Otto scenari sulla crisi economica globale
Bloomberg tenta di mettere ordine in una situazione complicata da spinte contraddittorie, e confusa dalla nostra tentazione di focalizzarci solo sul problema-del-momento
di Justin Fox – Bloomberg
C’è qualcosa di strano nell’economia globale, che va avanti almeno dal 2007: la crescita economica è lenta, i mercati finanziari sono volatili e i responsabili delle politiche economiche sono spesso disorientati. Noi tendiamo a focalizzarci sul problema del momento: volta per volta la crisi dei mutui subprime, la crisi dell’euro, il rallentamento dell’economia cinese e il crollo del prezzo del petrolio. Di sicuro però questi avvenimenti sono collegati tra loro: quali sono gli anelli di congiunzione? Da qualche tempo ho iniziato a delineare dei possibili scenari, otto dei quali sono elencati sotto. Non pretendo che rappresentino un elenco esauriente, ma nell’insieme forniscono un quadro della situazione se non chiaro, almeno interessante.
La crisi finanziaria globale e le sue conseguenze
Nel 2007 è cominciata una crisi internazionale causata dalla diffusione di crediti inesigibili – mutui che non sono stati ripagati dalle persone a cui erano stati concessi, in sostanza – che ha iniziato ad assumere proporzioni preoccupanti nel 2008. L’economia globale ne sta ancora affrontando le conseguenze. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff tracciano i contorni essenziali delle crisi finanziarie nel libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly (“Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria”): crisi di questo tipo si ripresentano occasionalmente nel corso della storia e comportano sempre delle conseguenze a livello economico. Questa crisi è stata particolarmente grande e quindi le conseguenze sono particolarmente lunghe e dolorose.
La grande deviazione
In uno studio del 2011, l’economista John Taylor ha definito la “grande deviazione” come «il recente periodo in cui le politiche macroeconomiche si sono fatte più interventiste, meno basate sulle norme e meno prevedibili». Lo scostamento dalle politiche economiche tradizionali è iniziato nel 2003 con la decisione della Federal Reserve – la banca centrale americana – di mantenere i tassi di interesse più bassi di quanto indicato dalla linea guida sulle politiche monetarie nota come la “regola di Taylor” (si tratta dello stesso Taylor), ed è poi proseguito con una serie di salvataggi e alleggerimenti monetari negli Stati Uniti e in Europa. La valutazione di Taylor in merito al fallimento di queste politiche è stata molto discussa, ma la sensazione che gli errori dei governi e delle banche centrali ci abbiano danneggiato è ampiamente diffusa.
La fine del secolo americano
A partire dagli anni Quaranta gli Stati Uniti sono stati la potenza dominante nell’economia globale, e il dollaro era di fatto la moneta globale. Negli ultimi anni il dominio americano ha iniziato ad affievolirsi, ma nessun altro paese o istituzione internazionale sembra pronto a prenderne il posto. Ne sono derivati uno stato di continua incertezza e disordini a livello geopolitico, economico e all’interno dei mercati finanziari: non ci sono segnali che questo fenomeno stia per finire.
La fine dell’inflazione
Lo storico David Hackett Fischer scrisse nel libro The Great Wave: Price Revolutions and the Rhythm of History (“La grande ondata: le rivoluzione dei prezzi e il ritmo della storia”) che a partire dal 1200 il mondo ha vissuto quattro lunghi periodi di rialzo dei prezzi. I primi tre furono seguiti da disordini economici e politici, e successivamente da un lungo periodo di stabilità dei prezzi. Il quarto periodo, che secondo Fischer iniziò alle fine degli anni Novanta dell’Ottocento ed era ancora in corso quando uscì il suo libro nel 1996, potrebbe essere arrivato alle battute finali: da anni l’inflazione globale è bassissima, soprattutto in Europa. Se la storia ci insegna qualcosa, questo periodo potrebbe concludersi lentamente e causare diverse crisi finanziarie. Anche se non credete che la storia si sviluppi a grandi ondate, è evidente che dalla Grande Inflazione degli anni Sessanta e Settanta e dalla successiva Grande Disinflazione (un’altra espressione di Taylor, che definisce un lungo periodo di calo economico con i prezzi che però si mantengono sopra la soglia dell’inflazione zero) i presidenti delle banche centrali vanno in difficoltà quando si diffonde la deflazione.
