Non sappiamo ancora quante persone sono morte nella guerra in Siria
I dati che circolano sono contraddittori, arrivano da fonti non indipendenti e sono impossibili da verificare: l'ONU invece ci ha rinunciato
di Adam Taylor - Washington Post
La settimana scorsa è caduto il quinto anniversario dall’inizio della guerra in Siria, un conflitto cominciato come una rivolta pacifica che è gradualmente deteriorato in un massacro terribile. Come per ogni anniversario, ci sono state le solite ricostruzioni che hanno tentato di fare luce su cosa sia davvero successo in mezzo decennio di conflitti e caos. Leggere queste ricostruzioni però può essere un’esperienza frustrante, dal momento che ci manca un dato fondamentale: a cinque anni dall’inizio della brutale guerra civile siriana non sappiamo ancora con esattezza quante persone siano morte. Tutto quello che abbiamo sono stime, nel migliore dei casi. Quella più citata è forse la stima delle Nazioni Unite, che la scorsa estate hanno detto che durante la guerra sono state uccise oltre 250mila persone.
Un intricato retroscena dietro questa stima però fa capire quanto sia difficile determinare il numero dei morti in Siria. Inizialmente l’ONU forniva regolarmente le sue stime sul numero dei morti in Siria; nel luglio del 2013, però, smise improvvisamente di farlo. All’inizio del 2014 Rupert Colville, un portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), l’agenzia che pubblicava i dati per conto dell’ONU, disse che il suo ufficio non era più in grado di fornire dati affidabili sul numero dei morti, e che a causa dei dubbi circa l’accuratezza delle loro informazioni l’ONU non avrebbe più diffuso nuove stime. L’ultimo dato è stato diffuso nell’agosto del 2013: una nuova stima diceva che in Siria erano morte 191.369 persone a causa della guerra. Colville precisò che il dato era solo «indicativo» e non andava preso come «oro colato».
L’UNHCR ha un accesso limitato in Siria. Per produrre le sue stime ha dovuto fare affidamento sul lavoro di terzi: gruppi siriani che calcolano indipendentemente il numero di morti nel paese. Il più citato di questi gruppi è probabilmente l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), un gruppo anti-Assad gestito dall’attivista siriano Rami Abdulrahman dalla sua casa di Coventry, in Inghilterra. Abdulrahman ha raccontato di appoggiarsi a una rete di centinaia di volontari che in Siria aiutano a raccogliere e validare i suoi dati. Verso la fine di febbraio l’Osservatorio ha aggiornato le sue stime, stando alle quali dall’inizio della guerra siriana sarebbero morte 271.138 persone, 122.997 dei quali civili. Complessivamente, il SOHR stima che durante il conflitto siano state uccise 370.000 persone. Il SOHR non è però l’unico gruppo che tenta di calcolare il numero dei morti in Siria. Un altro è il Violations Documentation Center (VDC) – anche questo vicino all’opposizione siriana – che ha registrato fin qui 131.919 morti, un cifra che gli stessi membri del centro riconoscono potrebbe essere bassa, ma che è dovuta all’impossibilità del centro di conteggiare i morti tra chi combatte per il regime di Assad. Secondo le stime diffuse a dicembre da un altro gruppo, il Syrian Center for Policy Research, circa 470.000 siriani sarebbero morti durante la guerra. Il gruppo si definisce indipendente.
Le discrepanze nei conteggi non sono certo un fenomeno legato soltanto alla Siria. Le stime dei morti della guerra iniziata nel 2003 in Iraq vanno dai 242.000 (secondo il progetto Iraq Body Count) ai 655.000 (stando a uno studio molto contestato della rivista scientifica medica Lancet). Andando ancora più indietro nel tempo si possono trovare molti conflitti storici il cui numero dei morti è stato approssimativo o contestato: le stime sul numero di tedeschi morti durante la Seconda guerra mondiale, per esempio, possono variare dai 4 ai 5,3 milioni. Tuttavia la guerra in Siria viene combattuta nell’era dei social media: questo aumenta la capacità dei vari gruppi di calcolare il numero dei morti ma anche le aspettative sull’accuratezza delle loro stime.
La diffusione di dati discordanti da parte di diversi gruppi ha dato credito all’idea che queste stime siano motivate politicamente. Questa convinzione è alimentata dalle difficoltà di questi gruppi a spiegare nel dettaglio il modo in cui hanno ottenuto le loro cifre (il SOHR, per esempio, non ha voluto rendere nota la sua metodologia). Per certi versi, quando si contano i morti i dettagli sono più importanti del quadro generale. Ma in questo caso, i dettagli sono ancora una volta controversi. Tanto per cominciare, non c’è chiarezza sul numero esatto dei morti che può essere attribuito alle forze del presidente siriano Bashar al-Assad o ai ribelli: secondo la maggior parte delle stime sono state le forze di Assad a causare il numero più alto di morti, ma pochi gruppi fedeli ad Assad pubblicano le loro stime, se non nessuno. «Non c’è nessuno che possa verificare questi dati: non possiamo darli per certi», ha detto di recente alla rivista americana Foreign Policy l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite Bashar al-Jaafari, che sostiene che se il numero dei morti in Siria dovesse essere molto alto il regime di Assad ne sarebbe più vittima che colpevole.
Per gli osservatori esterni queste difficoltà sono molto preoccupanti: molti sperano che a un certo punto in Siria – quando finalmente i combattimenti cesseranno – sarà possibile ottenere una parvenza di giustizia. Per far sì che questo accada è necessario poter capire a un livello perlomeno soddisfacente cosa davvero è successo durante la guerra. Ma le discusse stime sul numero dei morti pongono anche un problema molto più immediato e reale per i siriani: molte persone non sanno cosa sia stato dei loro cari. E molti non lo sapranno mai.
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