brundt, e lungo la strada ammazzano più di 500 persone, civili. Dalla battaglia con i tedeschi si salvano solamente Negron e Angelo, grazie all’arrivo dei rinforzi dell’esercito americano. A questo punto la storia torna al 1984, quando si scopre che l’uomo ucciso a New York da Hector Negron è Rodolfo: il partigiano traditore.
Come sono andate le cose realmente
All’uscita del film ci furono molte polemiche da parte dell’ANPI, l’associazione dei partigiani italiani, per la decisione da parte di Spike Lee di raccontare l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema come causato dal tradimento di un partigiano. In realtà le cose andarono diversamente. Dalla fine del 1943 in poi, Sant’Anna e tutte le località limitrofe subirono un grande incremento della popolazione. Si trattava in gran parte di sfollati, che si rifugiavano tra le montagne per sfuggire ai bombardamenti. Sant’Anna era stata classificata dai tedeschi come “zona bianca”: un posto adatto ad accogliere sfollati. La sua popolazione quindi aveva superato le mille persone.
Nel 1944, però, la zona di Sant’Anna venne interessata dalla costruzione della linea di difesa “Pietrasanta-Riegel” che, insieme alla linea “gotica”, avrebbe dovuto proteggere i territori occupati dai nazifascisti dall’avanzata degli Alleati da sud. Per questo motivo il 26 luglio del 1944 un comando tedesco affisse sulla piazza della chiesa di Sant’Anna un manifesto che ordinava a tutti gli abitanti di lasciare le loro abitazioni e di trasferirsi altrove. L’ordine impartito, però, era difficilmente praticabile: non c’erano abbastanza mezzi per trasportare così tante persone in così poco tempo. L’ordine venne annullato pochi giorni dopo, dietro l’assicurazione che nel paese non stazionavano partigiani.
Nonostante ciò all’alba del 12 agosto arrivarono a Sant’Anna quattro compagnie del secondo battaglione del 35esimo reggimento della 16esima divisione volontari delle Waffen SS, di fanteria meccanizzata. Alle sette il paese era circondato. Gli abitanti di Sant’Anna non pensavano certo che di lì a poco ci sarebbe stata una strage. Molti uomini, credendo che si trattasse di un rastrellamento per mandarli ai lavori forzati, fuggirono nei boschi.
In poche ore 560 persone vennero uccise a freddo. Di queste solo 350 sono state in seguito identificate. Dalle indagini della procura militare di La Spezia emerse che si trattò di un atto terroristico premeditato. Con la strage di Sant’Anna, le SS vollero rompere ogni possibile collegamento tra le popolazioni civili e i partigiani presenti in quel territorio. Il processo si è concluso nel 2005 con la condanna all’ergastolo per dieci soldati tedeschi colpevoli del massacro, sentenza confermata e ratificata in Cassazione nel 2007.
Nel 2012 la procura di Stoccarda, però, ha archiviato l’inchiesta sulla strage di Sant’Anna di Stazzema con una sentenza opposta a quella della giustizia italiana: non ci sono documenti che provano la «responsabilità individuale» delle persone accusate dell’eccidio. I reati di omicidio e concorso in omicidio della strage di Sant’Anna di Stazzema non sono prescritti ma, per la procura tedesca, non è stato possibile accertare con sicurezza che la strage sia stata un’azione di rappresaglia nei confronti della popolazione civile. Secondo la procura tedesca gli obiettivi dell’azione militare sarebbero stati solo la lotta contro i partigiani e il rastrellamento di uomini da mandare ai lavori forzati.