L’inchiesta sul presidente del PD in Campania
Stefano Graziano è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa: con altre otto persone è accusato di aver favorito il clan dei Casalesi in cambio di voti
Martedì 26 aprile nove persone tra politici e imprenditori sono state arrestate a Santa Maria Capua Vetere, in Campania, con varie accuse tra cui corruzione aggravata e turbativa d’asta; inoltre il presidente del PD della Campania e consigliere regionale Stefano Graziano, è indagato invece per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel tardo pomeriggio di ieri Graziano si è autosospeso dal partito «in attesa di chiarire, al di là di ogni anche generico dubbio» la sua posizione.
Stefano Graziano ha 45 anni, è originario di Aversa, in provincia di Caserta, è ingegnere, era stato eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Democratico nel 2008. Dal 2014 è presidente del partito in Campania e nel 2015 è stato eletto al consiglio regionale con Vincenzo De Luca. La polizia ha perquisito le sue case a Roma e Teverola, in provincia di Caserta, e il suo ufficio in consiglio regionale. Tra gli arrestati ci sono poi Biagio Di Muro, sindaco fino al novembre del 2015 di Santa Maria Capua Vetere, Roberto Di Tommaso, responsabile dell’ufficio tecnico del comune, e Alessandro Zagaria, imprenditore (e solo omonimo del boss della camorra Michele Zagaria arrestato nel dicembre del 2011 e condannato a tre ergastoli).
Secondo l’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, Graziano è sospettato di aver «chiesto e ottenuto appoggi elettorali con l’impegno di porsi come stabile punto di riferimento politico e amministrativo del clan dei Casalesi»: in particolare, avrebbe ricevuto il sostegno del clan legato a Michele Zagaria alle elezioni regionali del maggio del 2015 e in cambio avrebbe favorito i casalesi e alcuni imprenditori per ottenere degli appalti. Graziano avrebbe sbloccato per esempio fondi per due milioni di euro per il restauro di Palazzo Teti Maffuccini, edificio confiscato al padre dell’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, Nicola Di Muro, condannato per tangenti. L’imprenditore Alessandro Zagaria avrebbe fatto da tramite tra i politici e il clan.
In una telefonata del novembre 2014 intercettata e trascritta sui giornali di oggi, avvenuta tra Alessandro Zagaria e l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro, si parla in modo esplicito di «imprenditori favoriti da piazzare» e della campagna elettorale di Graziano. Zagaria dice «tengo per il PD» e rimprovera Di Muro che non si sta attivamente impegnando: «Noi dobbiamo portare a Graziano e tu non ti fai vedere». Nelle carte dell’inchiesta c’è scritto anche: «La polizia giudiziaria ha documentato plurimi incontri tra Graziano e Zagaria in un periodo preelettorale e che, ad elezione avvenuta, Graziano ha avuto contatti telefonici con Zagaria dai quali emergeva la riconoscenza dell’esponente politico nei confronti di Zagaria». In un’altra conversazione, Di Muro fa riferimento all’appalto di Palazzo Teti Maffuccini e all’aiuto che Graziano avrebbe fornito per non perdere i finanziamenti. Di Muro dice: «Io tengo un santo in paradiso che mi protegge!… o no?». Zagaria risponde: «Come a me! Quando va bene…hai capito?… in grazia di Dio! Quello domani va a Roma e giovedì siamo qua». Commenta Repubblica: «Su quale interlocutore romano sarebbe intervenuto Graziano? È uno degli aspetti sui quali la Procura vuole fare piena luce».
Il sistema di cui Graziano è sospettato di far parte selezionava, sempre secondo le dichiarazioni dei giudici, «gli imprenditori aggiudicatari degli appalti solo perché in grado di pagare la tangente. Un sistema divenuto ormai così totalizzante da rispondere non alle necessità pubbliche e a quelle della collettività, ma teso solo a favorire le persone legate al comitato d’affari attraverso la pressante ingerenza di un imprenditore intraneo al clan come Alessandro Zagaria e del sindaco Biagio Maria Di Muro che si sono appropriati di una rilevante fetta nella gestione degli appalti pubblici per concludere i loro affari. Il tutto in una trama di rapporti intessuti tra persone provenienti da ambiti di criminalità organizzata e pubblici ufficiali, in palese violazioni di legge e con il precipuo scopo di ricavare tutti un vantaggio economico in dispregio della funzione pubblica rivestita e soprattutto a vantaggio dei clan».