Una contesa diplomatica combattuta con i pescatori
Come la Cina incoraggia i suoi pescherecci a pescare nelle acque contese, per poi prenderne gradualmente il controllo
di Simon Denyer – The Washington Post
Nella acque contese del Mar Cinese Meridionale, i pescatori sono la variabile impazzita. Secondo gli esperti la Cina sta sfruttando la sua ampia flotta di pescherecci per le sue mire espansionistiche nel Mar Cinese Meridionale, mandandoli in prima linea. La mossa del governo cinese ha creato tensioni con i suoi vicini asiatici e ha introdotto un fattore di imprevedibilità che aumenta i rischi di crisi periodiche.
Nelle ultime settimane diversi pescatori cinesi – spesso con l’appoggio dalle navi della guardia costiera della Cina – si sono spinti lontano dai loro territori avvicinandosi alle coste di altri paesi, provocando tensioni con Indonesia, Malesia e Vietnam. Sono solo gli ultimi conflitti della lunga battaglia della Cina per espandere i suoi territori di pesca e, allo stesso tempo, esercitare il suo dominio sul mare. «Le autorità cinesi considerano i pescatori e i pescherecci come uno strumento prezioso per espandere la presenza del paese e per le sue rivendicazioni nelle acque contese», ha detto Zhang Hongzhou, un esperto della S. Rajaratnam School of International Studies dell’Università tecnologica Nanyang di Singapore. «I pescatori sono sempre più in prima linea nelle dispute nel Mar Cinese Meridionale», ha raccontato Zhang, «e le controversie per la pesca potrebbero far aumentare le tensioni a livello diplomatico e per la sicurezza tra la Cina e i paesi nella regione».
La settimana scorsa nel porto di pesca di Tanmen, un’isola nel sud della Cina, il capitano 50enne Chen Yuguo era al timone del suo peschereccio e stava facendo alcune piccole riparazioni alla sua barca dopo una battuta di pesca di sei settimane vicino alle isole Spratly, contese tra diversi paesi. Dietro di lui era appeso ben visibile un ritratto del “compagno” Mao Tse-tung, insieme a un costoso sistema di navigazione satellitare fornito dal governo cinese. Secondo Chen la pesca nelle isole Spratly è molto migliore che nelle acque vicine alle coste della Cina, dove ormai non ci sono più pesci. Ma il capitano dice anche che sta facendo il suo dovere patriottico. «Quelle acque sono nostre», ha detto Chen, «ma se non ci peschiamo, come facciamo a reclamare il nostro territorio?».
Gli esperti sostengono che la battaglia per le risorse ittiche, che hanno un potere destabilizzante spesso trascurato nel Mar Cinese Meridionale, rappresenta una variabile di imprevedibilità, instabilità e rischio. Alla fine di marzo le autorità marittime malesi hanno scoperto nelle loro acque circa 100 navi da pesca cinesi, accompagnate da una nave della guardia costiera cinese. Erano vicine alle Luconia Shoals, un gruppo di piccoli isolotti corallini a meno di 100 miglia marine dal Borneo malese, ma a 800 miglia marine dall’isola di Hainan, nell’estremità meridionale della Cina. All’inizio di aprile il Vietnam ha sequestrato nelle sue acque una nave cinese che sosteneva di star rifornendo di carburante dei pescherecci. Il momento di tensione più alto, però, è stato il 20 marzo, quando le autorità indonesiane sono salite a bordo di un peschereccio cinese vicino alle isole Natuna, un arcipelago dell’Indonesia. Una nave indonesiana ha iniziato quindi a trainare l’imbarcazione verso la costa, ma una nave della guardia costiera cinese è intervenuta speronando il peschereccio e spingendolo verso il Mar Cinese Meridionale, finché la nave indonesiana non ha staccato il cavo da rimorchio.
Nonostante l’Indonesia tenga molto a mantenere relazioni amichevoli con la Cina, l’episodio ha innervosito il governo indonesiano, che ha detto di aver avuto la sensazione che i suoi sforzi per mantenere la pace nelle acque contese fossero stati «sabotati». I funzionari della Difesa indonesiani hanno promesso di inviare navi più grandi per difendere le navi di pattuglia nella regione e stanno prendendo in considerazione la possibilità di introdurre la leva militare nelle lontane isole dell’arcipelago e addirittura di usare dei jet F-16 di fabbricazione americana nelle isole Natuna, per tenere lontano i «ladri».
La Cina rivendica il 90 per cento del Mar Cinese Meridionale e ha “tracciato una linea immaginaria formata da nove trattini” che lambisce le coste di Filippine, Malesia, Brunei, Vietnam e isole Natuna. Il ministero degli Esteri cinese ha detto che il peschereccio stava operando nei «tradizionali territori di pesca» della Cina, nonostante l’incidente si sia verificato a poche miglia marine dalle isole Natuna e a circa 900 da Hainan. La rivendicazione del Mar Cinese Meridionale da parte della Cina si basa in parte sull’idea che i pescatori cinesi operino nelle sue acque da secoli. Ma espandendo la sua area di pesca, dicono gli esperti, la Cina sta cercando di passare dalle parole ai fatti: una volta che i pescherecci hanno spianato la strada arriva la guardia costiera, spesso seguita dalla rivendicazioni cinesi sulle rocce e sui tratti di barriera corallina e, per finire, con la militarizzazione e il controllo dei territori da parte della Cina, sostiene Alan Dupont, professore di sicurezza internazionale alla University of New South Wales di Sidney. «La chiamo la strategia del “pesca, proteggi, occupa, e controlla”», ha detto Dupont.
