Il governo e i tagli alla spesa pubblica
Renzi e Padoan hanno parlato di 25 miliardi di euro di tagli, ma le cose non stanno proprio così: buona parte di quei soldi sono stati spostati da una voce del bilancio all'altra
Questa settimana il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto che dal 2014 al 2015 il governo ha tagliato 18 miliardi di spesa pubblica, a cui si aggiungeranno altri 7 miliardi di tagli nel corso del 2016, per un totale di 25 miliardi di risparmio sulla spesa pubblica del 2016. «Abbiamo tagliato talmente tanto che è difficile andare oltre», ha detto Padoan. È una cifra che il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva già anticipato a Barbara d’Urso in un intervento durante il programma tv Domenica Live, due settimane fa. Eppure secondo i dati Eurostat il totale della spesa pubblica italiana non diminuirà ma anzi continuerà a crescere, passando da 826 miliardi di euro del 2014 a 835 miliardi di euro nel 2016. Cos’è che non torna?
Lo ha spiegato oggi Veronica De Romanis, ex consulente del ministero dell’Economia e collaboratrice di diverse testate economiche, in una lettera al quotidiano Il Foglio. Il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio hanno usato in maniera leggermente impropria il termine “tagli”. L’impressione che si ricava dalla loro dichiarazione è che la spesa pubblica sia stata abbassata, quando invece alcune spese sono state tagliate, ma per finanziarne altre. La nota esplicativa del ministero dell’Economia a riguardo è molto più chiara: il termine “tagli” non compare mai, e anzi la nota specifica che «questi interventi non sono semplicemente “tagli”». Parlando delle manovre citate da Renzi e Padoan, la nota cita invece i termini “revisione” della spesa e “risparmi”.
La nota fa anche l’esempio di alcune spese che sono state “riviste”, parlando però raramente di cifre. Il decreto che ha introdotto gli 80 euro in busta paga includeva anche la soppressione di finanziamenti alle regioni e altre misure che hanno portato a un risparmio di circa 3 miliardi di euro. Ma ci sono diverse altre misure non quantificate, che riguardano ad esempio i nuovi limiti di spesa alle consulenze, il tetto agli stipendi di alcuni manager pubblici, tagli ai ministeri e ai finanziamenti delle missioni all’estero. Non è chiarissimo dove siano andati a finire i soldi risparmiati grazie a queste misure: la nota diffusa dal ministero spiega soltanto che sono stati spesi per misure di sostegno a crescita e occupazione.
Secondo il governo, la maggioranza di queste revisioni aveva come obiettivo quello di spendere in maniera più efficiente i soldi pubblici. Secondo la Corte dei Conti, però, diverse manovre di risparmio sono state più brutali di quanto sostenuto dal governo. Lo scorso febbraio il presidente della Corte, Raffaele Squitieri, aveva criticato il governo spiegando che una parte delle revisioni derivano «da operazioni assai meno mirate [rispetto alla “razionalizzazione”] di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività».