Le novità sul TTIP
È finito un altro giro di negoziati sull'accordo di libero scambio tra USA e UE, Greenpeace ha pubblicato una serie di documenti riservati
Negli ultimi giorni si parla nuovamente di TTIP sui giornali italiani e internazionali. Con questa sigla si intende il “trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti” – TTIP è un acronimo del nome in inglese, “Transatlantic Trade and Investment Partnership” – cioè un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziazione tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. Inizialmente veniva chiamato TAFTA, da area transatlantica di libero scambio, riprendendo l’acronimo di altri simili trattati già esistenti (come il NAFTA). Il trattato è ancora in fase di discussione: l’ultimo ciclo di negoziati si è svolto a New York dal 25 al 29 aprile, e ci sono diverse novità.
Il TTIP, in breve
Va detto subito che quelli sul TTIP sono negoziati in gran parte segreti, accessibili solo ai gruppi di tecnici che se ne occupano, al governo degli Stati Uniti e alla Commissione europea. La questione della segretezza è stata e continua a essere uno dei maggiori punti di opposizione al trattato, denunciato da molte e diverse organizzazioni sia negli Stati Uniti che nei paesi dell’Unione Europea. Nel tempo però sono stati pubblicati documenti e file che messi insieme danno una serie di informazioni importanti e mostrano anche la misura della complessità della questione.
L’accordo dovrebbe agire in tre principali direzioni: aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti che riguarda quattro settori (merci, servizi, investimenti e appalti pubblici); uniformare e semplificare le norme commerciali tra le due parti abbattendo le differenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB); migliorare le norme stesse.
Una delle questioni più controverse riguarda la clausola ISDS, Investor-State Dispute Settlement, contestata anche da parte di alcuni governi, innanzitutto quello tedesco. Prevede la possibilità per gli investitori di ricorrere a tribunali terzi in caso di violazione, da parte dello Stato destinatario dell’investimento estero, delle norme di diritto internazionale in materia di investimenti. Le aziende potrebbero insomma opporsi alle politiche sanitarie, ambientali, di regolamentazione della finanza o altro attivate nei singoli paesi reclamando interessi davanti a tribunali terzi, qualora la legislazione di quei singoli paesi riducesse la loro azione e i loro futuri profitti. Qui la versione lunga e dettagliata su ciò che si sa del TTIP.
I favorevoli al trattato dicono che faciliterebbe i rapporti commerciali tra Europa e Stati Uniti portando opportunità economiche, sviluppo, un aumento delle esportazioni e anche dell’occupazione. I critici pensano invece che le legislazioni di Stati Uniti ed Europa si piegherebbero alle regole del libero scambio stabilite da e per le grandi aziende, e che l’armonizzazione delle norme sarebbe fatta al ribasso, non certo a vantaggio dei cittadini.
A che punto siamo
I negoziati sul TTIP sono cominciati ufficialmente nel giugno del 2013 con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e l’allora presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, dopo più di dieci anni di preparazione. L’accordo, una volta concluso, dovrà essere votato dal Parlamento europeo, per quanto riguarda l’UE, e dal Congresso per gli Stati Uniti. I negoziati si sono svolti per ora in tredici diversi incontri, l’ultimo a New York dal 25 al 29 aprile.
La Francia, intanto
Martedì 3 maggio il presidente francese Hollande ha preso posizione molto chiaramente contro il trattato. Nel suo discorso di chiusura al convegno per celebrare l’ottantesimo anniversario della nascita del Front Populaire, Hollande ha detto che «la Francia, in questa fase» dei negoziati dice di «no»: «Noi non siamo per il libero scambio senza regole. Non accetteremo mai la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, per la nostra cultura, per la reciprocità nell’accesso al mercato pubblico». Hollande ha poi spiegato che la Francia aveva posto delle condizioni nel contesto dei negoziati che avevano a che fare con vari ambiti: salute, cibo, cultura, ambiente, tra gli altri.
Qualche ora dopo le dichiarazioni di Hollande, il segretario di Stato francese per il commercio estero Matthias Fekl, che guida le trattative per la Francia, è stato intervistato su radio Europe 1 e ha detto che il blocco dei negoziati è «l’opzione più probabile». Ha anche spiegato di essere stato «l’unico membro di un governo europeo a dare l’allarme già nel 2015», per «lo spirito» con cui gli Stati Uniti stanno portando avanti le trattative: «Denuncio da un anno l’atteggiamento degli Stati Uniti. Noi vogliamo reciprocità. L’Europa propone molto e riceve in cambio molto poco. Questo non è accettabile».
Fekl ha infine elencato una serie di condizioni per riaprire il dialogo con gli Stati Uniti: «Vogliamo che le nostre piccole medie imprese abbiano accesso al mercato americano, vogliamo difendere l’agricoltura, le origini geografiche. E poi: non avrebbe avuto alcun senso avere fatto la conferenza sul clima a dicembre a Parigi, un ottimo accordo per l’ambiente, e firmare qualche mese dopo un altro accordo che lo distruggerebbe». Il governo francese ha preso posizione dopo la pubblicazione da parte di Greenpeace dei cosiddetti “TTIP leaks”, una serie di documenti riservati (e nuovi) sui negoziati in corso.
I documenti di Greenpeace
I 16 documenti di 248 pagine sono stati pubblicati dalla sezione olandese di Greenpeace lunedì 2 maggio alle 11 del mattino. La maggior parte risale a febbraio e marzo 2016, quindi tra il dodicesimo e il tredicesimo ciclo di negoziati. I documenti coprono i due terzi delle questioni discusse.
In generale si può dire che sono interessanti perché mostrano non solo la posizione e l’atteggiamento dell’Europa, ma anche quelli degli Stati Uniti dei quali finora si sapeva poco. In pratica, scrivono diversi giornali, i documenti dicono quanto la discussione sia sbilanciata: i governi europei sembrano più interessati a negoziare e hanno fatto molte proposte per ottenere, per esempio, un maggiore accesso al mercato degli Stati Uniti o il riconoscimento delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine protetta. Gli Stati Uniti, invece, sembrano fermi sulle loro posizioni o non hanno fatto proposte specifiche per risolvere alcuni punti controversi.
Nei documenti si dice che i governi di Bruxelles e Washington vogliono accelerare i negoziati, ma non troppo. Dopo anni di discussioni, i colloqui non hanno portato a molti avanzamenti e i negoziatori temono di essere arrivati a uno stallo. Per questo motivo Angela Merkel e Barack Obama hanno recentemente detto di voler accelerare i negoziati, per arrivare a un primo accordo politico e di principio entro la fine del 2016 (ed entro la scadenza del mandato dell’attuale presidente degli Stati Uniti). I documenti dicono che «le parti hanno concordato di accelerare i lavori tra un ciclo e l’altro di negoziati» per «garantire che si facciano progressi sostanziali entro la pausa estiva». Ma c’è scritto anche che «l’obiettivo superiore» rimane «la negoziazione di un TTIP ambizioso e con standard elevati, che soddisfi gli interessi di UE e USA» e questo significa che «la sostanza prevarrà sulla velocità».
Nei documenti viene spesso citato il TTP, il Trans-Pacific Partnership, un altro accordo che riguarda il libero commercio fra paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e soprattutto Stati Uniti. Il testo viene citato per dire che su alcune proposte ci si dovrebbe allineare a quanto già stabilito nel TTP, e che il TTIP non potrà essere meno ambizioso dell’altro accordo.
I documenti confermano poi che le norme attuali di UE e Stati Uniti divergono su tante questioni e che, per superare questa difficoltà, si andrebbe verso un reciproco riconoscimento delle norme (l’UE riconosce gli standard degli Stati Uniti come equivalenti ai propri, e li considera quindi accettabili) piuttosto che verso un’armonizzazione (l’UE e gli Stati Uniti modificano i rispettivi standard per farli convergere). In generale gli Stati Uniti non mancano di ricordare all’Unione Europea che deve fare delle concessioni per ottenere ciò che vuole, ma su molti punti non si dice niente di specifico (sulla proprietà intellettuale, per esempio, citata nel capitolo sul miglioramento della compatibilità normativa per porre le basi per regole globali), ci sono proposte ancora molto generiche (sugli appalti e sulla difesa delle denominazioni dei vini europei, tra le altre cose) o, infine, si rilevano differenze “inconciliabili” sulla tutela dei consumatori e del benessere degli animali. Il Guardian scrive dunque che il giorno della conclusione dell’accordo «sembra essere lontano più che mai».