La Cina accusa gli Stati Uniti di aver militarizzato il Mar Cinese Meridionale, portando come esempi la grande attenzione dell’amministrazione Obama per l’Asia, un recente accordo per l’invio di truppe in cinque basi nelle Filippine per la prima volta dopo decenni e le continue esercitazioni militari tra i due paesi. Ma secondo Dupont anche la Cina sta portando avanti un programma per assicurarsi il dominio del Pacifico occidentale ed estromettere gli Stati Uniti dalla regione, tentando di sfruttare il fatto che secondo la Cina gli Stati Uniti sarebbero distratti da altre crisi globali. Ma la politica “opportunistica” cinese sta già avendo ripercussioni negative, dice Dupont, e sta portando diversi paesi a unirsi contro la Cina.
Non è solo una questione di nazionalismo, comunque. Uno dei motivi principali dell’espansione cinese, secondo Zhang e Dupont, è economico: la Cina vuole soddisfare la crescente domanda interna per il pesce e aumentare le esportazioni, un settore redditizio e in rapida crescita, oltre che il più grande al mondo. Stando alle stime della FAO, il consumo pro capite di pesce in Cina nel 2010 è stato superiore ai 36 chili, circa il doppio rispetto alla media mondiale. Il settore della pesca cresce di circa l’8 per cento ogni anno e dà lavoro a quasi 15 milioni di persone. Rispetto a quelle delle coste cinesi, i pescatori dicono che le isole Spratly offrono acque molto più ricche, che ospitano preziose vongole giganti, coralli e aragoste, nonostante l’arrivo di più navi abbia fatto crescere la concorrenza. Il governo cinese sta anche incoraggiando i pescatori ad allontanarsi dalla costa, fornendo sovvenzioni per il carburante che aumentano per navi più grandi e nel caso di viaggi verso le Spratly.
Il governo dell’isola di Hainan sovvenziona massicciamente la costruzione di pescherecci con scafi d’acciaio e ha fornito un costoso sistema satellitare praticamente gratis a circa 50 mila navi. In questo modo, gli equipaggi dei pescherecci cinesi possono inviare segnali di emergenza con la loro posizione esatta alle navi della guardia costiera, nel caso finiscano nei guai. Secondo i pescatori il governo cinese organizza spesso dei viaggi verso le isole Spratly con le navi della guardia costiera al seguito, soprattutto quando la tensione è alta. «Quando il nostro paese ha bisogno di noi, noi partiamo senza pensarci due volte per difendere i nostri diritti», ha detto Chen.
Rodger Baker, il principale analista per l’area dell’Asia e Pacifico della società di intelligence internazionale Stratfor, ha detto che questi viaggi «per la salvaguardia dei diritti» rappresentano la versione cinese delle esercitazioni per la libertà di navigazione della marina americana nel Mar Cinese Meridionale. L’obiettivo è sottolineare che quelle acque appartengono alla Cina, ha detto Baker. Questi viaggi di solito sono organizzati dalle “milizie marittime”, come li definisce la Cina: dei civili integrati nelle comunità dei pescatori e addestrati all’uso di piccole armi, che si occupano di difendere le rivendicazioni marittime del paese. Tra questi gruppi, il più celebrato è la Milizia marittima Tanmen, che è stata onorata da una visita del presidente cinese Xi Jinping nell’aprile 2013, subito dopo il suo insediamento. I membri di questa milizia hanno un ruolo fondamentale nell’incoraggiare i pescatori a fare viaggi verso le Spratly sin dal 1985. Nel 2012 i frequenti viaggi delle milizie verso l’atollo di Scarborough hanno portato la Cina a una situazione di stallo con le Filippine, che alla fine ha portato la Cina a prendere il controllo dell’area e le Filippine a litigare con il Vietnam quando nel 2014 la Cina trainò una piattaforma petrolifera in acque contese.
I pescherecci della milizia trasportano anche materiali edili per le rivendicazioni territoriale e il programma di costruzione nelle isole Spratly della Cina. Quando lo scorso ottobre il cacciatorpediniere americano USS Lassen stava conducendo un’operazione per il programma di liberazione della navigazione vicino all’isolotto corallino Subi, nell’arcipelago delle Spartly, la marina cinese si è tenuta a distanza, mentre alcune piccole navi mercantili e dei pescherecci cinesi si sono avvicinati incrociando la rotta del cacciatorpediniere, racconta Defense News. Stando agli esperti le navi erano manovrate da membri della milizia. Andrew S. Erickson, del China Maritime Studies Institute del Navy War College degli Stati Uniti, definisce i miliziani i «piccoli uomini blu della Cina», paragonandoli ai «piccoli uomini verdi» della Russia, gli uomini armati in uniformi non contrassegnate che hanno svolto un ruolo fondamentale per strappare la Crimea all’Ucraina. Oltre a dare al governo cinese la possibilità di negare il proprio coinvolgimento nelle operazioni, il loro status “semi-civile” complica le regole di ingaggio per le navi della marina americana.
Ma se da una parte la Cina sfrutta le sue milizie marittime, dall’altra non c’è nessun paese nella regione che abbia il pieno controllo della proprie navi da pesca, i cui capitani fanno leva sul sentimento nazionalista per espandere i loro territori di pesca. «Per la Cina questa politica è un grosso rischio», ha detto Baker, «i pescherecci andranno dove ci sono i pesci, le vongole e i granchi. Se li si incoraggia con discorsi sui diritti, sul nazionalismo e sulle rivendicazioni, i capitani dei pescherecci sono disposti a rischiare di più, perché sanno che tanto verranno salvati. Sanno di poter spingere molto i limiti». E questo, dice Baker, significa che sarà molto difficile evitare altre crisi nelle acque contese.
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