L’esercito israeliano è sempre più religioso
Più di un terzo dei nuovi allievi ufficiali ha forti convinzioni sioniste e religiose, e questo potrebbe diventare un problema
In un lungo articolo per l’agenzia stampa Reuters, la corrispondente da Gerusalemme Maayan Lubell ha raccontato come l’esercito israeliano si stia trasformando in una forza sempre più religiosa, e degli sforzi che alcuni politici e militari israeliani stanno facendo per mantenere intatta la sua tradizione laica. Dell’argomento si è cominciato a parlare in Israele soprattutto dopo l’ultima guerra a Gaza, nell’estate del 2014.
Nella notte prima dell’invasione di terra, il Colonnello Ofer Winter, comandante della brigata Givati, una delle unità più decorate dell’esercito israeliano, ha fatto circolare tra i suoi uomini una lettera dai toni profetici, piena di richiami al “Dio di Israele” e che si concludeva con una citazione biblica. La lettera, racconta Lubell, iniziò immediatamente a circolare sui social network e sui giornali, e causò moltissime polemiche tra gli israeliani laici, che accusarono il colonnello Winter di aver interrotto una tradizione che durava fin dall’inizio della moderna storia di Israele: la separazione tra gli affari militari e quelli religiosi.
L’esercito israeliano, noto con l’acronimo del suo nome in inglese, IDF (che sta per Israel Defence Force), o in ebraico, Tsahal, venne creato a partire dalle milizie più o meno regolari formate dagli ebrei che abitavano in Palestina prima dell’indipendenza. Dopo il 1948 l’esercito, come il governo, divenne una forza dominata da una élite laica e progressista. Moshe Dayan, il più celebre generale israeliano, insieme a moltissimi altri alti ufficiali dello Tsahal, aveva idee di sinistra ed entrò in politica con Mapai, il partito socialista che dominò la prima metà della storia politica israeliana.
La lettera del colonnello Winter ha mostrato che questa situazione oggi è molto cambiata. Un esempio è il ruolo che oggi hanno i rabbini all’interno dell’IDF. Ci sono sempre stati religiosi all’interno dell’esercito israeliano, così come ci sono cappellani militari cattolici in quello italiano (il presidente della CEI Angelo Bagnasco, ad esempio, ha prestato servizio militare e riceve tuttora una pensione dallo Stato italiano equivalente a quella di un generale). Il ruolo dei religiosi-militari è simile in quasi tutti gli eserciti occidentali, e in genere si limita all’officiare cerimonie religiose. All’inizio degli anni Duemila, però, in Israele la situazione è cambiata e il rabbinato militare ha creato l’Unità per la consapevolezza ebraica, un’unità dell’esercito il cui scopo è offrire ai soldati lezioni e corsi in cui viene spiegato come la religione ebraica si intrecci con il dovere di difendere lo stato di Israele. L’Unità è accusata da molti di avere un’agenda di destra e conservatrice, in contrasto con la neutralità politica che dovrebbe caratterizzare l’esercito.
Come la lettera di Winter, anche i corsi dell’Unità per la consapevolezza ebraica hanno attirato numerose critiche da parte di quelli che credono nella separazione tra esercito e affari religiosi. I militari che la pensano in questo modo, però, sono sempre meno. L’esercito israeliano non tiene statistiche ufficiali sulla percentuale di militari religiosi, ma secondo un recente studio realizzato da Maarachot, la rivista ufficiale del ministero della Difesa, e citato da Lubell, i nuovi allievi ufficiali con un passato religioso sionista sono aumentati di dieci volte negli ultimi vent’anni, passando dal 2,5 per cento del 1990 al 26 per cento del 2008. Secondo altri studi più recenti, questa percentuale arriva oggi a circa un terzo o addirittura al cinquanta per cento del totale.
