Cosa non ha funzionato negli attentati dell’11 settembre e in quelli di Bruxelles
Ci sono parecchie similitudini tra i due casi, scrive Bloomberg: per esempio la scarsa collaborazione tra le varie agenzie di sicurezza
di James G. Neuger - Bloomberg
Ci sono molte somiglianze tra quello che accadde negli Stati Uniti nei mesi precedenti l’11 settembre 2001 e quello che è accaduto in Belgio prima degli attacchi del 22 marzo: per esempio i terroristi che sono riusciti a oltrepassare i controlli di frontiera e la risposta delle autorità di fronte all’emergenza: coraggiosa, ma fin troppo improvvisata. Quasi tutti gli errori commessi dalla sicurezza nazionale degli Stati Uniti prima degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono (la sede del dipartimento della Difesa americano) hanno un loro equivalente con quello che è successo in Belgio prima degli attacchi contro l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles.
Il parallelo più evidente tra i due attacchi riguarda le divisioni tra le agenzie di intelligence. «La condivisione delle informazioni in Europa oggi non è molto diversa da quella che sperimentammo negli Stati Uniti prima dell’11 settembre», ha spiegato il senatore americano Angus King, che durante gli attacchi di Bruxelles si trovava in missione a Parigi. King si riferisce agli scontri tra la CIA (una delle agenzie di intelligence americana) e l’FBI (la polizia federale americana) nei mesi precedenti all’attacco del 2001: «Le rivalità e altre storie complicate sono una barriera che impedisce alle varie agenzie di lavorare insieme». I 28 paesi membri dell’Unione Europea sono abili a fare la pace, non la guerra – così abili che nel 2012 vinsero il premio Nobel per la pace. Ma la difficoltà nel prevenire gli attacchi e nel catturare i responsabili dimostra anche la necessità di rinforzare l’apparato di sicurezza europeo.
Altri paralleli si ritrovano ripercorrendo la storia delle indagini che hanno preceduto gli attacchi e le ore immediatamente successive: quando gli storici del futuro giudicheranno gli attacchi di Bruxelles potranno usare le inchieste indipendenti sull’11 settembre, perché per molti aspetti cambiano soltanto i dettagli. I servizi segreti americani inseguirono e poi persero di vista due terroristi di al Qaida nel 2000. Belgio e Paesi Bassi arrivarono sulle tracce di uno degli attentatori suicidi di Bruxelles lo scorso luglio, ma poi lasciarono che la pista divenisse fredda e inutile. Gli Stati Uniti arrestarono nell’agosto del 2001 quello che sarebbe dovuto diventare il 20esimo dirottatore. I belgi catturarono Saleh Abdeslam, ricercato per gli attacchi di Parigi dello scorso novembre, quattro giorni prima degli attacchi di Bruxelles.
La catena di comando americana si inceppò quando un ordine dato in ritardo per abbattere gli aerei dirottati non riuscì a raggiungere i piloti dell’aviazione decollati per intercettarli. In Belgio l’ordine di evacuare la metropolitana è stato dato soltanto dopo 52 minuti dagli attacchi all’aeroporto, permettendo così all’altro attentatore del commando di attaccare la stazione di Maalbeek. Il sistema radio delle autorità di New York smise di funzionare quando le Torri Gemelle crollarono insieme alle loro antenne, mentre le reti telefoniche del Belgio si sono sovraccaricate durante gli attacchi, costringendo i soccorritori a usare sistemi di messaggistica come WhatsApp. Le conclusioni della commissione sull’11 settembre si applicano anche a Bruxelles e agli attacchi di Parigi del novembre 2015: «Sono stati uno shock, ma non avrebbero dovuto essere una sorpresa».
Nessuno si aspetta che i governi europei riescano a mobilitarsi velocemente come fecero gli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Oggi le agenzie di sicurezza europee sembrano ancora impegnate nella competizione che allora divise la CIA e l’FBI. Proprio il primo marzo, il belga Gilles de Kerchove – il coordinatore europeo anti-terrorismo, una carica creata nel 2007 – aveva chiesto una maggiore collaborazione nella “condivisione di informazioni e nella sorveglianza dei confini”.
Un dato che dimostra bene la situazione attuale è il numero di jihadisti partiti dall’Europa per andare a combattere in Siria. Le stime più diffuse parlano di circa 5mila persone, ma nei database europei si trovano numeri differenti e inferiori. Inoltre, il 90 per cento dei nomi aggiunti negli ultimi mesi proviene dalle attività di soltanto cinque dei 28 governi dell’Unione. Il senatore King dice che «nella discussione che ho avuto di recente con funzionari europei mi è sembrato di vedere una crescente consapevolezza della necessità di superare queste barriere. Spero solo che non ci voglia un altro attacco per cominciare a vedere dei risultati pratici».
©2016 Bloomberg