I problemi economici dell’ISIS
Le sconfitte militari e gli attacchi mirati a pozzi petroliferi e raffinerie hanno ridotto parecchio le entrate dello Stato Islamico, che ha cominciato a tagliare stipendi e servizi
di Joby Warrick e Liz Sly – The Washington Post
Secondo i funzionari dell’antiterrorismo americano lo Stato Islamico starebbe affrontando una crisi di liquidità nei suoi territori senza precedenti, a causa di mesi di attacchi alle sue strutture petrolifere e alle istituzioni finanziarie che ne stanno intaccando sempre di più la capacità di pagare i suoi combattenti e portare avanti le operazioni di guerra. Per la prima volta i funzionari americani stanno raccogliendo prove evidenti delle difficoltà finanziarie del gruppo, mentre emergono ricostruzioni di scontri tra alcuni importanti comandanti dell’ISIS intorno ad accuse di corruzione, cattiva amministrazione e furti. La mancanza di liquidità avrebbe già costretto il gruppo a dimezzare lo stipendio di molti dei suoi miliziani iracheni e siriani e, secondo quanto riportato da persone che recentemente hanno abbandonato il gruppo, alcune unità non riceverebbero lo stipendio da mesi. I civili e le imprese nei territori dall’ISIS si lamentano a cause delle imposte e delle tasse sempre più alte riscosse dai terroristi per compensare la crisi di liquidità.
Secondo le autorità americane i problemi finanziari dello Stato Islamico sono da ricondurre a una campagna in atto da mesi finalizzata a distruggere le fondamenta finanziarie del gruppo, che per settimane ha compiuto attacchi a strutture petrolifere, a banche e ad altri depositi di valuta forte dell’ISIS. Secondo diverse fonti dell’antiterrorismo americano (che hanno accettato di parlare di alcune operazioni di intelligence sensibili a condizione di rimanere anonime) gli attacchi contro i giacimenti petroliferi, le raffinerie e le autocisterne hanno provocato un calo di un terzo della produzione petrolifera dell’ISIS. Nel frattempo, le entrate complessive derivanti dal settore petrolifero dello Stato Islamico sono state dimezzate a causa del calo del prezzo del petrolio e della minor capacità del gruppo di produrre e vendere prodotti derivanti dal petrolio raffinato come il carburante, dicono i funzionari americani. «Per la prima volta c’è ottimismo», ha detto Daniel Glaser, il sottosegretario del dipartimento del Tesoro americano che si occupa dei finanziamenti al terrorismo, parlando della guerra finanziaria contro lo Stato Islamico, «penso davvero che l’effetto delle nostre strategie sia significativo». Ma, ha aggiunto Glaser, «l’ISIS guadagna ancora un sacco di soldi e noi abbiamo ancora molta strada da fare».
Nel frattempo le operazioni militari degli Stati Uniti hanno ucciso diversi responsabili finanziari dello Stato Islamico, tra cui il ministro delle finanze del gruppo, Haji Imam, la cui morte in un attacco aereo è stata annunciata una decina di giorni fa. Inoltre, diverse autorità e analisti americani sostengono che a causa delle perdite di territori subite dal gruppo nell’ultimo anno, che hanno ridotto di circa il 40 per cento il territorio del sedicente califfato, i terroristi oggi hanno una popolazione sensibilmente inferiore da poter sfruttare per ottenere liquidità. A differenza di al Qaida, le cui entrate erano basate su donazioni esterne, lo Stato Islamico ottiene tradizionalmente gran parte dei suoi guadagni a livello locale, tramite estorsioni e altri atti illegali, ma anche grazie a imposte e tasse riscosse da imprese e civili. «L’ISIS ha dovuto ritirarsi da una porzione enorme dei territori controllati in passato», ha detto Matthew Levitt, un esperto di reti di finanziamento terroristiche che ha lavorato per il dipartimento del Tesoro americano e per l’FBI, «se non controllano il territorio non possono sfruttare la popolazione, né tanto meno le risorse naturali, come petrolio, grano o acqua». Secondo alcuni esperti i recenti attacchi terroristici in Europa sarebbero parte della reazione dello Stato Islamico al peggioramento della situazione nei suoi territori. C’è chi sostiene che nel breve periodo la pressione esercitata sulle finanze dell’ISIS potrebbe rendere il gruppo ancora più pericoloso e imprevedibile. «Se metti un animale feroce in un angolo ti attaccherà», ha detto Levitt, che ora è un membro del centro studi americano Washington Institute for Near East Policy.
La autorità dell’antiterrorismo hanno riscontrato poche prove di finanziamenti consistenti o sostegno materiale da parte dell’organizzazione centrale dello Stato Islamico per i recenti attacchi a Parigi e Bruxelles. Gli esperti di antiterrorismo sostengono che in effetti sembra che il gruppo fornisca un sostegno finanziario limitato o pari a zero ai suoi nuovi affiliati in altre zone del Medio Oriente o in Asia meridionale. «Mentre alcune province potrebbero avere ricevuto dei finanziamenti, altre sembrano non aver ottenuto granché in cambio dei combattenti inviati in Siria e Iraq», ha detto Katherine Bauer, che fino a poco tempo fa ha lavorato come consulente esperta di finanziamenti ai terroristi del dipartimento del Tesoro americano.
