I newyorkesi che votano Trump
Un giornalista del Washington Post ha fatto due chiacchiere con un po' di suoi elettori sul traghetto che collega Manhattan con Staten Island: martedì ci sono le primarie
di Philip Rucker – The Washington Post
A New York è l’ora di punta serale e sullo Staten Island Ferry – il traghetto gratuito che collega i distretti di Staten Island e Manhattan a New York – i sostenitori di Donald Trump tornano a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro a Manhattan. Tra loro c’è un operaio edile convinto che Trump metterà fine al comportamento «da conigli» degli Stati Uniti sul terrorismo; un immigrato ungherese che per lavoro guida un carro attrezzi e dice che Trump parla la sua lingua; un dipendente di una ditta di traslochi che crede che Trump sarebbe il primo presidente onesto e coraggioso della sua vita; un commerciante di diamanti che rispetta la sua fermezza, e un modello che subisce il fascino di Trump. «È semplicemente il migliore», dice Jimmy Dawson, modello ventenne di ritorno da una sfilata a Parigi per la nuova linea di Givenchy. Sul traghetto l’unico segno che tradisce il sostegno di Dawson a Trump è il suo cappello rosso con la scritta “Make America Great Again”. «È per la sua ricchezza, il suo modo di fare», aggiunge, «guardate quello che ha fatto. È un’ispirazione. Chi non vorrebbe avere una vita come la sua? Chi non vuole diventare ricco? Siamo a New York».
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New York è la città di Trump, e questa è la sua gente. Alle primarie nello stato di New York, che si terranno martedì prossimo, Trump dovrebbe spazzare via i suoi avversari con uno dei margini più ampi mai registrati alle primarie presidenziali del Partito Repubblicano. Gli ultimi sondaggi lo danno al 50 per cento, con un grande distacco dal governatore dell’Ohio John Kasich e dal senatore del Texas Ted Cruz. Per capire perché basta ascoltare i passeggeri del traghetto mentre la nave attraversa il porto di New York. Per queste persone Trump incarna lo spirito e l’ambizione della loro città. È una persona importante, è sfacciato e non ha paura. Dicono di conoscere Trump e di credere in lui, nonostante non l’abbiano mai incontrato. Per decenni hanno letto delle sue imprese sui tabloid, hanno alzato lo sguardo per osservare i suoi edifici e hanno visto il suo nome pressoché ovunque.
«Sapevi che è newyorkese?», chiede Frank Manzo, 51enne che lavora per una ditta di traslochi. «In un certo senso è coraggioso, ed è onesto». Manzo dice di essere preoccupato per il terrorismo, che vede dovunque: «Tutti ci calpestano perché non siamo duri. Ci rapiscono e ci torturano. Se qualcuno dovesse bombardare questo traghetto, poi dovrebbe pagarne le conseguenze. Trump farà finire tutto questo». Ne è convinta anche Margaret Power: «Trump è davvero un duro, uno tosto, ed è quello che ci serve», dice, «è il momento di smettere di fare i conigli». Power ha 52 anni e lavora nell’edilizia. Al momento sta preparando le strutture per una mostra di moda al Metropolitan Museum of Art. Dice di fidarsi di Trump perché non è come gli altri politici fedeli solo ai loro finanziatori. «È la guida di sé stesso», dice, «ha fatto tanto per New York. È coinvolto in progetti grandiosi. È uno tutto di un pezzo. Ha fatto di più della maggior parte dei sindaci della città, e si vede».
Joe Berardi pensa che Trump come presidente farebbe molto per l’occupazione. «Farà bene per quelli come me», dice l’operaio edile di 33 anni mentre finisce una fetta di pizza. Berardi si sveglia ogni mattina alle 3, arriva al suo cantiere entro le 7 e prende il traghetto delle 17 per tornare a casa, ogni giorno, sei giorni alla settimana. Di solito lavora sui grattacieli, ma in questi giorni sta lavorando alla costruzione di un negozio Nike a Broadway. «Donald Trump è un genio dell’edilizia», dice Berardi, «a un miliardario non importerà certo di me, ma sa di avere bisogno di noi, come gruppo. Se si sbarazzerà degli immigrati irregolari che lavorano a basso costo, chi rimarrà a fare il loro lavoro? Persone come me». Josh Shimoni, 65 anni, ha la stessa speranza. «Trump! Trump! Trump! Parla la mia lingua», dice Shimoni, che di lavoro guida un carro attrezzi ed è arrivato negli Stati Uniti dall’Ungheria a 22 anni. «Capisce le nostre frustrazioni sul lavoro, e credo che possa darci una mano. Il lavoro va davvero molto male. Non c’è lavoro. Trump farà funzionare di nuovo il sistema».
