Chi capisce cosa succede in Spagna?
I negoziati tra i vari partiti per un nuovo governo sono sempre più complicati e presto si potrebbe tornare a votare
La situazione politica in Spagna è bloccata ormai da più di 100 giorni, da quando cioè le elezioni dello scorso 20 dicembre hanno portato alla formazione di un Parlamento molto frammentato e senza una maggioranza assoluta, e alla necessità di formare un governo di coalizione per la prima volta dal 1982. Gli unici due partiti che finora sono riusciti a trovare un accordo – il Partito Socialista di Pedro Sánchez che ha ricevuto l’incarico dal Re e quello centrista Ciudadanos di Albert Rivera – non hanno però i numeri sufficienti per ottenere la fiducia in Parlamento. Oggi inizieranno nuovi incontri, ma al momento non sembra che ci siano grossi progressi in vista e si parla già delle prossime elezioni
Come si è arrivati fino a qui
Alle elezioni del 20 dicembre il Partito Popolare (PP) del primo ministro uscente Mariano Rajoy aveva vinto, ottenendo 123 seggi (su 350); il Partito Socialista (PSOE) ne aveva ottenuti 90, Podemos con altri partiti alleati 69, Ciudadanos 40. Rajoy aveva provato a formare un governo cercando l’alleanza con i socialisti, senza però riuscirci. Poi il Re aveva incaricato Pedro Sánchez, il leader del PSOE, che aveva cominciato a negoziare sia con Podemos che con Ciudadanos, due partiti che sono profondamente divisi su molte questioni sociali e economiche e su quella molto sentita dell’indipendenza della Catalogna: favorevole Podemos, contrario Ciudadanos.
A fine febbraio Sanchez e Albert Rivera avevano annunciato di avere trovato un accordo chiamato “Acuerdo para un Gobierno reformista y de Progreso”. Poco dopo l’annuncio, Podemos aveva dichiarato che i negoziati con il PSOE erano finiti, criticando tra le altre cose il punto dell’accordo che escludeva un referendum sull’indipendenza della Catalogna. I primi voti di fiducia dello scorso 2 e 4 marzo al Congreso, la Camera bassa del Parlamento spagnolo, erano andati male e avevano fatto scattare un termine che prevedeva la formazione di un nuovo governo entro 60 giorni prima di nuove elezioni. Il termine scadrà il 2 maggio.
Le nuove trattative
Oggi, mercoledì 30 marzo, Pedro Sánchez incontrerà Pablo Iglesias, leader di Podemos, per cercare nuovamente di convincerlo a sostenere la sua candidatura a primo ministro. Iglesias non sembra però essersi spostato dalle posizioni delle ultime settimane: considera impossibile un’alleanza con Ciudadanos e continua a proporre una coalizione “alla valenciana”, che comprenda Podemos, PSOE e, ispirandosi alla coalizione della Comunità Valenciana che si è formata dopo le elezioni regionali dello scorso maggio, anche Sinistra Unita: questa formazione potrebbe contare su 161 voti, che non sarebbero comunque sufficienti ad avere la maggioranza al Congreso a meno che non si ottenga il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani o di Ciudadanos. I vari analisti pensano però che entrambe queste ultime due ipotesi siano impraticabili: baschi e catalani dovrebbero sostenere un governo che rifiuta l’idea di un referendum sull’autodeterminazione o Pedro Sánchez dovrebbe rompere il suo patto con Ciudadanos convincendo Alberto Rivera ad astenersi o a votare a favore di una coalizione che preveda la partecipazione di Podemos, partito responsabile della rottura stessa dell’accordo tra PSOE e Ciudadanos.
L’unica alternativa sembrerebbe essere quella riproposta ieri, martedì 29 marzo, in un’intervista telefonica da Mariano Rajoy: una grande coalizione che unisca il suo partito, il PP, i socialisti e Ciudadanos: «L’aritmetica è aritmetica. Il Partito Popolare non può formare un governo se non riesce a raggiungere un accordo con il Partito socialista», ha detto Rajoy. Per ora, però, né il PSOE né Ciudadanos sembrano disposti ad allearsi con un primo ministro uscente che per loro rappresenta il rifiuto di ogni cambiamento, l’austerità e la corruzione (nuovi scandali hanno recentemente coinvolto il PP di Valencia). In pratica, i negoziati in corso sembrano essere destinati al fallimento e l’ipotesi di nuove elezioni molto probabile.
E in caso di nuove elezioni?
Se si dovesse andare a nuove elezioni, gli equilibri interni dei vari partiti potrebbero cambiare. Mentre nel PP nessuno sembra fino ad ora aver messo in discussione il ruolo di leader di Rajoy, le cose nel PSOE sono più complicate. Il fallimento di Pedro Sánchez sta dando forza all’opposizione interna guidata dalla presidente dell’Andalusia Susana Díaz che si oppone a qualsiasi tipo di collaborazione con Podemos e a ogni tipo di compromesso con i nazionalisti. Le primarie per la scelta di un nuovo segretario socialista sono state fissate per il prossimo 8 maggio e Susana Díaz potrebbe decidere di candidarsi.
Anche all’interno di Podemos ci sono delle divisioni, tra i cosiddetti “Errejonistas” (chi cioè appoggia Íñigo Errejón, numero due di Podemos) e “Pablistas” (chi sostiene invece Pablo Iglesias). Le due correnti sono divise su vari punti, ideologici e organizzativi, ma soprattutto sull’atteggiamento nei confronti del PSOE. Pablo Iglesias, continuando a dire di voler trovare un compromesso con Pedro Sánchez, non ha mai smesso di attaccare Felipe González, ex primo ministro ed ex segretario socialista che ha ancora un ruolo molto importante all’interno del PSOE. «Questi non sono modi adeguati per dei negoziati», hanno detto alcuni “Errejonistas” al quotidiano El País. Il problema, per Errejón, è che Podemos potrebbe essere visto dai suoi stessi elettori come il responsabile del fallimento di un governo del cambiamento.
Lo scorso 26 marzo il quotidiano La Razón ha pubblicato un sondaggio che mostrerebbe un leggero spostamento delle preferenze degli elettori verso destra. Secondo i dati, Ciudadanos e PP guadagnerebbero qualche punto dall’astensione: il partito di Albert Rivera, rispetto allo scorso 20 dicembre, otterrebbe da 3 a 8 deputati in più e il PP ne guadagnerebbe da 3 a 5. Podemos e suoi alleati perderebbero invece tra i 4 e i 6 seggi. Questa perdita non andrebbe a vantaggio del PSOE che resterebbe stabile ma di Sinistra Unita. Il sondaggio mostra per ora oscillazioni minime che, in caso di nuove elezioni, non sbloccherebbero la situazione dello scorso dicembre e rischierebbero di replicarne le dinamiche.