I Democratici hanno un piano, per Garland
È il nuovo giudice nominato da Obama per la Corte Suprema: i Repubblicani non vogliono votarlo, ma forse qualche possibilità c'è
Negli Stati Uniti il tema politico di questi giorni è diventato la nomina del nuovo giudice della Corte Suprema: Obama, due giorni fa, ha scelto Merrick Garland, 63enne giudice capo della prestigiosa Corte d’appello federale di Washington D.C.. Il seggio della Corte suprema è rimasto vacante per la morte del giudice Antonin Scalia, di orientamento conservatore, avvenuta il 13 febbraio. La nomina di Garland – molto importante per gli equilibri della Corte, ora divisa fra 4 giudici conservatori e 4 progressisti – non è tuttavia effettiva: dovrà essere approvata dal Senato. Il guaio è che in Senato la maggioranza è dei Repubblicani e loro contestano l’opportunità di nominare il nuovo giudice in un anno di elezioni presidenziali e hanno detto fin qui di non voler nemmeno prendere in considerazione il giudice scelto da Obama promettendo di fare ostruzionismo a oltranza per impedire la nomina. La posizione di molti Repubblicani non è cambiata neanche dopo dopo la nomina di Garland, giudice stimato e moderato: ma i giornali americani raccontano che qualcosa si sta muovendo e che i Democratici hanno una specie di piano.
Il Washington Post ha descritto un “piano” della Casa Bianca e dei Democratici per cercare di far accettare la nomina di Garland ai Repubblicani più moderati: Obama in persona, sempre secondo il Washington Post, ha tenuto una conference call con migliaia di funzionari democratici in tutto il paese, mentre un gruppo di ex membri del suo staff ha preso l’impegno di prendere di mira i Repubblicani da convincere. Giovedì 17 Garland ha visitato informalmente il Senato, dove ha incontrato vari politici, ha stretto mani e si è fatto fare foto pur non avendo nessuna riunione ufficiale in agenda. Il senatore Democratico Charles Schumer, un pezzo grosso dei Democratici al Senato, ha spiegato che il processo per far accettare Garland ai Repubblicani deve procedere «un passo per volta. Un buon gruppo di loro ieri ha messo i piedi in acqua per tastare la temperatura, dicendosi disposti a incontrarlo. Altri ancora lo faranno. Il prossimo passo sarà quello di organizzare un’audizione».
I Democratici sperano soprattutto di approfittare della pausa di Pasqua: molti Repubblicani passeranno nei loro stati di provenienza le due settimane in cui il Congresso non si riunirà – dal 18 marzo fino agli inizi di aprile – e nel caso la nomina di Garland riuscirà a rimanere fra i temi più discussi del momento, è probabile che molti di loro dovranno rendere conto ai propri elettori della scelta di non prendere Garland nemmeno in considerazione. Harry Reid, Il leader dei Democratici al Senato, parlando ai giornalisti dopo aver incontrato Garland al Senato ha detto: «sarete sorpresi da quanto duramente lavoreremo per far rimanere questo tema sulle prime pagine di tutti i giornali». Molti Democratici hanno anche lanciato uno slogan per la campagna di “sensibilizzazione” dei senatori Repubblicani: do your job, fai il tuo lavoro, nel senso di “prendi in considerazione la candidatura di Garland”. Parlando con Politico, Schumer ha spiegato: «ovunque andranno, i senatori Repubblicani troveranno gente con i cartelli “do your job”».
Alcuni senatori democratici tengono una conferenza stampa davanti alla Corte Suprema con un cartello “Do your job”, 17 marzo 2016 (Tom Williams/CQ Roll Call via AP Images)
La nomina di Garland è solo il primo passo per riuscire a farlo diventare un giudice della Corte
Suprema. Dopo la nomina presidenziale, la commissione Giustizia del Senato americano – attualmente in mano ai Repubblicani – si occupa di controllare la carriera e le passate decisioni del candidato, e di mettere ai voti la sua nomina. Il Washington Post ha fatto notare che al contrario del solito la commissione non ha in programma di assumere del personale aggiuntivo per aiutare quello della commissione ad esaminare la nomina di Garland. A prescindere dal risultato del voto, la discussione passa poi al Senato, dove attualmente i Repubblicani hanno una maggioranza di 8 voti sui Democratici (54 contro 46). Quasi sicuramente i Repubblicani avvieranno procedure di ostruzionismo, che potrebbe andare avanti per settimane. Per interromperle, ci vuole un voto di 60 senatori, e poi per ratificare la nomina di Garland saranno necessari “solamente” 51 voti. Di conseguenza, secondo i calcoli del Washington Post, i Democratici hanno bisogno di convincere 14 senatori, così da poter raggiungere i 60 voti necessari per aggirare i tentativi di ostruzionismo e poi votare agevolmente la nomina.
Sembra che la strategia dei Democratici stia già funzionando: due senatori Repubblicani della commissione Giustizia del Senato, Orrin Hatch dello Utah e Jeff Flake dell’Arizona, si sono detti disponibili a considerare la candidatura di Garland dopo un eventuale vittoria di un candidato Democratico alle elezioni di Novembre, e quindi implicitamente a votare per Garland fra novembre e gennaio nella cosiddetta lame-duck session del Congresso, che si verifica nel periodo in cui un candidato è già stato eletto presidente ma non è ancora entrato in carica. Diversi altri Repubblicani hanno però già detto che non voteranno Garland nemmeno nella lame-duck session, dato che questo contraddirebbe la posizione dei Repubblicani per cui solamente il nuovo presidente avrà la legittimità politica per nominare un giudice della Corte Suprema. Parlando in aula al Senato, il capo dei senatori Repubblicani Mitch McConnell ha spiegato: «sul tema della nomina del nuovo giudice, che potrebbe modificare la direzione della Corte per un’intera generazione, i Repubblicani e i Democratici hanno semplicemente due opinioni diverse. I Repubblicani credono che il popolo americano meriti di avere una voce in capitolo, mentre il presidente no. E quindi non essendo d’accordo agiamo di conseguenza, facendo da contrappeso».
Ad oggi i Repubblicani hanno davanti due strade, e nessuna di queste è facile: possono ammorbidire le loro posizioni e prendere in considerazione Garland, col rischio di essere accusati di “tradimento” dai loro elettori più radicali (che sono molti) e da Donald Trump, candidato favorito alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito Repubblicano; oppure possono mantenere quanto hanno promesso – la linea dura, in sostanza – col rischio di apparire estremisti e irragionevoli, per giunta in un momento in cui alcuni di loro si dicono preoccupati dall’ascesa di Trump, dai danni che rischia di fare al partito e dalle sue reali possibilità di vincere le elezioni presidenziali di novembre.