Joe Berardi sullo Staten Island Ferry (Mark Abramson/For The Washington Post)
A New York ci sono anche molte persone che odiano Trump. Sono milioni, senza dubbio, e ce ne sono anche su questo traghetto: sono donne, neri, latini e giovani. Quando chiedo se hanno intenzione di votare per Trump, alcuni di loro si mettono a ridere. «Non mi piace», dice Chris Topherbollinger, un uomo bianco di mezza età che porta i vestiti con il marchio dei New York Yankees, la squadra di baseball più famosa di New York. «Anzi, lo disprezzo». Altre persone, però, pensano che Trump sia proprio quello di cui l’America e Staten Island hanno bisogno. Di tutti i cinque distretti amministrativi di New York, Staten Island è quello dimenticato. Non ha collegamenti con la rete metropolitana e ci si può arrivare solo per nave o attraversando un ponte. È il quartiere meno popoloso – ha solo 500mila abitanti – ma anche quello con più bianchi e Repubblicani. Trump ha in programma di tenere un comizio nel distretto domenica prossima.
Come in molti altri posti negli Stati Uniti, il flusso di immigrati ha creato tensioni anche a Staten Island. Debbie Padovano, 59 anni, ha votato per Obama ma adesso sostiene Trump. Vive a Manhattan ma si sposta a Staten Island per lavorare in un banco alimentare per i senzatetto. Dice di affrontare il problema dell’immigrazione ogni giorno sul lavoro. «Non hanno i requisiti giusti», dice Padovano, «noi li facciamo entrare, e finché non sono molti va bene. Ma ce ne sono troppi. Stanno portando via il lavoro alla gente. Credo che Donald Trump metterà le cose a posto». Padovano non sostiene la retorica aggressiva di Trump e spera che «diventi meno discriminatorio». Ciononostante si è convinta che sarebbe all’altezza del ruolo. «Una volta che sarà eletto saprà esattamente cosa fare», dice Padovano, «So che saprebbe gestire la situazione. Donald… mi scusi, il signor Trump, metterebbe il Congresso in un angolo e prenderebbe il controllo».
Debbie Padovano sullo Staten Island Ferry (Mark Abramson/For The Washington Post)
Anche Michael O’Brian, 52 anni, vuole che il prossimo presidente prenda il controllo della situazione, e crede che Trump sia la persona in grado di farlo. «Quando l’ISIS ha bombardato la Francia, la sua prima reazione è stata: “Li ricoprirò di bombe”. Mi piace il suo modo di pensare: ha coraggio», dice O’Brian. La sua è una vita difficile: costruiva le scenografie al Metropolitan Opera House, il teatro dell’opera di New York, ma un giorno cadde da una scala, rompendosi i denti e la schiena in tre punti diversi. Ora non può più lavorare, racconta, e si aiuta con un bastone per camminare. Si è messo davanti alla porta della cabina del traghetto e osserva la Statua della Libertà mentre la nave le passa accanto. O’Brian non è il tipo di sostenitore di Trump che applaude a tutto quello che esce dalla sua bocca. Quando di recente Trump ha detto che le donne che abortiscono dovrebbero essere punite voleva «tirargli un pugno in faccia», anche se ammette che Trump «è un newyorkese: dice quello che pensa». Questo è il tipo di atteggiamento che ha portato Chris Szymanski a sostenerlo.
Szymanski è un immigrato polacco di 62 anni, vive a Staten Island e vende diamanti nel centro di Manhattan. Vuole un presidente forte, quasi autoritario. Di ritorno a casa sul traghetto, in completo e cravatta, Szymanski sfoglia un quotidiano e paragona Trump al presidente della Russia. «Ci sono due uomini che rispetto al mondo: Vladimir Putin e Donald Trump. Sono leader che fanno quello che dicono. Risolvono i problemi. Sono forti, decisi e hanno carattere». Per Szymanski i valori di New York sono «la forza, il dinamismo, la sicurezza in sé e il patriottismo». Trump li incarna tutti, dice Szymanski, ed è la soluzione ai mali del paese. «Risolverà tutto. Pensate a cosa ha fatto nella sua vita, ai suoi figli e al suo impero. Non vedete uno schema? Qualità. Onestà. Fermezza. Successo»
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