All’ONU si discute di droga
La "guerra alla droga" è considerata sempre più un fallimento, ma è improbabile che l'incontro cambi qualcosa
di Christopher Ingraham − The Washington Post
La cosiddetta “guerra alla droga” globale si è dimostrata «un disastro» e «l’umanità non può permettersi di avere una politica sulle droghe inefficace e controproducente come quella adottata nel secolo scorso», si legge nella lettera inviata alle Nazioni Unite da più di mille importanti politici mondiali in vista di un importante vertice sulle droghe alle Nazioni Unite. Tra i firmatari della lettera ci sono anche attuali ed ex funzionari delle forze dell’ordine, esponenti religiosi, professionisti del settore medico e sanitario e un gruppo variegato di celebrità, sportivi e imprenditori, come DJ Khaled, Michael Douglas, Tom Brady, Warren Buffett e, tra gli italiani, don Luigi Ciotti, Umberto Veronesi, Roberto Saviano, Emma Bonino, Marco Pannella, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il candidato sindaco di Roma per il PD Roberto Giachetti. «Il programma per il controllo delle droghe adottato lo scorso secolo si è dimostrato un disastro in termini di salute, sicurezza e diritti umani a livello globale», si legge nella lettera. «L’attenzione è stata focalizzata principalmente sulla criminalizzazione e sulla pena e ha generato un ampio mercato illecito che ha arricchito associazioni criminali, governi corrotti causando grandi violenze, la distorsione dei mercati economici e minando valori morali fondamentali».
L’assemblea generale della Nazioni Unite si riunirà a New York per una sessione speciale (UN General Assembly Special Session, o UNGASS) dedicata alla lotta alle droghe dal 19 al 21 aprile. L’obiettivo dell’incontro (che si può seguire in diretta qui) è definire l’indirizzo generale e le priorità delle politiche mondiali sulle droghe per i prossimi decenni. L’ONU aveva dedicato una sessione speciale dell’Assemblea Generale − che può essere convocata dagli stati membri per discutere di temi specifici − al problema della droga per l’ultima volta nel 1998. Seguendo il motto ufficiale della sessione – «un mondo senza droghe − Possiamo farcela» – all’epoca gli stati membri si impegnarono a «promuovere una società libera dal consumo di droghe» e a «sviluppare strategie finalizzate all’eliminazione, o a una riduzione significativa» della produzione e del consumo illegale delle droghe illecite entro il 2008.
Da allora, tuttavia, diversi stati americani hanno votato per la piena legalizzazione della marijuana a scopo ricreativo. Il Portogallo ha depenalizzato il consumo di qualsiasi tipo di droga illegale. Negli Stati Uniti c’è stato un enorme aumento nell’abuso di antidolorifici venduti dietro ricetta medica e di eroina, come anche delle morti causate dall’abuso delle due sostanze. I sostenitori delle riforme nel settore speravano che la sessione speciale di questa settimana potesse rappresentare un cambio di rotta delle politiche internazionali sul controllo delle droghe. Ma basandoci sulla bozza di dichiarazione che verrà discussa all’incontro, è improbabile che accada. Nel documento si parla ancora di promuovere una società «libera dall’abuso di droga» e della necessità di «eliminare» la produzione.
La versione americana di Vice ha raccontato che secondo diversi diplomatici i principali oppositori a modificare il linguaggio con cui è formulato il testo sarebbero Russia, Cina, Iran e Arabia Saudita. «In sostanza, sono i cattivi ad avere avuto la meglio» nelle negoziazioni sulla formulazione di questi documenti, ha detto Ethan Nadelmann, il direttore di Drug Policy Alliance, una no-profit di New York che sostiene la depenalizzazione e la fine della “guerra alla droga”. «Sono riusciti a far sì che non potesse succedere niente di sconvolgente o audace».
La cosa ironica sull’inazione dell’ONU sul tema delle droghe è che aumenta le probabilità che gli stati membri continuino ad andare per la loro strada. Nonostante la legalizzazione della marijuana in alcuni stati americani abbia innervosito il direttore russo del programma anti-droga dell’ONU, le autorità degli Stati Uniti sostengono semplicemente che i trattati garantiscono una notevole «flessibilità» nell’affrontare le questioni legate alla droga. Nonostante sia una questione difficile da gestire dal punto di vista diplomatico, in realtà non c’è molto che si possa fare per impedire alle autorità negli Stati Uniti e in altri paesi di sfruttare questa flessibilità per modificare l’approccio alle politiche sulla droga nei loro paesi.
Quello che gli ultimi 18 anni di interventi sulle droghe ci hanno insegnato è che, come per la politica, le riforme avvengono innanzitutto localmente. Negli Stati Uniti, per esempio, i singoli stati sono stati dei pionieri nell’individuare nuove strade per la loro politica sulle droghe, soprattutto sulla marijuana, nonostante lo stallo a livello federale. Nel frattempo, le Nazioni Unite si sono dimostrate un’organizzazione ancora meno efficiente del governo degli Stati Uniti: meglio non aspettarsi che abbiano un peso significativo nel portare avanti la discussione sulle politiche sulla droga.
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