Quanta benzina ha ancora Uber?
Sta avendo ancora grande successo, ma le cose potrebbero cambiare quando gli autisti inizieranno a tener conto dei "costi nascosti"
di Megan McArdle - Bloomberg
In pochissimo tempo i tentativi di replicare il modello di business di Uber sono passati da una fase di grande popolarità per molti aspiranti fondatori di start up innovative e redditizie all’essere una barzelletta trita e ritrita. Tutti vogliono sviluppare un’app che rivoluzioni un settore importante: ma quante persone ci stanno riuscendo davvero? Non molti, secondo Fahrad Manjoo, un rispettato giornalista che scrive di tecnologia per il New York Times.
I parcheggi, la spesa e i prodotti da asporto sono solo alcuni dei molti settori che sono stati definiti “pronti per essere rivoluzionati”, in modo da poter offrire ai clienti servizi migliori a prezzi più bassi. Il discorso poteva anche avere senso quando le varie start up di questi settori erano ancora nella fase iniziale, quella in cui investivano il loro capitale di rischio vendendo i loro prodotti sottoprezzo per assicurarsi una forza lavoro e una base di clienti. Oggi però assomigliano più a servizi di lusso rivolti a clienti benestanti disposti a pagare un sovrapprezzo per la comodità. Non che ci sia qualcosa di sbagliato, ovviamente: se i clienti più ricchi sono disposti a pagare qualcuno per farsi portare a casa i loro prodotti e quel qualcuno è contento di guadagnare dei soldi, per l’economia è un’ottima notizia. Dall’altro lato, però, far sì che i clienti con maggior disponibilità paghino qualcuno perché faccia la spesa al loro posto non si può definire come una vera rivoluzione per quel settore: è un servizio comodo fornito dietro al pagamento di un sovrapprezzo.
Perché le società che forniscono servizi come questi non assomigliano di più a Uber, che è riuscita – fuori dall’Italia, perlomeno – ad aumentare la disponibilità e la comodità dei servizi di taxi abbassandone allo stesso tempo il costo? Secondo Manjoo il motivo è che Uber è riuscita a rivoluzionare un settore chiuso come quello dei taxi, che grazie alla forte protezione da parte degli enti regolatori nei vari paesi riusciva a ottenere guadagni significativi dai propri clienti. Settori come quello della spesa alimentare, dei parcheggi e dei prodotti d’asporto, tuttavia, sono più tradizionali e concorrenziali. Di sicuro un’app sarebbe in grado di rendere le cose un po’ più semplici ed efficienti, introducendo miglioramenti sufficienti da spingere le aziende ad ampliare il loro raggio d’azione e abbassare un po’ i prezzi. Ma dal momento che l’app stessa dovrebbe prendersi parte dei guadagni per ripagare gli investitori, il margine per garantire grandi ricavi è in realtà limitato.
Il ragionamento fila. Ma c’è un dubbio che continua ad assillarmi: almeno Uber riesce ad essere all’altezza delle grandi aspettative che ha generato? Ho iniziato a scrivere di Uber poco dopo la sua fondazione, e il servizio mi piace molto. Negli Stati Uniti la sua versione originale – che permetteva di contattare solo berline con un autista privato – fu una rivoluzione per le persone che per esempio vivevano in quartieri senza un servizio di taxi affidabile, o che dovevano fare una strada poco sicura e mal illuminata per tornare a casa la sera dalla stazione della metropolitana. Negli anni successivi alla sua fondazione, però, Uber ha lavorato per rendere il servizio di taxi non solo più disponibile ma anche più economico.
In tutte le città in cui è presente, con la sola eccezione di Londra, le tariffe di UberX o UberPOP (l’opzione low-cost del servizio, in cui le corse sono effettuate su un’utilitaria) sono sempre più economiche di quelle dei taxi. Parte del successo di Uber è dovuto senza dubbio alle molte inefficienze nel settore dei taxi nelle varie città del mondo. A New York il valore delle licenze dei taxi è sceso moltissimo dalla comparsa di Uber: sono rendite che venivano corrisposte da tassisti e clienti ai proprietari della licenza. Dal momento che queste licenze in passato venivano vendute a partire da un milione di dollari, Uber ha un margine di mercato per accaparrarsi parte di queste rendite continuando a offrire ad autisti e passeggeri tariffe migliori.
Parlando con gli autisti di Uber, tuttavia, mi chiedo sempre di più se non ci troviamo ancora nella “luna di miele” di Uber, quella fase in cui ci sono ancora molti investimenti che ne finanziano le attività e gli autisti non hanno ancora capito che l’usura delle loro auto rappresenta in realtà un enorme costo nascosto, da prendere in considerazione quando calcolano i loro guadagni orari. Ho sentito diversi autisti raccontare di come persone che conoscono hanno abbandonato il servizio per colpa dei danni alle loro auto dovuti all’usura, un fatto di cui non sentivo parlare un paio d’anni fa. Se ne parla anche in siti come Glassdoor.com, dove dipendenti ed ex dipendenti valutano la società per cui lavorano o lavoravano. Sembra che stiano aumentando le lamentele relative all’usura delle auto, spesso accompagnate da quelle sui tagli ai rimborsi e le tariffe che Uber ha dovuto introdurre per far quadrare i conti.
Chiaramente non sono dati scientifici, ma sembrano comunque filare. La maggior parte degli autisti di Uber non sono contabili o piccoli imprenditori, e non pensano necessariamente al fatto che i guadagni orari ottenuti con Uber vadano calcolati al netto del consumo dei pneumatici, dei cambi d’olio e della svalutazione della loro auto, a cui vanno aggiunti il carburante e gli eventuali costi per la pulizia, nel caso in cui si caricasse qualcuno che dovesse poi vomitare nell’auto dopo aver fatto il giro dei locali del centro. Questo potrebbe aver fatto sì che si iscrivessero a Uber persone che di fatto guidano per un prezzo più basso di quanto sarebbero disposte a fare, una volta tenuto conto di tutti i costi. Ma è una strategia che non può durare. I tassisti professionisti, che fanno questo mestiere da molti anni, sono ben consapevoli dei costi per la sostituzione di gomme, olio e dell’auto, che devono fare molto più spesso degli altri guidatori.
Non sto accusando Uber di essere in cattiva fede: dico solo che negli ultimi anni potrebbe aver beneficiato di un’anomalia nelle tariffe nel mercato degli autisti (per non parlare della recessione, che ha fatto sì che molti di loro fossero disoccupati o lavorassero poco). Con la diffusione delle informazioni sui costi della manutenzione dei veicoli, quest’anomalia scomparirà. A quel punto, dal mio punto di vista, o il numero degli autisti si ridurrà, o le tariffe dovranno aumentare, avvicinandosi a quelle dei taxi. Ovviamente non sarà la fine di Uber, che forniva un servizio utile anche quando metteva a disposizione solo berline con un autista privato. UberX rappresenta un vero valore aggiunto sul mercato, anche se temo sia minore di quello attualmente percepito da passeggeri e autisti. La società ha continuato a innovare, lanciando servizi di condivisione delle corse e consegna a domicilio. Sarei molto sorpresa se tra dieci anni Uber non fosse ancora in piedi e piuttosto redditizia. Ma non sarei per niente sorpresa se io dovessi iniziare a usarlo meno perché i suoi prezzi sono aumentati per bilanciare la domanda dei passeggeri con l’offerta di autisti disponibili e informati. Il settore dei taxi rimarrà scombussolato, ma la trasformazione che ne seguirà potrebbe non essere esattamente una rivoluzione.
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