Le autorità americane, tuttavia, invitano alla prudenza, sottolineando come già in passato lo Stato Islamico sia stato capace di riprendersi da gravi difficoltà, e come i leader del gruppo terroristico abbiano dato prova di essere resilienti e creativi nel superare gli ostacoli. Hisham al Hashimi, uno stratega militare iracheno, ha detto di essere scettico in merito alle dichiarazioni degli Stati Uniti che rivendicano di aver inflitto seri danni alle infrastrutture finanziarie dello Stato Islamico. «Non stanno attraversando una crisi finanziaria che porterà alla loro sconfitta», ha detto al Hashimi, «controllano ancora il 60 per cento dei pozzi petroliferi della Siria e il 5 per cento di quelli iracheni». Per gli Stati Uniti e i loro alleati i tentativi di tagliare i rifornimenti finanziari dell’ISIS si sono dimostrati un obiettivo particolarmente difficile, in parte a causa dell’autosufficienza economica del gruppo, e in parte per la grande liquidità ottenuta dall’ISIS grazie alla conquista di diverse importanti città irachene nel 2014, stando a quanto riportato dalle autorità. I grandi guadagni iniziali – stimati in oltre 700 milioni di dollari – hanno immediatamente fatto dell’ISIS l’organizzazione terroristica più ricca al mondo.
Secondo le autorità americane, gran parte di quella liquidità oggi è evaporata: la maggior parte è stata spesa per gli stipendi dei combattenti o è andata distrutta dopo gli attacchi aerei mirati delle ultime settimane. Il colonnello Steve Warren, un portavoce dell’esercito americano a Baghdad, ha detto che gli attacchi tutt’ora in corso avrebbero distrutto diverse decine di milioni di dollari in valuta forte una volta in possesso dell’ISIS, mentre secondo alcuni funzionari americani le perdite del gruppo ammonterebbero a centinaia di milioni di dollari. «Lo Stato Islamico deposita il suo denaro in diversi posti: si parla di grandi somme, milioni di dollari in un unico posto», ha raccontato Warren, «noi scopriamo dove si trova e lo distruggiamo». Anche le perdite in guadagni derivanti da petrolio sono state molto alte. Nel 2014, mentre i suoi combattenti attaccavano la Siria orientale e l’Iraq occidentale, lo Stato Islamico prendeva il controllo dei pozzi di petrolio e delle raffinerie, che in breve tempo iniziarono a essere usati per produrre petrolio e gas destinati al mercato nero. Fino a non più di un anno fa, lo Stato Islamico generava all’anno ricavi per mezzo miliardo di dollari grazie alla vendita di prodotti derivati dal petrolio ad acquirenti in Turchia e Siria.
L’amministrazione di Obama inizialmente era restia a colpire le strutture petrolifere che un giorno avrebbero potuto contribuire alla ricostruzione in Iraq e in Siria. Ma dopo gli attacchi di Parigi di novembre un’offensiva militare guidata dagli Stati Uniti e denominata “Operation Tidal Wave 2” ha lanciato oltre 200 attacchi contro pozzi di petrolio, raffinerie, oleodotti e autocisterne dell’ISIS. Secondo le autorità americane, dall’inizio della campagna militare la produzione di petrolio dello Stato Islamico è diminuita sensibilmente e il gruppo avrebbe perso la sua capacità di raffinazione del petrolio oltre che un accesso agevole ai commercianti sul mercato nero in Siria e nel sud della Turchia. Con il calo delle entrate derivanti dal petrolio lo Stato Islamico è diventato sempre più dipendente dal denaro riscosso dalle popolazioni locali nelle città e nei villaggi controllati. Dal 2014 l’ISIS avrebbe estorto milioni di dollari da iracheni e siriani attraverso un elaborato sistema di imposte, tasse e operazioni criminali come estorsioni e rapimenti. L’anno scorso il sistema di “riscossione fiscale” dello Stato Islamico ha subito un duro colpo quando il governo iracheno ha deciso di bloccare il pagamento degli stipendi a migliaia di dipendenti pubblici a Mosul e in altre città controllate dall’ISIS, intaccando una fonte di entrate al gruppo che secondo le autorità americane si avvicinava ai due miliardi di dollari all’anno. «Usano quel denaro per le loro operazioni militari e per la gestione del loro governo», ha raccontato Glaser, «noi stiamo tagliando le loro fonti di guadagno e li stiamo isolando dai mercati, in modo che non possano spendere i loro soldi».
I racconti di chi si è allontanato dallo Stato Islamico e i post sui social media dimostrano l’impatto che queste perdite hanno avuto sulle operazioni quotidiane dell’ISIS e sulla vita nei territori controllati dai terroristi. I civili e i foreign fighters reclutati dal sedicente califfato hanno parlato di forniture di beni essenziali in calo e di multe più alte per le violazioni del codice d’abbigliamento conservatore, del divieto di fumare o per aver saltato le preghiere. Abu Sara, un ingegnere iracheno trentatreenne di Shadadi, ha raccontato di come, dopo mesi di tagli agli stipendi, i suoi parenti e amici che si erano uniti allo Stato Islamico siano ormai disillusi. «I membri dello Stato Islamico sono arrabbiati: non vengono pagati, e quando lo sono lo stipendio è molto più basso che in passato», ha raccontato Abu Sara, che ora vive in Turchia, «tutte le persone con cui sono in contatto vogliono scappare, ma non sanno come farlo». Dal momento che viaggiare è vietato, l’unica opportunità per scappare è dopo una battaglia, quando i combattenti disillusi «gettano le armi e si confondono con i civili».
© 2016 – The Washington Post