Perché uno scrittore non si firma
Se ne riparla dopo le voci sulla vera identità di Elena Ferrante: per ragioni di sicurezza, per fingersi un esordiente, o semplicemente per cambiare nome
Chiunque si nasconda dietro il nome Elena Ferrante ha pubblicato il suo primo libro, L’amore molesto, nel 1992: è dunque da 24 anni che il suo lavoro è noto al pubblico senza che nessuno conosca la sua identità, nonostante le numerose ipotesi che sono state fatte. Non è la prima volta che un autore o un’autrice cerca di nascondere il suo vero nome e ci riesce a lungo. Prima del Novecento per le donne che scrivevano era molto comune usare un nome diverso dal proprio, spesso maschile, ma anche più recentemente molti scrittori, anche uomini, hanno scelto di non rivelare la loro identità.
Secondo un articolo del Guardian, l’anonimato di Elena Ferrante potrebbe battere quello di Anne Cécile Desclos. Desclos (1907-1998), autrice, giornalista e traduttrice, usò per tutta la vita il nome Dominique Aury (che in francese potrebbe essere sia maschile che femminile), dopo averlo scelto negli anni Trenta; nel 1994 rivelò di essere anche Pauline Réage, l’autrice del romanzo erotico Histoire d’O, che per anni era stato attribuito ad autori uomini. Il suo anonimato come autrice di Histoire d’O durò 40 anni. Il Guardian cita anche il caso di A.M. Barnard un autore che negli anni Sessanta dell’Ottocento pubblicò quattro romanzi dell’orrore: solo negli anni Quaranta del Novecento gli studiosi che analizzarono le lettere di Barnard agli editori capirono che in realtà si trattava di Louisa May Alcott, l’autrice di Piccole donne. Il primato dell’anonimato più lungo è quindi suo.
Uno dei casi più famosi è quello di Romain Gary, che grazie al suo alter ego Émile Ajar è stato l’unico scrittore a ricevere per due volte il premio Goncourt, il più importante riconoscimento letterario francese che da regolamento non può essere assegnato più volte alla stessa persona. Infatti Gary vinse il Goncourt per Le radici del cielo nel 1956, e poi di nuovo nel 1975 per La vita davanti a sé, uscito col nome di Ajar. Solo dopo il suicidio di Gary, si seppe che lui e Ajar erano la stessa persona: per sei anni, dal 1974 al 1980, nessuno conobbe l’identità di Ajar nonostante si sospettasse che fosse quella di un altro scrittore famoso. Gary era di origine lituana, e il suo vero nome era in realtà Roman Kacew.
Le scrittrici che hanno usato un nome da uomo nell’Ottocento
I libri di Jane Austen – autrice, tra gli altri, di Orgoglio e pregiudizio ed Emma – furono pubblicati in forma anonima dal 1811 fino al 1817, l’anno in cui morì, ma si sapeva che era stata una donna a scriverli: nel primo dei suoi libri pubblicati, Ragione e sentimento, l’autore indicato era “A Lady”, cioè “una signora”, e in tutti i successivi c’era scritto qualcosa del tipo “dalla stessa autrice di Ragione e sentimento“. Usarono invece pseudonimi maschili le sorelle Brontë: Charlotte, Emily ed Anne pubblicarono i loro primi romanzi (Jane Eyre, Cime tempestose e Agnes Grey, rispettivamente) nel 1847 con i nomi Currer, Ellis e Acton Bell, che conservavano le iniziali dei loro veri nomi. La loro vera identità venne fuori presto: l’anno dopo Charlotte e Anne andarono a Londra di persona per convincere il loro editore che non erano un’unica persona.
Le altre due grandi autrici che nell’Ottocento che pubblicarono usando nomi da uomo sono Mary Ann Evans, come George Eliot (autrice di Middlemarch), e Amantine-Lucile-Aurore Dudevant, come George Sand (che esordì nel 1832 con Indiana).
Gli scrittori famosi che hanno pubblicato con nomi diversi
Alcuni scrittori famosi hanno pubblicato usando un altro nome per dimostrare di essere ancora bravi a scrivere e di meritare attenzione, a prescindere dal successo delle loro opere precedenti; oppure per capire quanto fosse difficile pubblicare per un esordiente. Il caso più recente è quello di J.K. Rowling, l’autrice della serie di libri per ragazzi di Harry Potter, che nel 2013 ha pubblicato il giallo Il richiamo del cuculo con lo pseudonimo Robert Galbraith: nonostante siano bastati pochi mesi per scoprire che dietro Galbraith ci fosse Rowling, il romanzo, così come il suo seguito, è stato pubblicato in Italia con lo pseudonimo.
