L’affondamento della Haven, 25 anni fa
Fu il più grave disastro ambientale nella storia italiana: una petroliera cipriota affondò nel golfo di Genova dopo un incendio durato tre giorni
La mattina del 14 aprile di 25 anni fa, nel 1991, la petroliera Amoco Milford Haven, capace di trasportare più di 250 mila tonnellate di petrolio, affondò completamente dopo un’esplosione avvenuta tre giorni prima. La Haven si posò sul fondo del mare davanti a Voltri, nel golfo di Genova: morirono cinque persone e il petrolio ancora contenuto nelle cisterne della nave causò il più grave incidente ambientale mai verificatosi nel Mar Mediterraneo. Solo pochi giorni prima, nel porto di Livorno, era bruciata la nave da crociera Moby Prince, uccidendo 140 persone.
La petroliera Amoco Milford Haven era stata costruita a Cadiz, in Spagna, e consegnata nel 1973 alla Amoco Transport Company di Chicago. Era una nave cisterna di grandissime dimensioni, era lunga quasi 350 metri, larga più di 50, aveva tre cisterne centrali e dieci cisterne laterali. Negli anni Ottanta fu venduta a una compagnia della Liberia e immatricolata sotto bandiera cipriota con il nuovo nome di “Haven”. La nave venne utilizzata tra il Golfo Persico e l’Indonesia, ma rimase ferma per due anni a Singapore tra il 1988 e il 1990 perché venne colpita e danneggiata da un missile sparato da una motovedetta iraniana. Dopo le riparazioni la nave ripartì il 10 gennaio del 1991 e attraverso il Capo di Buona Speranza raggiunse l’Europa. Dal 7 al 9 aprile la Haven rimase ormeggiata alla piattaforma davanti al Porto Petroli di Genova per uno scarico parziale del greggio.
La mattina dell’11 aprile 1991 la Haven si trovava nella rada di Genova, in attesa di ordini. In vista di future operazioni fu dato l’ordine di travasare il greggio dalla stiva che si trovava a prua alla stiva che si trovava al centro della nave. Alle 12.30 circa, ci fu un’esplosione a bordo. In quel momento la Haven trasportava circa 144 mila tonnellate di petrolio greggio e più di 1.200 tonnellate di combustibile: circa 100 metri della copertura del ponte superiore si staccarono affondando in mare, la nave prese fuoco e il petrolio cominciò a bruciare. Il vento portava verso poppa le fiamme dell’incendio, questo probabilmente causò un progressivo riscaldamento delle cisterne rimaste integre, un aumento della pressione al loro interno e il loro sfondamento. Alle ore 13 circa si verificò una nuova esplosione, la catena di ancoraggio si ruppe e la Haven andò alla deriva, spinta verso Savona.
Il giorno dopo cominciarono i primi interventi per bloccare il petrolio in fiamme che fuoriusciva dalle cisterne. Un rimorchiatore iniziò ad avvicinare la nave alla costa, ma una parte dello scafo lungo circa 100 metri e contenente 3 cisterne si staccò e sprofondò. Alle ore 9.35 del 13 aprile, la nave era ancora in fiamme e vi furono altre nuove esplosioni. Il petrolio raggiunse le spiagge, ma le condizioni favorevoli del mare e del vento impedirono che le colonne di fumo, alte fino a 300 metri, raggiungessero le coste.
La mattina del 14 aprile, la Haven affondò completamente e si posò sul fondo del mare alla profondità di circa 80 metri a poco più di un miglio dalla riva al largo di Arenzano.
Dopo otto anni, nel 1998, venne stabilito in via stragiudiziale (cioè attraverso un accordo diretto tra le parti) che lo Stato italiano ricevesse 117 miliardi di lire in danni e compensazioni. Parte della somma fu usata per gli interventi di bonifica e per la riqualificazione ambientale del mare e della costa danneggiata. Il relitto della Haven è il più grande visitabile dai subacquei del Mediterraneo, e uno dei più grandi al mondo.