Le FARC hanno paura della pace
Le renderebbe vulnerabili alle ritorsioni dei gruppi di narcotrafficanti, e non si fidano delle promesse di protezione del governo
di Nick Miroff − Washington Post
Nonostante le trattative per raggiungere un accordo di pace tra il governo colombiano e il gruppo di ribelli di sinistra delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) vadano avanti da più di tre anni, il processo sembra essersi arenato in un punto critico: quello in cui le parti dovrebbero smettere di parlare e mettere in pratica la pace per davvero. La scadenza del 23 marzo concordata lo scorso settembre è stata raggiunta e superata, ma i leader delle FARC continuano a opporsi ai tentativi del presidente colombiano Juan Manuel Santos di fissare una data esatta in cui i guerriglieri dovranno deporre le armi.
I ribelli hanno le loro buone ragioni per agire con cautela. Una volta che saranno diventati dei civili disarmati, i membri delle FARC dovranno affidare la propria incolumità alle forze di sicurezza colombiane − di cui sono stati acerrimi nemici negli ultimi cinquant’anni − per ottenere protezione dai gruppi di narcotrafficanti, dai mercenari e da una miriade di altri nemici che cercheranno di ucciderli. In questo senso, il governo colombiano di recente non ha fatto molto per meritarsi la loro fiducia. L’anno scorso in Colombia gli omicidi politici sono aumentati del 35 per cento e sono state uccise 105 persone tra leader di sinistra, attivisti e sindacalisti, secondo un nuovo rapporto del Conflict Analysis Resource Center, una società di ricerca specializzata nello studio dei conflitti armati con sede a Bogotà.
Questi omicidi sono considerati dannosi per il processo di pace, in quanto gran parte dell’esistenza delle FARC come gruppo di ribelli armati si basa sulla concezione secondo cui l’unico modo sicuro di professare il marxismo in Colombia sia con un fucile AK-47 in mano. Quando negli anni Ottanta le FARC fondarono un partito politico, Unión Patriótica, i suoi leader furono uccisi sistematicamente da gruppi paramilitari. Diverse migliaia dei suoi membri furono uccisi o dovettero fuggire sulle montagne, e imbracciare le armi. L’incapacità del governo di proteggere le FARC è vista da molti come un grande passo falso per la democrazia colombiana, e i leader delle FARC impegnati nelle trattative per il disarmo e un possibile ritorno in politica hanno ben presente il rischio di un’altra campagna di sterminio. Le autorità e l’esercito colombiani sottolineano che faranno il proprio dovere e proteggeranno i guerriglieri quando deporranno le armi e torneranno a essere dei civili. «Non permetteremo che ci sia un altro sterminio politico», ha detto sabato ai giornalisti Guillermo Rivera, il più importante attivista colombiano per i diritti umani.
Ma al tavolo delle trattative all’Avana, a Cuba, i comandanti delle FARC e i negoziatori del governo colombiano faticano a trovare un accordo sui punti fondamentali per ottenere quella che definiscono la “fine del conflitto”: ovvero le condizioni alle quali i circa 7.000 guerriglieri delle FARC dovranno scendere dalla montagne e riunirsi in “aree sicure” protette, deponendo le armi. Le FARC e il governo di Santos hanno già concordato che le armi dovrebbero essere consegnate a una parte terza invece che all’esercito colombiano, molto probabilmente sotto l’egida dell’ONU. Le due parti avevano anche stabilito di fissare una scadenza di 60 giorni per completare il disarmo della FARC una volta raggiunto un accordo di pace, ma anche questo aspetto sembra essere oggetto di rinegoziazione. In un’intervista alla rivista colombiana Semana uno dei comandanti delle FARC, Carlos Antonio Lozada, ha detto che il gruppo vuole adottare un approccio graduale al disarmo, consegnando inizialmente gli esplosivi e la armi pesanti ma permettendo ai ribelli di tenere le armi personali per l’autodifesa anche all’interno delle aree sicure protette dall’esercito colombiano. «Consegneremo le armi in modo graduale, a gruppi, in modo che si possano fare passi avanti su una serie di questioni irrisolte prima di consegnare l’ultimo fucile», ha detto Lozada.
Ma un accampamento di truppe armate delle FARC che trasmettono discorsi su internet e pubblicano dichiarazioni politiche non è esattamente quello che aveva in mente il governo colombiano. Le due parti sono ancora distanti anche sul numero delle aree sicure, chiamate anche “zone di concentramento”, dove le truppe delle FARC dovrebbero accamparsi in attesa che i cittadini colombiani approvino o rifiutino l’accordo di pace con un referendum che non è stato ancora definito e la cui forma precisa è un altro motivo di disaccordo. Durante questo periodo le FARC vorrebbero condurre attività politiche e avere un canale d’accesso con la popolazione civile colombiana. Il governo però è fermamente contrario, nel timore che si possano verificare nuovamente episodi di “proselitismo armato” come quello che ha scatenato molte polemiche il mese scorso nella città di El Conejo e ha indebolito le trattative di pace.
Lunedì 28 marzo il presidente colombiano Santos, affiancato dai suoi principali negoziatori, ha ripetuto che non ha intenzione di chiudere frettolosamente un accordo che non sia «positivo per il popolo colombiano». Santos ha detto che i suoi collaboratori non permetteranno che le FARC conducano attività politiche prima di aver deposto le armi, e che il governo insiste per stabilire una data «fissa, precisa e chiara» per il disarmo, in contrapposizione al processo più fluido e aperto che preferirebbero i ribelli. Le violenze in Colombia hanno raggiunto il livello più basso da decenni grazie alla tregua informale tra i guerriglieri e il governo. Ma con la produzione di cocaina di nuovo in aumento le autorità colombiane faticano a contenere l’ascesa di potenti gruppi di narcotrafficanti, che sono considerati la principale minaccia alla sicurezza colombiana nel caso in cui fosse raggiunto un accordo di pace con le FARC, il più grande gruppo di ribelli del paese.
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