La primavera a Kessab
La città armena in Siria, distrutta e saccheggiata due anni fa da miliziani islamisti, sta provando con fatica a rimettersi in piedi
di Matteo Miele
Il 21 marzo è la festa dedicata alle madri in Medio Oriente. Per Kessab, centro storico armeno in Siria, nei pressi del confine con la Turchia, è anche il secondo anniversario della fuga: il 21 marzo 2014, la cittadina ed i dodici villaggi circostanti vennero attaccati da forze islamiche radicali ed i quasi tremila abitanti costretti a fuggire.
(Matteo Miele)
I cittadini rimasero lontani dalla loro terra per quasi cento giorni, chi a Laodicea, accolti dalle comunità armena e greco-ortodossa locali, chi in Libano, fino alla metà di giugno quando l’esercito siriano riconquistò l’area. I pochi anziani rimasti perché non in grado di fuggire erano stati derubati e poi costretti a partire per la Turchia. I terreni agricoli ed i villaggi incendiati dai missili, mentre il centro cittadino, i negozi, gli alberghi erano stati depredati e poi distrutti come nella peggiore tradizione dei saccheggi in tempo di guerra. I miliziani si erano accaniti in particolare sulle chiese di Kessab, sulla chiesa cattolica, quella apostolica e quella protestante, tutte della comunità armena. Le croci sui campanili sono state piegate o abbattute. Le campane della chiesa cattolica armena portate negli anni Venti dai Francescani sono state frantumate. Le tombe cristiane profanate. Tra queste anche la tomba di un sacerdote e monaco mechitarista del monastero di San Lazzaro degli Armeni di Venezia, Hamazasp Kelengian, morto in un incidente stradale nel 1983 poco dopo aver celebrato il funerale del padre a Kessab. La tomba è stata aperta, le ossa sparse per il terreno e all’interno è stata messa una mina.
(Matteo Miele)
Tutti i beni che gli abitanti avevano lasciato prima della fuga sono stati distrutti o rubati dai miliziani. Non ci sono più strumenti agricoli e molti terreni rimangono dunque incolti. Il consiglio comunitario si è riunito subito dopo il rientro e la prima cosa che ha voluto rimettere in funzione è stato il grande frigorifero comune (bruciato dai miliziani) in cui sistemare la frutta dei campi. Gli aiuti vengono principalmente dalle comunità della diaspora.
Gli abitanti si interrogano oggi sul futuro di Kessab. La cittadina in passato aveva fondato la propria economia sui bachi da seta, poi sul tabacco e più tardi sull’agricoltura. Negli ultimi decenni però, fino alla guerra, era diventata uno dei principali centri del turismo interno della Siria. Molti avevano venduto i terreni agricoli per costruire alberghi o avviare negozi per turisti. Ora che tutto ciò è stato distrutto molti imprenditori e commercianti si chiedono il senso di ricostruire qualcosa che potrebbe essere demolito di nuovo in poche ore. Molti abitanti, facilitati da una politica più morbida del governo canadese e sostenuti dalla rete comunitaria armena del Nord America stanno valutando la possibilità di lasciare definitivamente Kessab. Più di un quarto della popolazione ha deciso di non rientrare.
(Matteo Miele)
Abbandonare Kessab, però, sarebbe per gli armeni del mondo una ferita incisa nella propria identità. La cittadina descrive, in qualche modo, quello che sta succedendo alle minoranze in Medio Oriente, definisce il passato di quell’area, ma anche dell’Occidente. Qui la storia degli armeni non è una storia di comunità disperse, ma è un percorso antico che si lega profondamente anche alle vicende europee. Kessab sorge ai margini di quello che fu il Regno armeno di Cilicia, stato medievale nato nell’XI secolo, alleato dei Crociati e legato profondamente a Genova e Venezia, crollato sotto l’invasione mamelucca nel 1375. La corona di Cilicia sarebbe passata poi ai Savoia. Da un piccolo villaggio della cittadina, Kaladuran, si vede il mare e, oltre il confine con la Turchia, si erge il Mussa Dagh, il Monte di Mosè, dove nel 1915, nel pieno delle persecuzioni e deportazioni del genocidio, un pugno di armeni aveva lottato contro l’esercito turco, decisi a resistere davanti alla barbarie.