La grande stagnazione
Nonostante l’economista Tyler Cowen si riferisse agli Stati Uniti quando rese celebre questo termine, rimane una buona espressione per definire il fenomeno globale del rallentamento della crescita di produttività guidata dalla tecnologia e il peggioramento delle condizioni macroeconomiche (il mancato sfruttamento dei grandi mercati esteri e della forza lavoro interna) che negli ultimi decenni avevano permesso ai paesi in via di sviluppo di fare grandi passi in avanti a livello economico.
La rivoluzione tecnologica
Dall’altra parte però il rallentamento della produttività potrebbe essere semplicemente il preludio a un nuovo periodo di grande crescita economica. Le grandi rivoluzioni tecnologiche hanno bisogno di tempo per produrre i loro effetti, come sostiene la studiosa Carlota Perez nel suo libro Technological Revolutions and Financial Capital: The Dynamics of Bubbles and Golden Ages (“Le rivoluzioni tecnologiche e i capitali finanziari: la dinamica delle bolle e dell’età d’oro”). In passato ogni rivoluzione tecnologica ha comportato passi falsi, incertezze e seri problemi finanziari, a cui è sempre seguita un'”età dell’oro” in cui le imprese, i consumatori e i governi hanno capito come sfruttare appieno le nuove opportunità. Perez fa coincidere l’inizio di quella che definisce la “rivoluzione della tecnologia dell’informazione e della comunicazione” al 1971, e sostiene che la crisi finanziaria cominciata tra il 2007 e il 2008 potrebbe segnare l’inizio di una nuova epoca d’oro, nonostante non sappia dire quanto possa durare la transizione.
Crescita zero
Nell’ultimo numero della rivista americana di relazioni internazionali Foreign Affairs, Ruchir Sharma della banca d’affari Morgan Stanley ha scritto che il calo del tasso globale di fertilità ha frenato molto la crescita economica. Dal momento che in passato in molti temevano che una crescita sregolata della popolazione avrebbe distrutto il pianeta, il rallentamento della crescita della popolazione mondiale è per molti versi un fenomeno estremamente positivo. Ma il capitalismo moderno è nato e ha prosperato durante una lunga epoca (iniziata intorno al 1350) di crescita continua della popolazione. Se la crescita della popolazione globale si avvicina allo zero, il capitalismo dovrà adeguarsi di conseguenza.
La dipendenza dalle risorse tradizionali è in calo
Secondo un rapporto dello scorso autunno del Breakthrough Institute, un centro studi americano che si occupa di temi ambientali, il mondo potrebbe essere vicino a sganciare la crescita economica dal consumo delle risorse naturali. A livello mondiale, il consumo pro-capite di legno, acqua e suolo agricolo sta già diminuendo, e nonostante le emissioni pro-capite di CO2 siano ancora in aumento a livello globale, sono ormai stabili nei paesi sviluppati. Come indica un recente rapporto del McKinsey Global Institute, il commercio globale potrebbe spostarsi dal flusso di beni fisici verso il flusso di informazioni. Questa evoluzione sembra necessaria e sarebbe positiva per l’intero pianeta. Ma se il vostro reddito o l’economia del vostro paese sono basati sulla vendita di materie prime o sulla produzione di beni di cui il mondo ha meno bisogno, la transizione non sarà facile.
Messi insieme, questi scenari potrebbero forse sembrare un’accozzaglia. Alcune di queste storie hanno elementi che si sovrappongono, e almeno due si contraddicono a vicenda. Non tutte contribuiscono a formare una narrazione coerente. Per indole sono più vicino alle ultime tre, che effettivamente sembrano quadrare: descrivono un’economia globale che sta attraversando un fase di transizione dolorosa ma necessaria dall’era industriale verso un periodo che potrebbe essere di gran lunga migliore. In sostanza, ci troviamo ancora nella fase larvale: forse potremmo chiamarla la Grande Metamorfosi.
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