Gli israeliani che si identificano come religiosi sionisti, cioè che ritengono ci siano fondamentali ragioni religiose che giustificano l’esistenza dello stato di Israele, sono circa il 10 per cento della popolazione israeliana (il loro partito più importante è la Casa Ebraica, che alle ultime elezioni ha ottenuto il 6,74 per cento dei voti). La loro ideologia è differente da quella degli ebrei ortodossi, che di solito rifiutano il servizio militare. I sionisti religiosi, invece, ritengono l’esercito fondamentale per la sopravvivenza di Israele e hanno una percentuale molto alta di volontari che fanno parte delle unità di combattimento. Il fatto che moltissimi nuovi allievi ufficiali appartengano a questo gruppo fa sì che i religiosi sionisti siano considerevolmente sovra-rappresentati all’interno dell’esercito.
Sono molti gli israeliani che negli ultimi anni stanno cercando di opporsi a questa tendenza. Lo scorso gennaio, il generale Gadi Eisenkot, capo di Stato maggiore dell’esercito, ha annunciato la sua intenzione di ridimensionare l’Unità per la consapevolezza ebraica. I sionisti religiosi hanno fatto appello al primo ministro Benjamin Netanyahu per fermare questa mossa. Netanyahu è un laico, ma il suo governo dipende anche dal supporto dei partiti religiosi. Per il momento, scrive Lubell, Eisenkot non ha dato segno di voler cambiare idea e lo scorso 4 aprile lo Stato maggiore ha annunciato che l’unità sarà spostata in un altro ramo delle forze armate, anche se i dettagli di questo cambiamento e le sue conseguenze pratiche non sono ancora molto chiari.
Nel 2012, il Mevaker HaMedina (traducibile con “Controllore di stato”, una sorta di Corte dei conti indipendente dal governo con un mandato molto più esteso), ha duramente criticato il rabbinato militare, accusandolo di aver diffuso tra le truppe, durante la guerra a Gaza del 2008-2009, volantini in cui si sosteneva la necessità di “non abbandonare un millimetro” di terra israeliana. Alcuni volantini spiegavano che a volte, sul campo di battaglia, è giustificabile essere “crudeli” con i nemici.
Un altro episodio che mostra la preoccupazione di numerosi israeliani per l’ondata religiosa che ha investito l’esercito, è avvenuto lo scorso febbraio, durante la riunione di una commissione parlamentare. I difensori dell’Unità per la consapevolezza ebraica avevano chiamato a testimoniare un ufficiale, ferito nel corso della guerra del 2008-2009. L’ufficiale raccontò come dopo averlo visto ferito i suoi uomini si erano rifiutati di continuare a combattere, e furono convinti a farlo solo da un discorso motivazionale di un rabbino. «Questo è molto male», ha commentato Omer Bar-Lev, un ex colonnello dell’esercito e oggi parlamentare dell’Unione Sionista, una coalizione di centrosinistra: «Se i tuoi soldati hanno avuto bisogno di un rabbino per essere motivati a combattere, è molto male».
L’ondata religiosa nell’esercito non è che un aspetto del ritorno del sionismo religioso in tutto lo stato di Israele. Oggi la Casa Ebraica è un partito fondamentale per il governo in carica e i suoi membri controllano diversi ministeri importanti. Anche se ufficialmente laico, il Likud, il partito del primo ministro Netanyahu, non può fare a meno dei sionisti religiosi e negli ultimi anni le sue posizioni si sono spostate verso destra in quasi tutti i campi. Yedidia Stern, un ricercatore che lavora in una fondazione vicina ai sionisti religiosi, ha raccontanto a Lubell come nel 1995, dopo che il primo ministro Yitzhak Rabin fu ucciso da uno studente che si identificava con il movimento, «l’intera area politica fu etichettata come un pericolo per lo stato, irrazionale e potenzialmente ribelle. Il sionismo religioso divenne una posizione illegittima. Vent’anni dopo la situazione si è ribaltata».