Cinque miti sul Ku Klux Klan
Se ne parla per via di Donald Trump, ma ci sono ancora diverse convinzioni errate: la maggior parte dei suoi membri non va più in giro incappucciata, tanto per cominciare
di David Cunningham – Washington Post
Il recente rifiuto di Donald Trump di prendere le distanze dal capo del Ku Klux Klan (KKK) David Duke durante un dibattito su CNN ha riacceso la discussione sul ruolo del KKK nella politica americana. Non è una sorpresa, la lunga storia del KKK è fatta di spettacolari ascese e cadute: dagli inizi come gruppo terroristico dopo la guerra civile americana, al suo grande rilancio come movimento nazionalista negli anni Venti, fino alla trasformazione in un squadrone di vigilantes contro i movimenti per i diritti civili americani negli anni Sessanta. Oggi alcuni rami del Ku Klux Klan continuano a reclutare piccoli gruppi di sostenitori che hanno un peso marginale. Se da una parte i cappucci bianchi, le vesti svolazzanti e le croci infuocate rimangono un simbolo che rimanda al terrorismo razziale e alle teorie di supremazia dei bianchi, dall’altra su di loro circolano molte idee sbagliate. Abbiamo messo insieme cinque tra i falsi miti più comuni.
1. Il Ku Klux Klan oggi è troppo debole per rappresentare una vera minaccia
Quando nel 2015 il KKK organizzò un raduno all’esterno del parlamento del South Carolina, i suoi oppositori dissero che non c’era niente da temere. «Il KKK oggi è debole, ha una guida inadeguata ed è diviso internamente», raccontò al settimanale americano Christian Science Monitor Mark Potok, un membro di Southern Poverty Law Center, una no-profit americana attiva nel campo dei diritti civili. Altre persone condividono l’opinione di Potok, e hanno definito il KKK «debole», «isolato», e la «brutta copia» di un gruppo d’odio. In effetti oggi il KKK è diviso in una decina di gruppi diversi e perlopiù scollegati tra loro. Il mese scorso il progetto “Intelligence” del Southern Poverty Law Center ha individuato negli Stati Uniti 190 unità attive divise in 31 organizzazioni diverse. L’affiliazione a questi gruppi è relativamente bassa e il numero complessivo di membri è stimato in meno di 10mila persone (all’apice della sua diffusione negli anni Venti, i membri della KKK superavano i quattro milioni).
Questa emarginazione tuttavia può generare imprevedibili atti di violenza. Paradossalmente, nel periodo in cui poteva contare su un seguito di massa, era più facile controllare la violenza del KKK: all’epoca i capi che volevano mantenere attive le loro organizzazioni erano incentivati a tenere a freno gli attacchi non autorizzati dei loro membri. Oggi la mancanza di una struttura organizzata può incoraggiare progetti criminali di cani sciolti e cellule isolate. La maggior presenza su internet può amplificare questa tendenza, e i simpatizzanti del KKK − come il presunto assassino della chiesa di Charleston, in South Carolina, Dylann Roof − possono accedere con facilità a contenuti che promuovono il terrorismo in nome della supremazia bianca.
2. Gran parte del sostenitori del KKK si trovano nel sud rurale degli Stati Uniti
Nella cultura popolare il KKK è rappresentato come un fenomeno diffuso perlopiù nel sud degli Stati Uniti. Quentin Tarantino ridicolizza il KKK in Django Unchained, ambientato nel profondo sud americano; George Clooney affronta una cellula del Ku Klux Klan in Fratello, dove sei?, ambientato nel Mississippi; e Atticus Finch simpatizza, e poi denuncia, il gruppo nei libri di Harper Lee ambientati in Alabama. Se è vero che il KKK originale si presentava come un movimento proprio del sud americano, nei giorni d’oro del suo rilancio negli anni Venti aveva una base nazionale e prevalentemente urbana, con appoggi influenti nel Midwest, nel sudovest e sulla costa orientale degli Stati Uniti: a Denver, Detroit e Philadelphia il KKK poteva contare su oltre 20mila membri. Durante il periodo dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti negli anni Sessanta, l’attività del KKK iniziò a concentrarsi nell’area meridionale del paese, e le violenze più efferate furono perpetrate contro gli attivisti per i diritti civili del sud. Le roccaforti del KKK tuttavia non si trovavano nelle zone rurali, ma all’interno e attorno a città come Birmingham, in Alabama, Greensboro e Raleigh, in North Carolina, e Jacksonville, in Florida. Nei decenni successivi la diffusione geografica del KKK continuò ad espandersi. Oggi la dettagliata “mappa dell’odio” del Southern Poverty Law Center ha individuato unità attive del KKK in 34 dei 50 stati americani, che si estendono dall’area del New England fino alla costa occidentale.
3. Il KKK agisce prevalentemente in segreto, e nasconde l’identità dei suoi membri
Il Ku Klux Klan è di solito associato ad atti terroristici commessi di notte da individui che celano la propria identità sotto un cappuccio. I racconti dei media rafforzano questo stereotipo: un articolo del Daily Mail offre «uno sguardo ai rituali segreti» del gruppo; un documentario di History Channel promette di addentrarsi all’interno della «società segreta» del KKK; mentre Slate lo descrive come uno dei «gruppi della società più temuti, segreti ed isolati al mondo». A volte i membri del KKK hanno in effetti usato dei cappucci per tutelarsi e creare un simbolismo. Ma spesso hanno operato come organizzazioni pubbliche, sbandierando la loro presenza e la partecipazione della società civile alle loro attività.
