Come si misurano i terremoti in Giappone?
Non con la magnitudo, ma con una scala che misura come una scossa viene avvertita dalle persone
di Gearoid Reidy – Bloomberg
Il 15 aprile, il giorno dopo il primo di una serie di forti terremoti che hanno colpito una zona rurale nel sud del Giappone, tutti i più importanti quotidiani del paese sono usciti con lo stesso titolo: semplicemente «Shindo 7 a Kunamoto», senza che fossero necessarie altre spiegazioni. Quando i giapponesi sentono la terra tremare sotto i piedi non accendono la tv e non aprono twitter per controllare la magnitudo del terremoto: controllano lo “shindo”, o intensità sismica. Su tutti i canali della televisione le informazioni in sovrimpressione segnalano la regione colpita e una serie di numeri che diminuiscono allontanandosi dall’epicentro: una determinata area potrebbe registrare un livello 3, con cui la scala shindo definisce un terremoto «avvertito dalla maggior parte delle persone nell’area», o un livello 4 («la maggior parte delle persone sono spaventate»). I dati sulla magnitudo di solito arrivano dopo. Un livello di shindo pari a 7, il massimo, è usato per un evento che può generare il panico: da quando è stato introdotto l’attuale sistema di misurazione è successo solo quattro volte, in ognuna delle quali ci sono stati dei morti.
Nonostante possa sembrare incomprensibile per chi non è ci abituato, comunicare la potenza di un terremoto in un’area specifica usando la scala shindo permette di dare un’indicazione dei potenziali danni molto più immediata rispetto alla magnitudo, che rappresenta invece l’energia sprigionata nell’ipocentro e può essere un indicatore poco efficace per valutare l’impatto di un terremoto in superficie. Un sisma di grande magnitudo generato molto in profondità nel sottosuolo farà decisamente meno danni rispetto a uno più piccolo che però colpisce più in superficie. «Quando si propagano, le onde sismiche perdono intensità», ha detto Robert Geller, professore e sismologo dell’Università di Tokyo. «Questo però non succede quando il terremoto colpisce solo a pochi chilometri di profondità, sotto un’area molto popolata». Dal momento che il valore della magnitudo viene dedotto e non misurato direttamente, esistono delle discrepanze tra i valori assegnati dalle diverse agenzie. Secondo lo United States Geological Survey, l’agenzia americana che si occupa anche delle misurazioni sismiche, il terremoto di Kobe del 1995 che uccise oltre 6mila persone aveva una magnitudo di 6,9, mentre l’Agenzia meteorologica giapponese aveva rilevato un livello di 7,3. La scala che misura la magnitudo è logaritmica, il che significa che la differenza di energia sprigionata rilevata tra un dato e l’altro è di 2,5 volte.
A differenza della magnitudo, la shindo è una scala che misura l’intensità sismica in un posto specifico in modo relativo e arbitrario. Tipicamente, il livello di intensità registrato sopra l’epicentro sarà il più forte, mentre calerà nelle zone più distanti. La scala shindo è divisa in dieci livelli che vanno da zero a sette, con i livelli cinque e sei divisi a loro volta in due sottolivelli, inferiore e superiore. Il terremoto dell’11 marzo 2011 che ha provocato uno tsunami e il disastro nucleare a Fukushima è stato avvertito in tutto il Giappone, ma i valori shindo sono stati differenti a seconda della distanza dall’epicentro, dal “7” in alcune zone della prefettura di Miyagi, al “5 superiore” in determinate aree di Tokyo, fino all’ “1” a malapena registrato a Kyushu.
Questo sistema di allerta è diventato un motivo di orgoglio in Giappone, e nei volantini del governo viene descritto come un esempio unico dell’ingegno nazionale. «È utile ma non è perfetto», sostiene invece Geller, «produce segnalazioni che permettono di fermare i treni in caso di terremoti distanti, ma non per quelli che hanno l’ipocentro sotto i binari». Nel 2013 l’Agenzia meteorologica giapponese fu costretta a scusarsi dopo aver diffuso per errore un’allerta di un imminente terremoto di magnitudo 7,8 nella regione centrale del Kansai. Il terremoto non si verificò mai .
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