Anche l’autore americano di bestseller Stephen King ha pubblicato romanzi sotto pseudonimo. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta scrisse sei romanzi che uscirono con il nome di Richard Bachman (il primo fu Ossessione, l’ultimo L’occhio del male): a scoprire che Bachman era in realtà King fu il commesso di una libreria di Washington DC.
Negli anni Ottanta la scrittrice e premio Nobel per la letteratura nel 2007 Doris Lessing pubblicò due romanzi con un altro nome: The Diary of a Good Neighbour e If the Old Could, ora disponibili in italiano come Il diario di Jane Somers e Se gioventù sapesse. Lessing usò uno pseudonimo per mostrare le difficoltà degli scrittori esordienti a pubblicare (entrambi i libri furono rifiutati dal suo editore inglese) e poco dopo l’uscita dei due romanzi, nel 1984, rivelò di esserne l’autrice.
Alcuni scrittori utilizzano uno pseudonimo quando scrivono un genere letterario diverso da quello abituale. Agatha Christie (che già usava un cognome diverso per firmare i suoi gialli) si firmò Mary Westmacott per i suoi sei romanzi rosa, l’ultimo dei quali si intitola Ti proteggerò. Negli anni Ottanta lo scrittore e filosofo inglese Julian Barnes scrisse quattro gialli come Dan Kavanagh (in italiano si trova Duffy, pubblicato nel 2015 da Einaudi), l’irlandese John Banville pubblicò sette gialli con il nome Benjamin Black, tra cui False piste. Per cinque anni, dal 2000 al 2005, Sophie Kinsella, autrice di romanzi del cosiddetto genere “chick-lit” (quello dei rosa con protagoniste donne single) non ha rivelato al pubblico di essere in realtà Madeleine Sophie Wickham: con il suo vero nome l’autrice di I love shopping aveva già pubblicato 7 romanzi rosa, ma è conosciuta soprattutto con il suo alter ego.
Scrittori che si sono nascosti per una ragione seria
Il vero nome di John Le Carré – autore inglese di bestseller sullo spionaggio – è David John Moore Cornwell: quando nel 1961 pubblicò il suo primo romanzo, Chiamata per il morto, lavorava per i servizi segreti britannici e non poteva usare il suo vero nome per ragioni di sicurezza. Lasciò il lavoro di agente segreto nel 1964, dopo che la sua copertura fu fatta saltare dall’agente Kim Philby, che faceva il doppiogioco e rivelò le identità di alcuni agenti inglesi al KGB.
Un altro famoso caso di scrittore nascosto dietro uno pseudonimo è quello di Christiane F., autrice di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, il libro pubblicato nel 1978 che raccoglie testimonianze sulla vita di adolescenti tossicodipendenti nella Berlino degli anni Settanta. Christiane, il cui nome completo è Christiane Vera Felscherinow, era minorenne all’epoca della pubblicazione del libro e del processo in cui lei e gli altri personaggi dell’opera erano imputati e testimoni: per questa ragione il suo nome non fu usato per intero.
Gli italiani a cui non piaceva il loro nome
La storia della letteratura italiana è piena di autori che usarono un nome o un cognome diverso da quello vero. Nella maggior parte dei casi non si trattava di letterati che volevano nascondere la loro identità: semplicemente non amavano firmarsi con il loro nome di battesimo. Tra questi ci sono Alberto Moravia, il cui vero cognome era Pincherle, Italo Svevo, che in realtà si chiamava Aron Hector Schmitz, e Umberto Saba a cui non piaceva il suo cognome Poli, dato che il padre aveva abbandonato la famiglia prima ancora della sua nascita. Il vero nome di Carlo Collodi era Carlo Lorenzini, quello di Curzio Malaparte era Kurt Erich Suckert, quello di Liala era Amalia Liana Negretti Odescalchi. Anche Sibilla Aleramo non era un nome vero: l’autrice di Una donna si chiamava in realtà Marta Felicina Faccio, detta Rina.
Una storia che forse pochi conoscono è quella di Silvio D’Arzo, l’autore di quello che Eugenio Montale definì il “racconto perfetto”, Casa d’altri, pubblicato postumo. Il suo vero nome era Ezio Comparoni: era un autore ossessionato dall’anonimato, che scrisse solo un romanzo (All’insegna del buon corsiero) perché morì molto giovane, a 32 anni, di leucemia.