Se una cosa esiste, ne esiste anche la versione porno
Questo almeno dice la cosiddetta "regola 34" di internet, ma è ancora valida? O il porno online ha reso più banali i nostri gusti?
di Caitlin Dewey – The Washington Post
Se cercate un giochetto divertente da fare con gli amici, tirate fuori uno smartphone e provate a confutare la Regola 34 di Internet. La regola 34 è un’antica leggenda virale secondo cui se una cosa esiste o può essere immaginata, allora ne esiste una versione porno su Internet. La regola si applica alle cose più impensabili: dal tetris agli gnomi, passando per robot, alieni, capre e trombe. Come avrà notato chi ha provato a sperimentarla, tuttavia, oggi verificare la Regola 34 è più difficile che in passato. Nei tredici anni passati da quando un adolescente britannico coniò per primo il termine, gli schemi del consumo di Internet e l’industria pornografica online sono cambiati. Le immagini di capre aliene che fanno sesso esisteranno ancora in qualche angolo remoto di Internet, ma sono molto più nascoste che in passato.
«Stiamo assistendo alla morte della Regola 34», ha detto Ogi Ogas, neuroscienziato computazionale di Harvard e autore del primo grande studio su grande scala sul porno online. «La si può ancora verificare, cercando online. Ma non è più facile come una volta». Ogas ha condotto un’analisi su oltre 55 milioni di ricerche a tema porno tra il 2009 e il 2010, alla fine di un periodo che potrebbe passare alla storia come “l’età dell’oro della Regola 34”. Proprio come i media tradizionali, all’epoca anche l’industria pornografica attraversava un periodo turbolento per colpa di Internet. I computer e le connessioni più veloci risparmiavano agli utenti l’imbarazzo di dover interagire con un postino curioso o con i dipendenti di un videonoleggio, e permettevano di assecondare con facilità qualsiasi preferenza sessuale. Grazie alle stesse tecnologie che resero possibile la diffusione dei blog, inoltre, chiunque avesse una connessione Internet e un pubblico interessato poteva pubblicare i propri contenuti.
Purtroppo esistono pochi studi validi sui siti porno dell’epoca, e anche l’analisi di Ogas si è concentrata sulle ricerche degli utenti invece che sui risultati. Alcuni dei primi studiosi del porno in rete, tuttavia, avevano raccontato di un gruppo ramificato e sempre più grande di siti di nicchia dedicati a ogni identità o fantasia sessuale immaginabile. «Nessun argomento è abbastanza remoto», avevano detto nel 2007 alcuni ricercatori, «e nessun feticismo è troppo strano». Anche se forse non se ne rendevano conto, questi studiosi stavano proponendo conclusioni simili a quelle a cui qualche anno prima era già arrivato un adolescente britannico. Nel 2005 Peter Morley-Souter, che all’epoca aveva circa 16 anni, si era imbattuto per caso in una versione pornografica di Calvin & Hobbes (una famosa striscia a fumetti americana) e l’aveva trasformata in una vignetta circolata molto su Internet.
Regola 34: Ce n’è una versione porno. Non ci sono eccezioni. (gentile concessione di Peter Morley-Souter)
Morley-Souter, che ora ha 27 anni e usa un nome leggermente diverso per non essere ricollegato alla Regola 34, ammette che negli ultimi dieci anni il porno e Internet sono cambiati molto. Alla fine degli anni Duemila, mentre Ogas concludeva il suo studio, l’industria pornografica online iniziava a diventare più solida, spostandosi da produttori e distributori singoli verso siti-aggregatori. Per farsi un’idea della portata di questi siti basta considerare che secondo le stime il porno online coinvolge il 4,7 per cento del traffico totale su Internet da desktop, la maggior parte del quale è incanalato su questi siti. Come succede con YouTube, a cui sono ispirati, siti come Xvideos (il 23esimo sito più popolare del mondo) e Pornhub (il 37esimo) consentono a chiunque di caricare praticamente qualsiasi cosa: per esempio i video porno rubati dai siti a pagamento, una pratica che ha distrutto parte dell’industria pornografica. La pirateria ha colpito duramente soprattutto i produttori e distributori più piccoli, dice Shira Tarrant, autrice del libro The Pornography Industry. I siti che producono le versioni erotiche di Calvin & Hobbes e Tetris sono proprio quelli che non possono permettersi di assumere a tempo pieno un dipendente che si occupi di contrastare la pirateria.