Nel 1925 i capi del KKK diedero prova della loro crescente popolarità e influenza politica organizzando una marcia lungo Pennsylvania Avenue a Washington. All’evento parteciparono oltre 40mila persone a volto scoperto. Negli anni Sessanta alcune unità del KKK organizzarono delle marce notturne per le strade di alcune città nel sud degli Stati Uniti, in cui centinaia di membri del gruppo sfilarono senza indossare cappucci per le strade dei quartieri, per promuovere i raduni nelle vicinanze e sottolineare come i suoi membri operassero alla luce del sole all’interno della comunità locale. Questa forma distorta di coscienza civica si estendeva a tutta una serie di eventi sociali e di beneficenza, dalle funzioni religiose ad altri eventi caratteristici degli Stati Uniti dell’epoca, come la gare di tiro al tacchino e le fiere del pesce fritto, fino alle consegne di cibo e altri generi di prima necessità ai malati e ai bisognosi. Negli anni Settanta David Duke fece un passo in più, rimpiazzando le tipiche vesti bianche del KKK con dei completi eleganti, nel tentativo di aumentare la rispettabilità e la capacità di attrazione del gruppo. Oggi i sedicenti leader del KKK sostengono di stare lavorando per aprire nuove frontiere, per esempio lanciando siti internet o organizzando marce nei centri delle città locali. In effetti queste operazioni fanno parte di una lunga tradizione di tentativi del KKK di ottenere una legittimazione pubblica.
4. All’epoca dei movimenti per i diritti civili il KKK godeva del sostegno pubblico dei politici segregazionisti
Nel suo celebre discorso d’insediamento nel 1963 l’allora governatore dell’Alabama George Wallace inneggiò alla «separazione ora, separazione domani, separazione per sempre!». L’anno prima il governatore del Mississippi Ross Barnett aveva annunciato di essere un «fiero segregazionista». Nonostante le audaci dichiarazioni di facciata però i rapporti tra il KKK e la politica furono molto complicati. Come molti altri politici sostenitori della segregazione razziale, Wallace tollerava il KKK e cercava i voti dei suoi membri, sfruttandone a volte l’influenza per accontentare l’ala più segregazionista dei suoi sostenitori. Ma i politici segregazionisti evitavano di promuovere pubblicamente la attività illegali del KKK e di legittimarne l’immagine di gruppo terrorista organizzato. In questo senso fu eloquente l’episodio in cui Wallace, durante la sua campagna per le elezioni presidenziali del 1968, fu ripreso mentre stringeva la mano del capo nazionale del Ku Klux Klan Robert Shelton: un membro dello staff del governatore ordinò alle forze dell’ordine dell’Alabama di requisire la telecamera e distruggere il filmato. Questo perché il KKK polarizzava l’elettorato bianco nel sud degli Stati Uniti.
Se da una parte negli anni Sessanta la maggior parte degli elettori sosteneva la segregazione, dall’altra una nutrita schiera era disgustata dai metodi illegali e violenti del KKK. I politici dell’epoca cercavano consensi in entrambi gli schieramenti. Prima di essere eletto nel 1964 come governatore del North Carolina, il centrista Dan K. Moore rispose all’endorsement del capo del KKK nello stato sostenendo di non conoscere la natura del gruppo o dei suoi membri, e aggiungendo che accettava però il sostegno di tutti i gruppi. Questo tipo di atteggiamenti ambigui sono simili al rifiuto di Trump a prendere immediatamente le distanze dal sostegno di Duke, storico capo del KKK («Giusto per capirci: non so niente di David Duke, chiaro?»), il che dimostra come i candidati odierni, proprio come nel 1964, possano cercare di guadagnare terreno portando avanti tacitamente battaglie che strizzano l’occhio alla visione del mondo del KKK.
5. L’impatto negativo del KKK si è limitato alle attività terroristiche
Qualsiasi analisi dell’inquietante retaggio del KKK si concentra giustamente sulle violenze mortali perpetrate dai suoi membri in nome della supremazia bianca. Ma il vigilantismo del Ku Klux Klan ha danneggiato le comunità americane anche in modi meno diretti ma di portata maggiore. Ancora oggi, a cinquant’anni di distanza dal culmine delle violenze del KKK durante il periodo dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti, nelle comunità dove il gruppo godeva di grande popolarità si registra un tasso di reati violenti maggiore rispetto alle aree vicine, a dimostrazione della forza di un movimento che sfida l’autorità precostituita e indebolisce i confini del rispetto e dell’ordine all’interno delle comunità dove opera. Questa potere mina il tessuto sociale ben al di là dell’effettiva presenza del KKK. La duratura influenza del KKK si estende anche alle elezioni. Il gruppo non ha mai riconquistato il solido blocco elettorale che aveva costruito negli anni Venti, quando i suoi membri influenzavano i risultati di centinaia di elezioni locali e statali.
Uno studio recente condotto da David Cunningham insieme a Rory McVeigh e Justin Farrell dimostra che il KKK è stato uno dei fattori determinanti nel più grande spostamento politico americano degli ultimi cinquant’anni: lo schieramento del sud degli Stati Uniti con il Partito Repubblicano. Nonostante il sostegno ai candidati Repubblicani sia cresciuto in tutta la regione, l’aumento è stato particolarmente significativo nelle zone in cui in passato era attivo il KKK. Il gruppo ha contribuito a questo fenomeno incoraggiando gli elettori ad abbandonare i candidati Democratici – che sostenevano sempre di più le riforme a favore dei diritti civili – portando in primo piano il conflitto razziale, e allineando in modo sempre più evidente queste questioni con la linea del partito Repubblicano. Il passaggio dell’elettorato dal Partito Democratico a quello Repubblicano potrebbe non essere un problema di per sé. L’effetto nocivo del KKK risiede della natura divisiva di questa transizione, che continua a essere rispecchiata nel sistema politico polarizzato americano.
© 2016 – Washington Post