Perché le donne pagano più degli uomini per le stesse cose
Il prezzo di un capo può variare anche di mille euro: i capi femminili sono più ricercati, esistono in più varianti, e quelli importati negli Stati Uniti sono tassati di più
Negli ultimi mesi nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Francia si è parlato molto delle differenze di prezzi tra prodotti dello stesso tipo destinati alle donne e agli uomini. Per descrivere il fenomeno è stato anche il termine “pink tax“, cioè “tassa di genere” (letteralmente “tassa rosa”), dato che spesso i prodotti di questo colore, destinati quindi a donne e bambine, sono più costosi di quelli rivolti ai maschi. Per esempio, la catena di farmacie inglese Boots è stata criticata per vendere un pacchetto di 8 rasoi da donna a 2,29 sterline e uno di 10 rasoi da uomo a 1,49 sterline. Uno studio effettuato a dicembre dal Dipartimento che si occupa dei diritti dei consumatori di New York mostra che su circa 800 prodotti in vendita in città il costo medio è del 7 per cento più alto nella versione femminile.
La rivista online Business of Fashion ha analizzato i siti di e-commerce di sei diversi marchi di alta moda – Saint Laurent, Valentino, Gucci, Dolce & Gabbana, Balmain e Alexander Wang – e ha trovato 17 prodotti per cui la versione femminile ha un costo diverso da quella maschile, nonostante si tratti di capi analoghi senza grandi differenze: nella maggior parte dei casi gli oggetti destinati al pubblico femminile hanno un costo superiore, a volte anche più di 1.000 dollari (quasi 900 euro).
Business of Fashion fa l’esempio di una felpa di Valentino, praticamente identica nella versione da uomo e in quella da donna: il prezzo di quella maschile è 2.450 dollari (1.590 euro è il prezzo per l’Italia), mentre quella femminile costa 3.290 (1.980 euro in Italia). La differenza è di 840 dollari per il mercato americano, 390 euro per quello italiano: il prezzo è comunque più alto per le clienti donne, ma molto di più per quelle americane visto che 840 dollari corrispondono a circa 750 euro.
Tra gli esempi raccolti da Business of Fashion, Saint Laurent è l’azienda con più differenze di prezzo, in ben otto capi su 17. Tra questi ci sono una felpa a righe che costa 950 dollari per gli uomini e 1.190 per le donne, e una maglietta nera in jersey di seta che costa 490 dollari per gli uomini e 590 per le donne. Entrambi i prodotti hanno lo stesso stile, lo stesso colore e sono fatti dello stesso materiale nelle due versioni. Anche in questo caso i prezzi per il mercato italiano sono diversi, anche se i capi femminili risultano comunque più costosi: sia nel caso della felpa sia in quello della maglietta le donne pagano 40 euro in più, mentre sul sito per il mercato americano la differenza era di circa 200 euro per la felpa e circa 90 per la maglietta.
Per una maglietta di cotone di Dolce & Gabbana la differenza è di 10 euro per il mercato italiano, di 30 dollari (circa 26 euro) per quello americano. Per una canottiera di Balmain le donne pagano 45 euro in più in Italia, 70 dollari (quasi 63 euro) negli Stati Uniti.
Business of Fashion ha però notato che sia sull’e-commerce di Saint Laurent sia su quello di Gucci (che mostra una differenza di prezzo di 290 dollari, circa 260 euro, per una camicia che per l’Italia esiste solo nella versione femminile) su molti capi disponibili per i due sessi non ci sono differenze di prezzo, come capita per i trench di Burberry, per le felpe di JW Anderson e per le scarpe di Rick Owens. L’unico marchio che sembra far spendere di più gli uomini rispetto alle donne di quelli considerati da Business of Fashion è Alexander Wang, con differenze minime: l’azienda ha detto a Business of Fashion che per realizzare i capi maschili serve più tessuto, dato che le taglie sono più grandi, e questo spiega la differenza di prezzo.
Perché ci sono le differenze di prezzo nella moda per Business of Fashion
Valentino, Gucci e Balmain non hanno risposto alle domande di Business of Fashion sulle differenze di prezzo, mentre Saint Laurent le ha motivate dicendo che in genere i capi da donna richiedono un maggior lavoro fatto a mano. Business of Fashion ha cercato di spiegare bene l’origine del fenomeno che non è semplice come sembra.
In primo luogo, è effettivamente vero che i capi di alta moda disegnati per le donne sono spesso più raffinati e richiedono una cura maggiore nella fabbricazione. Il costo della manodopera per questi capi viene spesso ammortizzato sull’intera linea prodotta. Inoltre, le collezioni femminili hanno più modelli e colori per la maggiore richiesta da parte delle clienti donne e per questo i capi prodotti per le donne costituiscono un rischio maggiore per le aziende, rispetto a quelli da uomini. Infatti una maggiore varietà richiede serie di produzione più numerose, più piccole e meno economiche, e per mantenerla sono necessarie scorte di magazzino, che rappresentano un costo aggiuntivo.
Altre caratteristiche peculiari del mercato della moda contribuiscono al prezzo più alto delle versioni femminili di certi capi. Alcuni prodotti, ad esempio, sono talmente famosi da avere un valore aggiunto per la loro storia: è il caso ad esempio della giacca Le Smoking di Saint Laurent, disegnata nel 1966. Ne esiste anche una versione maschile, che però non ha la stessa importanza di quella femminile che è uno dei simboli della casa di moda: la differenza di prezzo tra i due prodotti è di 1.000 dollari (circa 900 euro) per il mercato americano, 500 euro per quello italiano.
Secondo alcuni il fatto che le donne diano più importanza alla moda e siano pronte a spendere di più di quanto facciano gli uomini – stando a Euromonitor il mercato mondiale della moda donna vale 572,2 miliardi di euro, quello della moda uomo 373,7 miliardi – è la causa principale della presunta “tassa di genere” che in realtà sarebbe solo un prezzo fissato dalla domanda.
Tuttavia negli Stati Uniti una vera e propria “tassa di genere” esiste: le tasse di importazione per i prodotti sono diverse a seconda che siano destinati agli uomini o alle donne; la differenza nelle percentuali risale all’Ottocento, e non i tutti i casi è a sfavore delle consumatrici. Uno studio del 2015 realizzato dall’Istituto Mosbacher della Bush School ha però mostrato che in media la tassazione sull’abbigliamento da donna importato è del 15,1 per cento, mentre quella per l’abbigliamento maschile è 11,9 per cento. A volte però le differenze di prezzo non dipendono dalle leggi dello stato: alcuni dei prodotti presi in considerazione dal dipartimento dei consumatori del comune di New York costavano di più nella versione femminile anche se le tasse di importazione in quel caso erano più basse rispetto a quelli dei prodotti maschili.