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  • Mercoledì 27 aprile 2016

Dentro una fabbrica cinese di iPhone

Un giornalista di Bloomberg è entrato in uno stabilimento che costruisce gli smartphone per conto di Apple: rispetto a qualche anno fa, le cose migliorano

di Shai Oster – Bloomberg

Gli operai della fabbrica di Pegatron, fuori Shanghai, che produce iPhone per Apple (Qilai Shen/Bloomberg)
Gli operai della fabbrica di Pegatron, fuori Shanghai, che produce iPhone per Apple (Qilai Shen/Bloomberg)

Sono da poco passate le nove del mattino e in una grande fabbrica della Pegatron Corp, nella periferia di Shanghai, migliaia di operai con delle giacche rosa spento si preparano a costruire degli iPhone. Uomini e donne fissano degli scanner facciali e passano il badge ai tornelli di sicurezza per timbrare il cartellino. Questi controlli accurati servono ad assicurarsi che gli operai non facciano troppi straordinari. La procedura dura meno di due secondi.

La fabbrica è il posto dove vengono prodotti gli smartphone più redditizi al mondo e fa parte della catena di approvvigionamento di Apple, sempre sotto attento monitoraggio. Dopo anni di accuse secondo cui i dipendenti cinesi sarebbero costretti a fare orari di lavoro lunghi ed estenuanti, Petragon e Apple hanno adottato nuove misure per evitare che gli operai che assemblano gli iPhone accumulino troppi straordinari. Le due aziende vogliono dimostrare che il sistema funziona e hanno permesso a un giornalista occidentale di entrare per la prima volta in questa specie di santuario aziendale.

John Sheu – conosciuto in azienda come “Big John”, o il “Sindaco” –  ha accompagnato un giornalista di Bloomberg a visitare la fabbrica. Sheu è il presidente della struttura di Pegatron, dove 50mila dipendenti assemblano iPhone. Il suo compito è garantire che i lavoratori passino più tempo a costruire telefoni, invece di sprecarlo in distrazioni improduttive come gli appelli o i controlli identificativi. «Ogni secondo è importante», dice Big John. Dopo aver superato i metal detector che servono a scovare i dispositivi con fotocamera che potrebbero essere usati per diffondere immagini di nuovi prodotti non ancora messi in commercio, gli operai seguono delle frecce sul pavimento e dei poster motivazionali appesi al muro. Salgono una rampa di scala con una rete di sicurezza nel mezzo, che serve a evitare incidenti, o tentativi di suicidio. Arrivati davanti una fila di armadietti, indossano delle retine per capelli blu e delle ciabatte pulite di plastica. Alle 9:20 l’unità di produzione – formata da 320 operai – si dispone con rigore militare su quattro file per l’appello. «Buongiorno!», gridano all’unisono gli operai sotto lo sguardo vigile del Sindaco, ora affiancato dai supervisori dei turni che scansionano i dipendenti usando degli iPad rappezzati con del nastro adesivo nero. Sei minuti più tardi gli operai sono al lavoro, e assemblano gli iPhone che passano veloci sul nastro trasportatore. Il giorno della visita un operaio era rimasto a casa malato, e così il responsabile dei turni ha modificato rapidamente la disposizione degli operai in modo che nessun passaggio andasse perduto.


In alto, l’appello mattutino degli operai alla fabbrica di Pegatron; sotto, i controlli all’ingresso (Qilai Shen/Bloomberg)

La fabbrica si trova all’angolo delle strade di Xiu Yan e Shen Jiang ed è una delle strutture più inaccessibili nella catena di approvvigionamento degli iPhone. Copre un’area equivalente a quasi 90 campi da calcio. In mezzo ci sono una stazione dei vigili del fuoco, una centrale di polizia e un ufficio postale. C’è un servizio di navette, delle mense gigantesche, prati ornamentali e laghetti di carpe koi. Gli edifici sono grigi e marroni per evocare l’architettura tradizionale cinese. La nuovissima Disneyland di Shanghai – che aprirà a giugno – è a soli venti minuti di macchina.

