Che cos’è il fondo Atlante
È stato creato da banche e governo per cercare di aiutare il sistema finanziario italiano e ridurre i crediti deteriorati in circolazione (e cosa sono?): cosa se ne dice
Questa settimana è stata annunciata la creazione di “Atlante”, un fondo di investimento che avrà due scopi: sostenere gli aumenti di capitale di alcune banche italiane e acquistare crediti deteriorati. La creazione del fondo Atlante è l’ultimo passo di una serie di interventi compiuti dal governo e dagli operatori del settore finanziario per cercare di aiutare il sistema bancario italiano, la cui situazione, piuttosto difficile da anni, si è aggravata negli ultimi mesi.
Il fondo Atlante (tecnicamente un “Fondo di investimento alternativo chiuso riservato”) è uno strumento gestito da una società privata, la Quaestio SGR del finanziere Alessandro Penati, ma la sua creazione è stata coordinata con il governo italiano e i principali gruppi finanziari del paese. Al momento la dotazione del fondo, cioè i capitali che potrà investire nei suoi due “compiti”, arriva in gran parte dalle due principali banche italiane, Unicredit e Banca Intesa, che hanno assegnato al fondo ognuna circa un miliardo di euro. Fondazioni bancarie e altri istituti dovrebbero investire circa 500 milioni, mentre altri 500 arriveranno da Cassa Depositi e Prestiti, una struttura formalmente privata ma di fatto completamente controllata dal ministero dell’Economia. In tutto il fondo dovrebbe riuscire a raccogliere tra i 5 e i 6 miliardi.
Il primo problema che il fondo dovrà affrontare è quello degli aumenti di capitale che nei prossimi mesi dovranno compiere due banche che si trovano in difficoltà: la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Da anni, numerose banche italiane sono “sottocapitalizzate”, cioè hanno troppe poche risorse proprie rispetto ai prestiti e agli altri impegni che hanno erogato – esistono regolamenti internazionali che stabiliscono quanto “capitale proprio” deve avere un banca rispetto al totale dei suoi impegni, in modo da garantirne la stabilità. Per rimediare a questa situazione, le banche possono emettere nuove azioni sul mercato, con un’operazione chiamata “aumento di capitale”. Il problema è che non sempre i mercati trovano molto allettante comprare le azioni delle banche italiane, soprattutto se si trovano in una brutta situazione. Il ruolo del fondo sarà, semplificando, quello di comprare le eventuali azioni che le banche non riusciranno a vedere sopra un certo prezzo.
Un problema altrettanto grave che il fondo cercherà di risolvere è quello dei “non performing loans” (NPL), o crediti deteriorati, cioè i prestiti che le banche hanno difficoltà a riscuotere. In Italia sono quasi il 20 per cento del totale di tutti i crediti erogati, per un valore totale di circa 350 miliardi di euro – contando anche i 150 miliardi di crediti “meno” deteriorati. Le “sofferenze” vere e proprie, cioè gli NPL più deteriorati, sono circa 200 miliardi lordi. Per fronteggiarli, il sistema bancario ha messo da parte risorse per 120 miliardi. Le sofferenze nette, cioè la cifra che il fondo Atlante dovrà contribuire a smaltire, è quindi di 80 miliardi.
A gennaio il governo aveva creato un altro strumento, le “GACS”, che era stato impropriamente soprannominato “bad bank”. Si tratta di una forma di garanzia pubblica che una banca può acquistare per “assicurare” i propri crediti deteriorati e quindi rivenderli sul mercato a un prezzo non troppo svantaggioso. Le GACS non sono ancora entrate in funzione, ma gli esperti concordano sul fatto che avranno un impatto limitato perché soltanto una parte dei crediti deteriorati, quelli ritenuti più “sicuri”, possono essere garantiti con questo strumento.
Atlante avrà una missione più ampia e potrà acquistare anche i crediti deteriorati meno sicuri (le cosiddette tranche “junior”, diverse dalle “senior” che potranno essere garantite dalle GACS). Questo risultato sarà possibile perché i fondi di Atlante saranno in gran parte privati. Il problema, come ha notato il blogger e analista finanziario Mario Seminerio, sembra essere che questi fondi saranno piuttosto limitati rispetto al totale delle sofferenze (gli NPL più deteriorati) in circolo nel sistema italiano: 5-6 miliardi di euro su un totale di sofferenze nette intorno agli 80 miliardi.
Per cercare di aumentare la sua capacità di investire, il fondo prenderà in prestito soldi dal mercato, circa altri 5-6 miliardi. Come ha notato l’analista finanziario Andrea Boda su Pagina99, questo potrebbe avere l’effetto di riparare a un buco creandone uno più grosso. Le operazioni del fondo sono rischiose e si basano su una sorta di scommessa. La speranza è che con l’aiuto del fondo gli aumenti di capitale abbiano successo e le banche di cui il fondo diventerà in parte proprietario tornino in salute, in modo da assicurare un guadagno all’operazione. Lo stesso discorso vale per i crediti deteriorati: la speranza è di acquistarli a un valore superiore a quello che al momento è disposto ad offrire il mercato, scommettendo sul fatto che con un po’ di pazienza sarà possibile ottenere dei guadagni anche dalla gestione di questi crediti difficili.
Ma se l’operazione dovesse fallire, la cattiva situazione finanziaria delle banche aiutate (il “contagio”, come lo hanno drammaticamente definito diversi esperti in questi giorni) si trasferirebbe al fondo e alle società che ci hanno investito – cioè le parti al momento più sane del sistema finanziario italiano. Nella migliore delle ipotesi, invece, l’operato del fondo Atlante contribuirà a generare un effetto tranquillizzante sui mercati. Visto che è partecipato dai principali operatori finanziari italiani, infatti, la sua operazione è una sorta di “messa in comune” dei rischi del sistema, un segnale che il mercato potrebbe percepire come indice che il settore bancario italiano è più solido di come è stato percepito in passato. Questo produrrebbe molti effetti positivi, rendendo ad esempio più allettanti per gli investitori gli aumenti di capitale che dovranno essere compiuti nei prossimi mesi.