Il fatto che questi siti accentrino il potere e l’influenza del settore del porno online nelle mani di un’unica azienda – un dato di cui la maggior parte degli utenti non sono a conoscenza – danneggia anche per la Regola 34. Otto dei dei dieci maggiori siti porno – tra cui Pornhub, RedTube e YouPorn – appartengono a MindGeek, una società informatica che ha sede in Lussemburgo. Sfruttando le grandi quantità di contenuti e dati sul traffico degli utenti a sua disposizione, MindGeek ha potuto decidere quali genere di porno far diventare e mantenere popolari. La maggior parte di questi siti consigliano e promuovono l’uso di tag specifici che contribuiscono a determinare il modo in cui parliamo di sesso; decidono quali contenuti promuovere e quali nascondere, come fanno anche Amazon e Netflix. Sulla sua homepage curata (visitata da quasi 30 milioni di persone ogni mese), e grazie ad attente strategie per la presenza su media e social network, Pornhub personalizza i contenuti suggeriti ai suoi utenti grazie a un algoritmo che tende a soffocare i video più curiosi o strani che potrebbero essere caricati dagli utenti.
«Quello che mi colpisce del porno online mainstream è che non è poi così selvaggio», ha detto Tarrant. «È esplicito, e alcuni video sono estremi. Ma stranamente la scelta è davvero ristretta: non lo definirei vario o creativo». Il vicepresidente di Pornhub, Corey Price, ha negato in un comunicato ogni coinvolgimento dei siti porno nella standardizzazione o generalizzazione della pornografia su Internet: l’offerta di porno non è mai stata così ampia, ha detto Price, e Pornhub in particolare starebbe «rendendo democratica la distribuzione di video per adulti, come ha fatto YouTube per i video tradizionali». I pochi dati che abbiamo a disposizione, però, danno indicazioni diverse. In uno dei più recenti studi quantitativi sul porno online, cinque ricercatori francesi di diversi istituti hanno analizzato i metadati – come i tag che descrivono i contenuti – di 1,7 milioni di video su Xnxx e xHamster, due popolari siti porno. I ricercatori hanno scoperto che, sebbene il materiale disponibile sia in teoria molto ampio, il 5 per cento delle tag disponibili comprende il 90 per cento dei video caricati nei due siti.
Il materiale pornografico più “insolito” è nascosto troppo in profondità nelle rete anche per le ricerche di Google. In un certo senso la nuova disposizione dei contenuti pornografici non dovrebbe sorprendere più di tanto, e potrebbe se non altro rispecchiare l’andamento dei gusti contemporanei. Quando nel 2009 iniziò a studiare il porno online, Ogas rimase sconvolto dalla quantità e dalla varietà delle ricerche degli utenti: «Nessuno era mai arrivato neanche vicino a predire quanti gusti e interessi sessuali diversi sarebbero esistiti», ha raccontato Ogas. Nonostante la grande varietà a disposizione, però, Ogas ha notato come la maggior parte dei contenuti fosse tutto sommato tradizionale: eterosessuali impegnati in rapporti sessuali eterosessuali vagamente avventurosi. In altre parole, nonostante si potrebbe pensare che Internet abbia liberato un’ondata di interessi sessuali inespressi, la maggior parte delle persone che hanno contribuito a confermare la validità della Regola 34 in realtà stava solo giocando, nella maggior parte dei casi.
«Se cercate su Google cose come “scheletri porno” o “funerali porno” troverete dei risultati», ha scritto Ogas nel libro A Billion Wicked Thoughts (“un miliardo di cattivi pensieri”), uscito nel 2011 e tratto dal suo studio: «la maggior parte di noi però non spreca il suo tempo a cercare cose del genere». Lo conferma suo malgrado anche Leonard Delaney, il creatore del famoso tetris porno. Delaney ha scritto e auto-pubblicato più di dieci racconti brevi, con titoli come Conquered by Clippy (un racconto porno il cui protagonista è Clippy, l’assistente virtuale a forma di graffetta delle vecchie versioni di Microsoft Word). Alcuni dei suoi libri sono diventati virali, ma la loro vendita frutta in media a Delaney solo 100 dollari al mese.
Delaney non è sicuro che la Regola 34 sia morta: inizialmente ha raccontato al Washington Post di essere “matematicamente certo” che la regola col tempo fosse diventata ancora più vera, dal momento che le persone producono costantemente nuovi contenuti pornografici e storie erotiche. Dopo una riflessione più attenta, però, Delaney ha ammesso che il nuovo materiale potrebbe in realtà riproporre temi già usati. Delaney si è detto però determinato a mantenere la regola in vita: il suo ultimo libro parla di Tay, l’account automatico di Microsoft che rispondeva agli utenti di Twitter chiuso di recente dopo diverse polemiche. La sua ossessione però resta la Regola 34: Delaney è convinto che nessuno ne abbia mai creato una versione porno. Fino ad allora, sottolinea giustamente, il dibattito rimarrà puramente accademico.
© 2016 – The Washington Post