E ora cosa succede con le trivellazioni?
Il referendum è fallito e quindi le cose rimangono com'erano: e cioè?
Il referendum cosiddetto “sulle trivelle” di domenica 17 aprile è fallito a causa del mancato raggiungimento del quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. I votanti sono stati il 32,15 per cento degli aventi diritto, e i sì sono stati l’85,8 per cento dei voti espressi.
Votare sì significava essere a favore dell’abrogazione di una norma introdotta con la legge di stabilità 2016 – votata lo scorso dicembre – che permette la proroga fino all’esaurimento dei giacimenti delle concessioni per l’estrazioni di petrolio e gas da pozzi che si trovano entro le 12 miglia dalla costa. Il quesito del referendum diceva:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Il mancato raggiungimento del quorum, tuttavia, ha reso nullo il voto di ieri: quindi la legge non verrà abrogata e rimarrà com’è. La notizia è stata accolta con soddisfazione da diversi esponenti del governo e da alcuni pezzi della maggioranza parlamentare, contrari al referendum; erano invece favorevoli l’intera opposizione – dall’estrema destra all’estrema sinistra – e un pezzo minoritario del Partito Democratico.
Il fallimento del referendum comporta che le attuali concessioni estrattive in mare entro le 12 miglia dalla costa (le “trivelle”, per usare una semplificazione) potranno essere prorogate ancora per diversi anni: fino a che lo vorranno i loro detentori, fino a che non si esauriranno i giacimenti o fino a che il loro sfruttamento non comporterà rischi ambientali tali da rendere pericolose le procedure di estrazione. In pratica il referendum riguardava 48 piattaforme eroganti che si trovano entro il limite di 12 miglia dalla costa: eroganti significa che estraggono idrocarburi. Ci sono altre 48 piattaforme che hanno ruoli di supporto alla produzione. Queste 48 piattaforme si trovano all’interno di 44 concessioni, vaste aree di mare nelle quali un’impresa o un consorzio di imprese ha acquistato il diritto a cercare ed estrarre idrocarburi. Se il referendum fosse stato valido e avesse vinto il sì le piattaforme in questione avrebbero dovuto chiudere allo scadere delle diverse concessioni, e cioè entro i prossimi vent’anni al massimo.
Il referendum di ieri non riguardava invece la possibilità di fare nuove trivellazioni marine, che al momento in Italia sono permesse quasi esclusivamente oltre le 12 miglia marine e sono regolate in maniera simile ad altri paesi europei. Questo tuttavia non significa che non ci saranno più perforazioni entro le 12 miglia dalla costa: l’attuale normativa, modificata più volte nel corso degli ultimi anni, stabilisce il divieto entro le 12 miglia di tutte le «attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi», fatti salvi «i titoli abilitativi già rilasciati», cioè le perforazioni già autorizzate. In altre parole: può perforare entro le 12 miglia soltanto chi ha chiesto di poterlo fare prima dell’entrata in vigore delle leggi che in varie fasi hanno vietato lo sfruttamento degli idrocarburi entro le 12 miglia.
Come aveva spiegato Gilberto Bonaga, ricercatore di geologia all’università di Bologna: «Quando si fa richiesta di una concessione bisogna specificare quali e quanti pozzi si intendono perforare. È possibile richiedere una variante anche dopo l’autorizzazione della concessione, ma visto che ora le perforazioni entro le 12 miglia sono state vietate, non è più possibile fare nuove richieste». Al momento risulta un unico caso di autorizzazione a effettuare nuove perforazioni entro le 12 miglia: quello della piattaforma Vega B, a largo della Sicilia, che prima dell’entrata in vigore della legge ha ottenuto l’autorizzazione a perforare 12 nuovi pozzi.