Il film del governo australiano per scoraggiare i migranti
Racconta la storia di un gruppo di afghani che prova senza successo ad arrivare in Australia con un barcone ed è stato trasmesso per la prima volta in Afghanistan
Venerdì 25 marzo è andato in onda su due canali televisivi afghani un film finanziato dal governo australiano il cui scopo è scoraggiare l’arrivo via mare di nuovi migranti in Australia. Il film si chiama The Journey (“il viaggio”, in inglese), e racconta la storia di un gruppo di afghani che parte per mare per l’Australia con una nave in cattive condizioni, per poi finire in una prigione indonesiana. Il film è già stato trasmesso in Iraq e in Pakistan – e infatti sul suo canale YouTube ufficiale il film è disponibile in forma integrale in lingua Farsi e Urdu – ma in Afghanistan è andato in onda per la prima volta venerdì scorso su alcuni canali locali.
Secondo i dati del governo australiano, la maggior parte dei richiedenti asilo che negli ultimi anni sono arrivati via mare era afghana e le loro richieste avevano un grado di accettazione superiore al 96 per cento. Ora le cose sono un po’ cambiate, e la linea del governo è diventata più dura.The Journey è solo l’ultima delle numerose misure del governo australiano per contrastare l’immigrazione clandestina: negli ultimi anni l’Australia viene spesso citata come un modello da parte di chi propone misure più severe sull’immigrazione.
Il film è stato finanziato dal Dipartimento dell’Immigrazione australiana con circa 6 milioni di dollari australiani (circa 4 milioni di euro): 4,34 per la casa cinematografica di Sydney Put It Out There per produrre il film, e 1,63 milioni di dollari per la Lapsis Communication per promuoverlo (il film ha pagine Facebook molto attive e in diverse lingue parlate nel Medio Oriente). Sul suo sito, Put It Out There ha scritto che «il film ha come obbiettivo quello di informare gli spettatori riguardo l’inutilità di dare soldi ai trafficanti, i pericoli del viaggio e le misure severe che li attendono se riescono a raggiungere le acque australiane».
Un portavoce del Dipartimento dell’Immigrazione australiana ha spiegato che il film ricopre una “parte fondamentale” nella loro strategia contro il traffico di clandestini, anche se un dirigente di Lapis ha specificato che The Journey non può essere considerato un film di propaganda: «i finanziatori sono specificati, non c’è nulla di nascosto o segreto. La cosa più importante è che le idee e i valori attorno il film riguardano un problema molto serio e tragico, con l’obbiettivo ultimo di salvare delle vite».
Il Guardian ha intervistato alcuni ragazzi afghani che venerdì hanno visto il film in tv. Ali Reza, un 18enne che lavora come sarto, ha spiegato che The Journey «è stato molto duro. Mi ha sconvolto. So che quelli nel film erano degli attori, ma cose del genere accadono davvero agli afghani». Yama Taheri, un ragazzo intervistato mentre stava giocando a calcio in un parco di Kabul, ha raccontato che secondo lui la scena più inquietante è stata quella in cui tre fratelli muoiono annegati: «mi ha fatto pensare che se proverò a farlo coi miei amici, succederà anche a me».
Da più di un anno l’Australia ha introdotto politiche particolarmente severe nei confronti dell’immigrazione, di cui si è discusso in tutto il mondo. Formalmente il governo australiano sostiene di dare la possibilità ai migranti che arrivano via mare di fare richiesta da asilo, ma il problema è che la maggior parte non ci arriva nemmeno: da tre anni il governo australiano applica una durissima politica di respingimenti di barconi oppure di deportazione forzata dopo alcuni giorni passati in centri di detenzione temporanea. Il governo sostiene che nel corso del 2014 una sola imbarcazione è riuscita a raggiungere le coste australiane. Negli ultimi anni il flusso di afghani verso l’Australia si è comunque ridotto, secondo il Guardian anche grazie all’inasprimento delle misure sull’immigrazione e a campagne per scoraggiare nuovi richiedenti asilo. Nel 2015 i cittadini afghani arrivati in Europa sono stati secondi solo a quelli siriani, per numero: più di 150mila di loro, fra l’altro, sono finiti nella sola Germania.