«Il fatto che abbiano permesso a un giornalista di entrare dimostra che stanno reagendo alla pressione esterna e cercano di essere più trasparenti. Almeno in superficie, stanno cercando di aggiustare qualcosa», dice Jenny Chan, professoressa del Kellogg College di Oxford. «Ma non ci hanno ancora detto di più su come gestiscono lo stabilimento e gli operai». Secondo China Labor Watch, una ONG di New York che si occupa dei diritti dei lavoratori cinesi, c’è un segreto che la fabbrica continua a tenere nascosto: il salario base è ancora così basso che gli operai hanno bisogno di fare straordinari per arrivare a fine mese. China Labor Watch sostiene che nelle 1.261 buste paga di settembre e ottobre 2015 degli operai della fabbrica Pegatron di Shanghai che ha analizzato ci sono le prove dei troppi straordinari fatti dagli operai. Stando a Bloomberg Intelligence, Pegatron, una società spin-off di Asus, è il più grande produttore di dispositivi elettronici per conto terzi al mondo dopo Foxconn.

Petragon ha risposto alle accuse dicendo che China Labor Watch avrebbe sbagliato a fare i conti, in quanto il periodo preso in esame era a cavallo delle vacanze nazionali cinesi, quando lo stipendio è tre volte superiore alla norma. Apple e Pegatron dicono di non essere mai state contattate da China Labor Watch, che invece sostiene di aver cercato di raggiungere Apple senza però ricevere una risposta. China Labor Watch ha già raccolto altre 441 buste paga da marzo, che sembrerebbero indicare come nella fabbrica si facciano ancora troppi straordinari. «Il sistema dei tornelli ha a che fare con la programmazione del lavoro», ha detto Li Qiang, direttore esecutivo di China Labor Watch, secondo cui i controlli identificativi sarebbero solo una messinscena. «Altrimenti non ci sarebbero ancora centinaia di operai con troppi straordinari». Pegatron dice di attenersi alle linee guida di Electronic Industry Citizenship Coalition (EICC, un’associazione che riunisce alcune delle più importanti società di elettronica al mondo), che fissano il limite degli straordinari a circa 80 ore mensili. Apple dice che i suoi fornitori rispettano il codice di condotta di EICC, mentre Pegatron sostiene di poter ottenere delle deroghe al limite massimo di straordinari imposto a livello nazionale dalla Cina a 36 ore mensili perché il suo è un lavoro stagionale.

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Il campus della fabbrica (Qilai Shen/Bloomberg)

Per il CEO di Apple, Tim Cook, questi controlli sono una sfida diretta alla catena di approvvigionamento globale che ha sviluppato minuziosamente quando era ancora head of operations della società, sotto Steve Jobs. Apple ha detto di aver condotto 640 accertamenti su oltre 1,6 milioni di lavoratori nel 2015. Nel 2013 aveva mandato alcuni esperti medici a indagare su una serie di casi di morte tra i dipendenti di Pegatron. Un quindicenne era morto di polmonite, mentre la causa della morte di altri lavoratori non era stata rivelata. Apple disse di non aver trovato legami tra le morti e le condizioni di lavoro.

«Produrre non è un peccato», ha detto Denese Yao, responsabile delle relazioni di Pegatron con Apple. «La gente crede che qui non facciamo altro che spremere gli operai», ha detto durante la visita alla fabbrica, parlando in videoconferenza dalla sede di Pegatron, a Taipei. «Gli operai devono sapere cos’è un ambiente di lavoro efficiente e responsabile». È per questo che Pegatron ha adottato il nuovo sistema di identificazione, che collega i badge a un database che registra orari, salari e addirittura quanto spendono gli operai per i dormitori e il pranzo. Stando a Pegatron il sistema ha contribuito a aumentare il rispetto delle norme sugli straordinari fino a quasi il 100 per cento, con qualche eccezione per gli ingegneri che si occupano di riparazioni di emergenza. Dopo l’ultimo accertamento, Apple ha fatto sapere che nel 2015 il rispetto della settimana lavorativa da 60 ore da parte dei suoi fornitori era arrivata al 97 per cento, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2014.

In realtà alcuni degli operai sono contenti di avere la possibilità di guadagnare di più, anche se ormai si fanno meno straordinari, ha raccontato un operaio di Pegatron segnalato a Bloomberg da China Labor Watch, che ha accettato di rivelare solo il suo cognome, Ma, per paura di subire ritorsioni. «Il massimo sono 60 ore, ma gli operai preferiscono lavorare di più perché le paghe sono basse», ha raccontato Ma. «Con gli straordinari possiamo guadagnare molto di più, è per questo che vogliamo farne sempre di più».

