I titoli delle canzoni stanno diventando sempre più brevi
Almeno quelli del pop inglese e americano: c'entrano due grossi cambiamenti del business della musica contemporanea
Il magazine online Priceonomics, che si occupa prevalentemente di analisi di dati, ha pubblicato un articolo per verificare se davvero i titoli delle canzoni pop di questi anni siano più brevi rispetto a quelli del passato, come già ipotizzato da alcuni osservatori. La risposta è sì, in breve, almeno per quanto riguarda le canzoni pop di maggior successo negli Stati Uniti, che dal 1958 vengono elencate dalla classifica Billboard Hot 100 (i grafici presenti nell’articolo sono tutti tratti da Priceonomics).
Da quando è nata la classifica Billboard Hot 100, le canzoni che ci sono finite dentro il cui titolo è composto da una sola parola sono diventate sempre di più: negli anni Sessanta erano complessivamente l’8,3 per cento, mentre oggi sono circa un quarto del totale. Fra gli esempi più recenti di successo, ci sono “Happy” di Pharrell Williams, “Sorry” di Justin Bieber e “Hello” di Adele, ma potremmo andare avanti ancora a lungo. Tutte e tre le canzoni in questione sono arrivate al primo posto della Hot 100. E in effetti sembra ci sia una correlazione fra il titolo di una sola parola e il raggiungimento delle prime 20 posizioni: oggi, secondo Priceonomics, una canzone fra le prime 20 posizioni ha il 30 per cento di probabilità in più di avere una sola parola come titolo rispetto alle canzoni fra il 21esimo e il 100esimo posto.
Escludendo gli estremi, cioè le canzoni con un titolo composto da un’unica parola, anche i titoli in generale si sono ristretti, soprattutto nell’ultimo periodo: secondo una statistica messa insieme da Priceonomics, dagli anni Sessanta fino alla fine degli anni Novanta la media di parole contenuta nei titoli delle canzoni della Hot 100 è scesa di pochissimo, passano da 3,76 a 3,64 parole. Dal 2010 in avanti invece la media è di 2,72 parole. Cos’è cambiato?
La spiegazione più intuitiva ha a che fare con due grossi cambiamenti del business della musica contemporanea: il declino della vendita dei dischi fisici rispetto a quelli digitali e più in generale del disco rispetto alla canzone singola. Oggi sempre meno persone comprano dischi interi, sia fisici sia digitali: preferiscono scaricare la singola canzone che si ascolta per radio o in giro, cosa che chiunque abbia un minimo di competenze digitali può fare comodamente in pochi secondi. Gli artisti pop cercano sempre più spesso di far rimanere impressa la propria canzone ripetendo più volte una singola parola, usandola sia nel titolo che nel ritornello. Un esempio: nella sua canzone “Work”, uscita nel gennaio del 2016, Rihanna ripete per 79 volte la parola Work, 18 volte per ritornello. Il critico musicale Chris Molanphy ha spiegato a Priceonomics: «l’importanza del “brand” si è rafforzata molto: ci stiamo progressivamente allontanando dai giorni in cui un titolo bizzarro non aveva niente a che fare col testo della canzone».
Per una dimostrazione pratica del concetto, Priceonomics ha messo a confronto i titoli dell’ultimo disco di Justin Bieber, Purpose, con quelli del disco dei Beatles Meet the Beatles!, il secondo disco pubblicato dai Beatles negli Stati Uniti. Il primo ha 4 titoli su 13 composti da una sola parola e una media di 2,3 parole per titolo, il secondo non ha nessun titolo composto da una parola sola e una media di 3,75 parole per titolo. Priceonomics conclude che «forse, se i Beatles facessero canzoni ancora oggi, il loro produttore gli farebbe pressione per far sì che il ritornello di “I Want to Hold Your Hand” diventi “Hand Hand Hand Hand Hand Hand, I want to hold your hand” e la canzone possa chiamarsi “Hand”».