Il futuro della Serbia, tra UE e Russia
Il 24 aprile ci sono le elezioni: il primo ministro uscente Vučić spinge per l'adesione all'UE ma c'è chi vorrebbe andare dall'altra parte
di James M. Gomez, Gordana Filipovic e Misha Savic − Bloomberg
Alla fine di una strada trafficata a un’ora dalla capitale serba Belgrado, dopo alcuni bar con dei tavoli all’aperto, negozi che vendono vestiti a prezzi scontati o cellulari di seconda mano, c’è un gruppo di artisti di un piccolo museo delle cere che per due mesi ha lavorato giorno e notte per completare un statua di Vladimir Putin. L’opera, posizionata di fianco a una bandiera comunista jugoslava e a una serie di rappresentazioni di altri leader controversi, come i defunti Slobodan Milosevic e Josip Broz Tito, vuole essere un omaggio a Putin per il suo sostegno all’opposizione serba contro l’indipendenza del Kosovo.
La statua di cera di Vladimir Putin al museo delle cere di Jagodina, l’unico museo di questo genere in Serbia (AFP/Getty Images)
«Circa il 75 per cento dei cittadini serbi rispetta Putin e la Russia. È per questo che abbiamo deciso di far sì che Putin fosse il primo straniero nel museo», ha detto Dragan Markovic Palma, il sindaco di Jagodina, dove il mese scorso è stata inaugurata la statua. «La Russia ci ha aiutato molto». Il primo ministro serbo Aleksandar Vučić sta facendo campagna elettorale in vista delle elezioni del 24 aprile, ma il suo tentativo di preparare il paese all’adesione all’Unione Europea deve fare i conti con la deriva nazionalista in Serbia, dove tra alcuni dei 7,2 milioni di cittadini c’è chi torna a sentire una vicinanza con la Russia. Il tutto mentre l’UE è attraversata da dubbi sul suo futuro e la sanguinosa dissoluzione dell’ex Jugoslavia genera ancora risentimento. Di questo clima, tra gli altri, ha beneficiato il Partito Radicale serbo, che punta all’interruzione delle trattative per l’adesione serba all’UE.
A più di vent’anni di distanza dal crollo del comunismo, la Russia è tornata a corteggiare i paesi sui quali in passato esercitava la propria influenza. In Ungheria il primo ministro Viktor Orban ha concluso un accordo sull’energia nucleare da quasi 10 miliardi di euro con il governo di Putin, provando anche a emularne il modello di “democrazia illiberale”. Il primo ministro ceco Milos Zeman e quello slovacco Robert Fico hanno detto che le loro relazioni con l’UE non dovrebbero intaccare quelle con la Russia. In Serbia solo l’11 per cento degli elettori crede che l’adesione all’UE e alla NATO − che negli anni Novanta bombardò il paese due volte − sarebbe una cosa positiva, e il 72 per cento la ritiene negativa, stando a un sondaggio condotto dalla rete televisiva serba B92 e dalla ONG serba Center for Free Elections and Democracy. Il risultato di un sondaggio nazionale commissionato dall’Ufficio serbo per l’integrazione europea, invece, è meno pessimistico e ha rilevato che il 48 per cento dei serbi è contrario all’adesione all’UE, ma non ha misurato il sostegno alla NATO. Otto dei diciotto partiti in corsa per il Parlamento sono filorussi.
Oltre alla pressione per indirizzare la politica estera della Serbia verso est, nel paese sono nate molte società dedicate all’amicizia russo-serba, come l’Associazione dei Discendenti Russi e il Fondo Strategico per la Cultura, un sito Internet russo-serbo che si occupa di eventi in Serbia, Russia, nei Balcani e nell’ex Unione Sovietica. «Un ulteriore aumento della vicinanza verso la Russia è possibile», ha detto Jovo Bakic, un professore di sociologia della facoltà di filosofia di Belgrado. «Non sarei sorpreso se Vučić, dopo due o tre anni, cambiasse la sua retorica nel momento in cui dovesse capire che è la Russia che i cittadini vogliono, e non l’UE». Per il momento, visti i 3 miliardi di euro in finanziamenti già stanziati dall’UE, Vučić ha fatto della preparazione della Serbia per l’adesione all’UE nel 2020 la sua priorità in politica estera. Molti serbi vedono nell’UE, e non nella Russia, una possibilità per alzare i loro standard di vita, come successo ad altri membri dell’ex Jugoslavia come Slovenia e Croazia, che sono entrati nell’Unione rispettivamente nel 2004 e nel 2013.
«Vogliamo mantenere buoni rapporti con la Russia», ha detto Vučić in un’intervista del 21 marzo alla tv locale Happy. «Ma vogliamo andare verso l’Unione Europea, e lo stiamo facendo». Questo approccio è sostenuto anche dai dati sugli investimenti esteri diretti, che provengono in gran parte dall’UE e negli ultimi anni sono cresciuti costantemente. «L’UE si sta impegnando non solo per mettere la Serbia nelle condizioni di diventare uno stato membro, ma anche per fare davvero la differenza per i suoi cittadini», ha detto l’8 aprile Michael Davenport, capo della delegazione UE in Serbia.
Eppure i serbi hanno ancora una forte affinità culturale con la Russia, che dopo la Seconda guerra mondiale aiutò i comunisti a ottenere il potere con Tito. Entrambi i paesi sono cristiani ortodossi e hanno in comune l’alfabeto cirillico, a differenza della maggior parte dei paesi slavi della regione. Da parte russa, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha detto che le trattative della Serbia con l’UE «sono una scelta sovrana, nel modo più assoluto», ma ha respinto «la logica distruttiva dell'”o noi o loro”», che per Lavrov sarebbe la causa della «profonda crisi dello stato ucraino». Il Cremlino nega le accuse di UE e Stati Uniti secondo cui la Russia avrebbe sostenuto i ribelli ucraini fornendo loro truppe e armi per impedire che l’Ucraina scivolasse fuori dalla sua sfera d’influenza.
I sondaggi danno Vučić in forte vantaggio, e secondo uno studio della società di ricerche di mercato di Belgrado Faktor Plus dell’11 aprile il suo Partito Progressista aveva un sostegno del 50,9 per cento a fine marzo. Ciononostante, l’assoluzione del leader del Partito Radicale Vojislav Šešelj dalle accuse di crimini di guerra dello scorso mese da parte del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia delle Nazioni Unite (ICTY) potrebbe minare la capacità di Vučić di formare un governo. I sondaggi danno Šešelj terzo con il 7,8 per cento, e sostiene che dopo la sua assoluzione potrebbe ottenere più del 25 per cento dei voti. Šešelj è stato vicepresidente durante la presidenza di Milosevic − quando i bombardamenti della Nato contribuirono ad allontanare le forze serbe dal Kosovo − e sta chiedendo la fine delle trattative con l’UE. «Può essere nostro amico solo chi non ci ha bombardato», ha detto Šešelj in una conferenza stampa dopo essere stato assolto. Lui e gli altri filorussi, però, non hanno molto tempo per sfruttare il sentimento di vicinanza slava dell’opinione pubblica, soprattutto tra quelli che hanno sofferto per le difficoltà causate dalla guerra che vent’anni fa devastò l’economia serba. «Non abbiamo niente in comune con la Russia», ha detto Aleksandar Radojkovic, un carpentiere disoccupato di 38 anni, prima di montare su una bicicletta gialla malconcia a Jagodina. «La maggior parte di quello che arriva in Serbia, arriva dall’Occidente; quando lasciamo il nostro paese per trovare lavoro all’estero, è in Occidente che andiamo: non in Russia».
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