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In senso orario, da in alto a sinistra: due dipendenti in pausa pranzo; alcuni operai controllano la loro busta paga ai terminal; un operaio indossa l’uniforme; un dipendente nella mensa della fabbrica (Qilai Shen/Bloomberg)

Quando Ma iniziò a lavorare nella fabbrica tre anni fa, per i dipendenti lavorare oltre il limite orario consentito per guadagnare di più era normale. Ora non è più possibile, grazie al sistema che Sheu dice di aver contribuito a progettare, che collega i tornelli con gli iPad usati per l’appello e i badge identificativi di ogni dipendente; i responsabili ricevono delle segnalazioni automatiche ogni volta che un operaio si avvicina al limite di 60 ore, o se ha timbrato per sei giorni di fila. Se si prova a superare questi limiti il sistema blocca automaticamente l’ingresso, raccontano i dirigenti e gli operai. «Capita di vedere persone che non riescono a entrare il sabato o la domenica», ha detto Guo Wanli, un ex operaio edile di 25 anni di Heinan, una provincia nella Cina centrale, parlando delle persone che fanno volontariamente gli straordinari nel fine settimana per aumentare il loro salario. Wanli stava mangiando una salsiccia su un bastoncino nella mensa centrale della fabbrica durante la visita, mentre i dirigenti aspettavano.

I dirigenti di Pegatron hanno raccontato con entusiasmo come sia migliorata anche la trasparenza sulle retribuzioni. I dipendenti ora possono controllare le loro ore lavorative, le buste paga, le spese mensili per l’alloggio e il cibo su dei terminali touchscreen sparsi per il campus. Compresi gli straordinari, il salario medio varia dai 4.200 ai 5.500 yuan al mese (570-748 euro circa). Una dipendente che ha aiutato degli operai ad accedere ai terminali automatici ha mostrato il suo stipendio base, 2.020 yuan. In Cina un iPhone 6 ne costa 4.488. «Qual è la cosa che interessa di più agli operai? Sapere quanti soldi guadagnano», ha detto Sheu. Big John ha raccontato come la decisione di rendere le buste paga trasparenti sia stata difficile, per le possibili reazioni dei dipendenti e perché spinge i dirigenti a essere più responsabili.

Pegatron rappresenta bene il panorama sociale ed economico in evoluzione della Cina, che rimane il cardine della catena di approvvigionamento globale nel settore dell’elettronica nonostante il costo del lavoro sia in aumento da anni. I terzisti come Foxconn e Pegatron dominano la produzione mondiale di portatili, televisioni, smartphone e tablet. Oggi ci si concentra più sulla produttività e sugli sforzi per trattenere i migliori talenti, mentre i salari crescono e l’invecchiamento della popolazione riduce il numero degli operai disponibili. Le fabbriche anonime dove gli operai sono sfruttati sono state gradualmente sostituite da moderni campus dotati di servizi come Wi-Fi gratuito, saloni con la televisione, servizi di pulizia e addirittura la possibilità di scegliere dormitori migliori.

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Le foto di alcuni dipendenti appese su un muro in una delle aree dedicate ai dipendenti (Qilai Shen/Bloomberg)

«Tutte le aziende stanno adeguando gli stipendi, i benefit e gli alloggi», ha raccontato Jiang Ying, un professore di diritto del lavoro del China Institute of Industrial Relations. «Gli operai conoscono meglio la legge e questo ha spinto le fabbriche a migliorarsi». Allo stesso tempo, le fabbriche cinesi hanno sempre più difficoltà a trovare e trattenere il personale a causa della diminuzione della forza lavoro, che porta i dipendenti a cambiare lavoro più spesso. Ciononostante negli ultimi tre anni il tasso di fidelizzazione dei dipendenti alla fabbrica di Pegatron a Shanghai è aumentato di circa il 20 per cento all’anno, secondo Sheu. L’anno scorso il tasso di ricambio dei dipendenti è stato in media di circa il 16 per cento.

In mensa un gruppo di donne pranza di fretta prima che finisca la loro pausa da 50 minuti. Vengono da tutte le province della Cina, dal Sichuan, a ovest, fino al Shandong, a nordest. Nessuna di loro lavora nella fabbrica da più di qualche mese. «Qui si lavora meno rispetto ad altre fabbriche», ha detto Xu Na, una donna di 30 anni che ha seguito suo fratello minore che lavorava già nella fabbrica. «Non lavoriamo mai più di 60 ore».

© 2016 – Bloomberg