A Vancouver c’è un centro per i tossicodipendenti diverso dagli altri
Permette di assumere droghe, fornisce materiale sterilizzato e non incoraggia a smettere: è molto criticato ma i dati dicono che funziona
A Vancouver, in Canada, esiste da anni un centro pubblico per tossicodipendenti molto particolare: si chiama “Insite” e non incoraggia nessun tossicodipendente ad iniziare un percorso di riabilitazione, ma si assicura solamente che ogni persona consumi le proprie sostanze nella massima sicurezza, assistita da un infermiere e in una stanza sterilizzata e senza oggetti pericolosi. “Insite” esiste dal 2003 ed è stato il primo centro di questo tipo in Nord America: oggi assiste dalle 600 alle 900 persone al giorno. A distanza di 13 anni le autorità canadesi lo considerano un successo, citando la riduzione delle morti per overdose e dei costi per le cure del virus HIV.
Due giorni fa, la vicepresidente di un’autorità sanitaria canadese che gestisce “Insite” ha scritto un articolo sul New York Times dal titolo: «Gli Stati Uniti dovrebbero seguire l’esempio del Canada nella cura degli eroinomani». L’agenzia governativa per la sanità ha detto di stare valutando la possibilità di aprire centri simili. Questa settimana il quotidiano canadese National Post ha pubblicato una specie di bilancio dell’esperienza di “Insite” a 13 anni dalla fondazione, elencando successi e scetticismi.
Una foto degli interni di Insite del 2011 (Laurent Vu The/AFP/Getty Images)
La struttura principale di “Insite” consiste in uno stanzone diviso in postazioni numerate, ciascuna con una scrivania, una sedia e uno specchio. Ciascun paziente del centro può usare una postazione per assumere sostanze che si è procurato da solo, utilizzando l’attrezzatura pulita e sterilizzata messa a disposizione dal centro. Prima di lasciare il centro, i pazienti possono prendersi qualcosa da bere in un'”area relax” separata. Il personale di “Insite” non può praticare le iniezioni, ma è tenuto ad aiutare i pazienti che hanno difficoltà a farsele da soli. I pazienti non vengono forzati ad entrare in programmi di disintossicazione, sebbene esista un centro del genere proprio sopra “Insite” (più o meno l’equivalente dei centri italiani di Servizi per le Tossicodipendenze, i cosiddetti SerT). Andrew Day, direttore dell’autorità sanitaria di Vancouver, ha spiegato che la maggior parte dei pazienti ha alle spalle brutte storie di abusi e violenze – “Insite” si trova nel quartiere di Downtown Eastside, uno dei più problematici della città – e che per questo ci vuole del tempo prima che si instauri una relazione di fiducia col personale.
(AP Photo/The Canadian Press, Darryl Dyck)
“Insite” non ha sempre avuto la vita facile: per anni ha litigato col governo conservatore che nel 2008 lo ha persino citato in giudizio davanti alla Corte Suprema. Le cose sono cambiate quando nell’ottobre del 2015 le elezioni politiche sono state vinte dai Liberali di Justin Trudeau: la settimana scorsa “Insite” ha ottenuto dal nuovo governo un’esenzione di quattro anni dalle leggi sul possesso e uso di droghe, necessaria per far sì che infermieri e dipendenti del centro non possano essere denunciati. Due mesi fa il governo ha inoltre approvato la costruzione di un nuovo centro di “Insite” a Vancouver.
L’argomento dei conservatori è che “Insite” incoraggia di fatto i tossicodipendenti a mantenere le proprie abitudini, senza invitarli a disintossicarsi, e che nello specifico la presenza della clinica necessita di un notevole dispiegamento di polizia per assicurare la sicurezza del quartiere. Inoltre, dal lato umano lavorare in un posto del genere dev’essere piuttosto faticoso: le infermiere di “Insite” hanno raccontato al National Post di sentirsi scoraggiate quando i loro pazienti si presentano in condizioni sempre peggiori, nel corso del periodo in cui frequentano il centro. Poi c’è il problema di cosa fare con i consumatori occasionali non tossicodipendenti: un infermiere ha raccontato di essersi sentito a disagio quando ha fatto entrare dei ragazzi ubriachi che avevano partecipato a una festa e che non avevano mai frequentato “Insite” in precedenza. L’infermiera ha raccontato: «Mi sono sentita a disagio perché davvero non erano dei tossicodipendenti. Però allo stesso tempo erano sovraeccitati e fuori di sé, cosa che aumenta il rischio di overdose. Ho deciso di ammetterli al centro, ma non tutti i membri dello staff erano d’accordo». Un’altra infermiera ha raccontato al National Post di come a volte abbia resistito alla tentazione di urlare a delle giovani ragazze di “scappare via da qui”.
Un ragazzo fotografato dentro Insite poco dopo essersi iniettato una dose di morfina, 12 febbraio 2010 (AP Photo/Jae C. Hong)
“Insite” è nato dopo che nel 1997 a Vancouver era stata dichiarata un’emergenza sanitaria in seguito al numero altissimo di morti per overdose – circa un migliaio negli anni precedenti – e a un aumento di pazienti affetti da HIV ed epatite C per via di iniezioni avvenute con aghi già usati da altri. Thomas Kerr, che lavora in un centro locale di prevenzione dell’AIDS e ha co-pubblicato uno studio molto positivo su “Insite”, ha spiegato che all’epoca a Vancouver si era registrata «l’epidemia più esplosiva di HIV mai avvenuta al di fuori dell’Africa sub-sahariana».
Da allora le cose sono molto migliorate, secondo i dati, e solamente dal 2004 al 2009 l’esperienza di “Insite” è stata descritta positivamente da una trentina di studi scientifici. Kerr sostiene che nei 40 distretti attorno a “Insite” le morti per overdose siano diminuite del 35 per cento, e che «le persone che frequentano regolarmente “Insite” hanno il 30 per cento in più di probabilità di entrare in percorsi di riabilitazione». I criminologi della Simon Fraser University di Burnaby, una città in periferia di Vancouver, nel 2010 hanno mostrato che “Insite” in media previene 35 casi di HIV e quasi tre morti all’anno, cosa che fa risparmiare 6 milioni di fondi pubblici annuali. L’aumento del disagio del quartiere non è dimostrabile: un portavoce della polizia di Vancouver ha detto che l’apertura di “Insite” non ha causato un aumento delle forze di polizia in zona.
La stessa infermiera che ha detto al National Post che a volte vorrebbe suggerire alle ragazze del centro di “scappare via”, ha poi ammesso che «in realtà, devo sforzarmi di ricordare che è più sicuro per le ragazze che sappiano come farsi un’iniezione da sole, piuttosto che farsele fare dai loro ragazzi o dai protettori». Cody Zutz, un frequentatore 32enne di “Insite”, ha spiegato che dentro al centro «non rischi di morire. È molto più sicuro. Nella tua mente, sai che se mai andrai in overdose, queste persone saranno lì per salvarti la vita». Zutz, però, ammette che esistono ancora persone che si “fanno” per strada: «Se tu fossi stato qui 20 minuti fa», ha detto a un giornalista del National Post, «mi avresti visto farmi una dose qui fuori perché non ho avuto la pazienza di aspettare».