Il film che ha cambiato i film sul giornalismo
"Tutti gli uomini del presidente", la storia dell'inchiesta giornalistica sullo scandalo Watergate, uscì 40 anni fa oggi
Il 9 aprile del 1976 uscì negli Stati Uniti Tutti gli uomini del presidente, considerato il modello di tutti i film sul giornalismo che sono arrivati dopo. Il film racconta il “Watergate” e la storia dell’inchiesta giornalistica che portò alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Il regista di Tutti gli uomini del presidente è Alan J. Pakula, morto nel 1998. I due attori protagonisti sono Robert Redford e Dustin Hoffman: nel film interpretano Bob Woodward e Carl Bernstein, i giornalisti del Washington Post che fecero l’inchiesta sullo scandalo Watergate.
Woodward e Bernstein scrissero anche un libro sull’inchiesta, uscito nel 1974: lo intitolarono All the president’s men per citare un verso di una filastrocca di Humpty Dumpty (“all the king’s men and all the king’s horses…”) e fare riferimento all’estesa rete di collaboratori di Nixon che era stata coinvolta nel complotto ai danni del Partito Democratico svelato dall’inchiesta. Il libro divenne un progetto concreto soprattutto grazie all’insistenza di Redford, che suggerì ai due giornalisti di mettere al centro del racconto la loro inchiesta e non la storia del complotto. Redford si offrì anche di acquistare i diritti cinematografici, producendo il film tratto dal libro. Tutti gli uomini del presidente costò circa otto milioni di dollari e ne incassò quasi dieci volte di più. Fu nominato a otto premi Oscar e ne vinse quattro: sceneggiatura non originale, sonoro, scenografia (tutta la redazione del Washington Post fu ricostruita a Hollywood) e Miglior attore non protagonista (che andò all’attore Jason Robards). I premi più importanti – Miglior film e Miglior regia – li vinse Rocky.
Le recensioni del 1976
Nel 1976 Vincent Canby recensì Tutti gli uomini del presidente per il New York Times e scrisse che prima di quel giorno “nessun film era riuscito ad avvicinarsi ad essere una così accurata rappresentazione del giornalismo americano nella sua forma migliore”. Canby scrisse anche che il film era destinato a un grande successo e poteva essere per le persone “pensanti” (“thinking man”, in inglese) quello che per il pubblico normale (evidentemente meno “pensante”) era stato Lo squalo. L’8 aprile di quarant’anni fa Joseph Gelmis scrisse su Newsday che il film era un ottimo esempio di come importanti questioni politiche e sociali erano state racchiuse in una umile detective story.
Il film non piacque invece al famoso critico di cinema Rogert Ebert, secondo il quale Tutti gli uomini del presidente era più vicino al lavoro giornalistico di quanto non lo fosse all’arte del racconto. Nella sua recensione del 1976, Arthur Knight scrisse su Hollywood Reporter che il film spiegava in modo efficace come l’inchiesta era stata un immenso puzzle, molto difficile da comporre.
Le scene più belle, secondo Woodward e Bernstein
Per il quarantesimo anniversario del film, il Washington Post ha intervistato i suoi due giornalisti chiedendogli qual è la loro scena preferita. Bernstein ha scelto la scena della Biblioteca del Congresso di Washington «perché mostra in modo brillante le sfide monumentali e granulari del giornalismo». Dura meno di un minuto e non ci sono dialoghi.
Woodward ha scelto due scene in cui c’è Benjamin C. Bradlee, che dal 1968 al 1991 fu il direttore del Washington Post. Bradlee è morto nel 2014 e nel film è interpretato da Robards, morto nel 2010. In una scena c’è il personaggio di Bradlee che difende Woodward e Bernstein, in un’altra c’è invece lui che dice, sempre ai due giornalisti protagonisti del film, «You haven’t got it», per fargli capire che alla loro inchiesta manca ancora qualcosa.