Che succede in Libia?
Per quanto si continui a parlarne, tra capi di stato e sui giornali, non sembra ci sia un intervento militare in vista: e le cose sul campo sembrano andare meglio del previsto
Oggi i giornali sono tornati a parlare della possibilità di un intervento militare in Libia, anche se l’eventualità non sembra imminente. Lunedì i media italiani avevano diffuso la notizia che il primo ministro del governo libico Fayez al Sarraj aveva telefonato a Matteo Renzi per chiedere l’aiuto dell’ONU per proteggere i pozzi di petrolio nel paese. La telefonata era stata interpretata come una richiesta di intervento militare. Poche ore dopo, nel corso del vertice di Hannover in cui si sono incontrati i capi di stato e di governo di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, Renzi ha smentito quest’interpretazione: «Al Serraj non ha chiesto interventi militari», ha detto Renzi.
Il tema dell’intervento militare occidentale è uno dei più delicati per il nuovo governo libico. Dopo aver trascorso mesi in “esilio” in Tunisia, Serraj e i suoi ministri si sono insediati nella capitale libica Tripoli il mese scorso. Con una certa sorpresa da parte degli esperti, l’insediamento è avvenuto quasi senza incidenti e il governo islamista che da due anni controllava la capitale ha abbandonato la città senza opporre resistenza. Nelle ultime settimane Serraj è riuscito faticosamente a ottenere la fedeltà di numerosi gruppi armati, milizie e consigli cittadini che di fatto controllano gran parte del paese, finito in una sorte di anarchia dalla primavera del 2014. Molti altri gruppi, invece, sono ancora indipendenti; altri sono apertamente ostili a Serraj. Il più forte tra questi ha dichiarato la sua affiliazione all’ISIS, occupa la città di Sirte e minaccia i pozzi di petrolio della Libia centrale.
A Tobruk, nell’est del paese, è ancora operativo quello che di fatto è il parlamento legittimo, eletto nel 2014: la Camera dei Rappresentanti, in genere abbreviata con il suo acronimo inglese “HOR”. Da settimane il governo di Tobruk dovrebbe votare la fiducia al governo Serraj, ma non è mai riuscito a raggiungere il numero legale per rendere valida la votazione. L’inviato dell’ONU in Libia, Martin Kobler, ha detto che «una minoranza di sette, otto, nove, dieci persone sta tenendo chiuse le porte a un accordo, minacciando e insultando la maggioranza dello HOR per impedire che appoggino il Governo di unità nazionale». Il più importante dei membri di questa minoranza è probabilmente il generale Khalifa Haftar, che con le sue milizie controlla gran parte dell’est del paese ed è ostile al nuovo governo. Haftar vorrebbe essere nominato capo dell’esercito libico, ma il nuovo governo teme le sue ambizioni dittatoriali, mentre una buona parte dell’opinione pubblica lo considera una reliquia del regime di Muammar Gheddafi. Imporre un accordo ad Haftar non è semplice perché il generale è appoggiato da Egitto ed Emirati Arabi Uniti.
In questa complicata situazione, Serraj non vuole apparire come un primo ministro imposto con le armi dall’occidente, il che renderebbe ancora più incerta la sua posizione, e quindi per il momento ha respinto l’ipotesi di interventi militari diretti. Nel corso del vertice di Hannover, soprannominato G5, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha detto che probabilmente il prossimo luglio, nel corso di un incontro internazionale a Varsavia in Polonia, sarà raggiunto l’accordo per inviare in Libia un contingente militare molto ridotto, in modo da non rischiare di destabilizzare Serraj. Si tratterà, probabilmente, di una missione di addestramento dell’esercito e della polizia libica di cui l’Italia avrà la guida. Secondo il Corriere della Sera, alla missione potrebbero partecipare fino a 900 militari italiani a cui si aggiungerebbero alcune centinaia di soldati provenienti da altri paesi alleati. Nel corso del vertice non è stata presa alcuna decisione definitiva, ma è stata discussa la possibilità di estendere al tratto di mare tra Libia e Italia i pattugliamenti navali della NATO in corso nel mar Egeo. All’operazione parteciperebbero anche navi degli Stati Uniti.